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Fare Open Access
La libera diffusione del sapere
scientifico nell’era digitale
A cura di Simone Aliprandi
Ledizioni
I contenuti di questo libro, dove non diversamente specifica-
to, sono rilasciati nei termini della licenza Creative Commons
Attribution 4.0 il cui testo integrale è disponibile all’URL
http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/.
I diritti di curatela sul concept del libro appartengono a Si-
mone Aliprandi. Ogni autore rimane titolare di tutti i diritti
sul proprio contributo. I documenti e commenti inseriti in
appendice sono pubblicati ai sensi delle rispettive licenze
d’uso o perché si tratta di opere in pubblico dominio.
La foto di copertina è di Niccolò Caranti (https://about.me/
ncaranti) ed è anch’essa sotto licenza CC by 4.0.
ISBN cartaceo: 9788867056019
ISBN versione ePub: 9788867056026
Il volume è disponibile in Open Access e acquistabile nelle
versioni ePub e cartacee a cura di Ledizioni sul sito internet
www.ledizioni.it, nelle librerie online o tradizionali. Sito uffi-
ciale del progetto: http://aliprandi.org/fare-openaccess.
Indice
Presentazione7
Introduzione: che cos’è l’Open Access 9
Elena Giglia
Scenario e problematiche aperte 17
Ivana Truccolo
La comunicazione scientifica nell’era digitale 29
Elena Giglia
Fare Open Access e farlo correttamente 53
di Elena Giglia
Come gestire i diritti d’autore per fare Open Access 93
Simone Aliprandi
Usare i social media per la comunicazione scientifica 119
Valeria Scotti
L’editoria al servizio dell’accademia 157
Nicola Cavalli
Appendice167
Gli autori 193
Presentazione
Era da un po’ di tempo che avevo in mente di pub-
blicare per la mia collana “I libri di Copyleft-Italia” un
libro sull’Open Access; ma mai era arrivata la giusta
ispirazione che avesse permesso di fare qualcosa di
davvero nuovo rispetto alle numerose (e forse ridon-
danti) opere già presenti in rete sull’argomento.
Gli autori dei contributi di questo libro hanno già
avuto modo di mettere nero su bianco le teorie e con-
siderazioni oggetto di queste pagine. Io stesso avevo
già pubblicato diversi contributi sul tema delle licen-
ze aperte per contenuti creativi che potrebbero essere
comunque applicabili al mondo della comunicazione
scientifica. Mancava però uno strumento che racco-
gliesse i concetti essenziali per comprendere appieno
il fenomeno Open Access e per renderlo un modello
effettivamente realizzabile e non più solo un riferi-
mento teorico.
Lo spunto definitivo e concreto per realizzare que-
sto libro nasce però più precisamente da un incon-
tro formativo tenutosi presso il CRO di Aviano nel
settembre del 2016 e del quale questo prodotto edi-
toriale rappresenta in un certo senso gli atti ufficiali.
Dico “in un certo senso” perché in realtà l’intento
era quello di andare un po’ oltre la semplice raccolta
di relazioni tenute a un convegno, arrivando a ti-
rar fuori uno strumento di informazione e divulga-
zione che potesse risultare utile anche in ottica più
ampia. Una guida che tenga in considerazione nella
giusta proporzione sia il background teorico-scienti-
fico che fa da sfondo alla diffusione della conoscen-
simone aliprandi
za scientifica in modalità aperta, sia indicazioni pra-
tiche e operative capaci di guidare gli operatori del
settore a fare Open Access e a farlo correttamente
ed efficacemente.
Partiremo dalle problematiche emergenti a livel-
lo di scenario generale, passando poi a presentare e
chiarire i principi cardine dell’open access, per arri-
vare a conoscere alcuni aspetti specifici e strategici
come la gestione della proprietà intellettuale, non-
ché l’impatto dei social media sulla comunicazione
scientifica e delle relative metriche alternative, dando
infine spazio al punto di vista delle case editrici.
Anche l’appendice ricopre un ruolo fondamentale
dal momento che raccoglie tutti i documenti e le nor-
me in cui è stato cristallizzato a livello istituzionale il
concetto di Open Access.
Confidando quindi di aver realizzato un’opera che
aiuti a comprendere al meglio questa filosofia e dif-
fonderne lo spirito e le motivazioni, vi auguro una
buona lettura.
Simone Aliprandi, marzo 2017
8
Introduzione:
che cos’è l’Open Access
di Elena Giglia
The beauty of open access is that it is not against anybody.
It is for the free movement of knowledge
La bellezza dell’Open Access è che non è contro nessuno
È a favore della libera circolazione della conoscenza
Neelie Kroes1
Open Access significa accesso aperto, immediato e
libero da ogni restrizione ai risultati e ai dati della
ricerca scientifica. È il primo tassello – ma imprescin-
dibile – della Open Science, a sua volta un concetto
ombrello che comprende anche Open Data, Open
Educational Resources, Open Source. Non è quindi
fine a se stesso ma è un mezzo per veicolare la scien-
za aperta.
L’Open Access è un canale complementare e alter-
nativo di diffusione della ricerca scientifica, rivoluzio-
nario a suo modo ma non distruttivo, che coesiste da
anni con i sistemi tradizionali. È una preziosa oppor-
tunità da conoscere (e da non sprecare) per ognuno
degli attori coinvolti nel ciclo della comunicazione
scientifica, autori, editori, lettori, finanziatori.
1 Kroes, N. The Challenge of Open Access. Speech. Dec. 2, 2010,
http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-10-716_en.htm
elena giglia
L’Open Access è nato dai ricercatori e per i ricerca-
tori allo scopo di favorire la più ampia disseminazio-
ne del sapere. È un movimento internazionale che si
basa su logiche di condivisione e apertura, che ogni
comunità scientifica può adattare ai suoi peculiari ca-
nali di comunicazione.
I principî su cui si basa sono sostanzialmente tre:
• la conoscenza è un bene comune;
• la comunicazione scientifica è una grande conver-
sazione, più è aperta più è ricca;
• i risultati delle ricerche finanziate con i fondi pub-
blici devono essere pubblicamente disponibili.
O, con le parole di Neelie Kroes, ex Vice Presidente
della Commissione Europea: «L’informazione scien-
tifica ha il potere di migliorare la nostra esistenza ed
è troppo importante per essere tenuta sotto chiave.
Inoltre, ogni cittadino dell’Unione Europea ha diritto
di accedere e trarre vantaggio dalla conoscenza pro-
dotta utilizzando fondi pubblici2».
Sulla base di questo principio, oltre settecento3 fra
i più prestigiosi enti di ricerca del mondo (MIT di
Boston, Università di Harvard, CERN di Ginevra, Te-
lethon…) hanno compiuto una scelta decisa a favore
dell’Open Access, adottando politiche che obbligano
i ricercatori da loro finanziati a rendere disponibili i
risultati in Open Access – che come vedremo signifi-
ca “depositare” e non “pubblicare su riviste Open” – a
riprova della diffusione e dell’importanza delle logi-
2 Kroes, N. OpenAIRE opens access to EU scientific results. Press rele-
ase. Dec 2, 2010, http://europa.eu/rapid/press-release_IP-10-
1644_en.htm?locale=en
3 L’elenco aggiornato si legge in ROARMAP – Registry of Open Ac-
cess Repository Mandates and Policies, http://roarmap.eprints.
org/
10
introduzione: che cos’è l’open access
che dell’accesso aperto a livello mondiale. Leggiamo
la definizione di accesso aperto nella Dichiarazione
di Berlino (2003), uno dei due manifesti dell’Open
Access (il documento integrale è riportato in appen-
dice):
L’autore ed il detentore dei diritti relativi a tale contributo
garantiscono a tutti gli utilizzatori il diritto d’accesso gratuito,
irrevocabile ed universale e l’autorizzazione a riprodurlo, uti-
lizzarlo, distribuirlo, trasmetterlo e mostrarlo pubblicamente
e a produrre e distribuire lavori da esso derivati in ogni forma-
to digitale per ogni scopo responsabile, soggetto all’attribu-
zione autentica della paternità intellettuale (le pratiche della
comunità scientifica manterranno i meccanismi in uso per
imporre una corretta attribuzione ed un uso responsabile dei
contributi resi pubblici come avviene attualmente), nonché il
diritto di riprodurne una quantità limitata di copie stampate
per il proprio uso personale4.
Sono da sottolineare due concetti fondamentali.
L’unico vincolo che viene richiesto in questo quadro
di diffusione libera, in cui ognuno può leggere e riu-
tilizzare i lavori scientifici, è la corretta attribuzione
della paternità intellettuale, e questo va chiarito da
subito, poiché i detrattori dell’accesso aperto tendono
a mistificarlo e a sovrapporlo – a torto – al plagio. La
libera circolazione dei contributi scientifici non va a
minare la condotta etica di chi fa ricerca, che è sem-
pre tenuto a citare la fonte; semplicemente, la libera
circolazione permette l’accesso a più lettori, in una
logica di inclusione e partecipazione. Tuttavia altre
prassi, quali la correttezza della ricerca e della cita-
4 Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sciences and
Humanities, 2003, traduzione italiana a cura di Paola Gargiulo e
Susanna Mornati, https://openaccess.mpg.de/67682/BerlinDe-
claration_it.pdf (vedi appendice).
11
elena giglia
zione delle fonti, non vengono intaccate. Il secondo
concetto da sottolineare va esattamente in questa di-
rezione, ed è l’inciso «per ogni scopo responsabile»,
che fa di nuovo riferimento alla corretta etica della ri-
cerca scientifica e, di nuovo, è chiaramente contrario
all’idea di plagio.
L’altro manifesto, la Budapest Open Access Initiative
(anch’essa riportata in appendice), è utile per com-
prendere le ragioni storiche che hanno portato alla
nascita dell’Open Access, un fenomeno reso possi-
bile proprio da un nuovo mezzo di comunicazione
come Internet, che ha dato nuova vita al paradigma
della ricerca come motore della conoscenza:
Un’antica tradizione e una nuova tecnologia sono confluite
per dar vita a un bene pubblico senza precedenti. L’antica tra-
dizione è la scelta degli scienziati e degli studiosi di pubblicare
gratuitamente i frutti delle loro ricerche in riviste scientifiche,
per amore della ricerca e della conoscenza. La nuova tecnolo-
gia è Internet. Il bene pubblico che hanno reso possibile è la
diffusione mondiale in formato elettronico della letteratura
scientifica peer-reviewed e l’accesso ad essa completamente
gratuito e senza restrizioni per tutti gli scienziati, studiosi,
insegnanti, studenti, e per ogni mente curiosa. Rimuovere le
barriere di accesso a tale letteratura produrrà accelerazione
nella ricerca, arricchirà l’istruzione, consentirà di condividere
la conoscenza del ricco con il povero e del povero con il ricco,
permetterà di utilizzare al meglio i risultati e porrà le fonda-
menta per unire l’umanità in una conversazione intellettuale
comune e in una comune ricerca di conoscenza5.
Internet ha dato un nuovo valore all’idea di “grande
conversazione” sotteso alla comunicazione scientifi-
ca. E Internet stessa è il migliore esempio dell’enor-
5 Budapest Open Access Initiative - BOAI, 2001, traduzione italiana a
cura di Paola Castellucci, http://www.budapestopenaccessini-
tiative.org/translations/italian-translation (vedi appendice).
12
introduzione: che cos’è l’open access
me valore dell’apertura e della condivisione: vediamo
perché.
“Open Access” si compone di due parole:
• “Open”, aperto: per illustrare il concetto di “aper-
tura”, torniamo appunto a Internet. Forse non tutti
sanno che Tim Berners-Lee, nel 1989, aveva ideato
il protocollo http – ciò che tecnicamente fa funzio-
nare il web – come strumento interno di scambio di
documenti fra i gruppi di lavoro del CERN di Gine-
vra, dove allora lavorava. Riuscite a immaginare la
nostra vita oggi, se Berners-Lee e il CERN avessero
deciso di tenere chiuso – come era inizialmente – il
protocollo http, invece di aprirlo e renderlo disponi-
bile per tutti noi?
• “Access” rimanda invece all’idea di “accesso” alla
conoscenza. Notiamo per inciso che la ricerca è un
processo incrementale, ovvero, un ricercatore pro-
segue da dove altri sono arrivati. Avere accesso ai
risultati non è quindi accessorio, ma necessario; in
caso contrario, rischieremmo di reinventare la ruo-
ta ogni giorno. Useremo qui come esempio un altro
fatto notissimo: l’incidente nucleare di Fukushima,
l’11 marzo 2011. Il giorno successivo, alcuni grandi
gruppi editoriali resero disponibili gratuitamente
gli articoli sulla contaminazione nucleare. Ma que-
sto significa che, fino al giorno prima, questi arti-
coli erano chiusi a doppia mandata dietro riviste i
cui abbonamenti – dell’ordine di migliaia di dollari
l’anno – nemmeno l’Università di Harvard può più
permettersi6.
6 Harvard University. Faculty Advisory Council Memorandum on Jour-
nal Pricing. April 17, 2012 http://goo.gl/70Chmy
13
elena giglia
La comunicazione è l’essenza della scienza, e grazie
a Internet può essere oggi intesa come «un sistema
distribuito in intelligenza umana»7 da cui la cono-
scenza può trarre enorme beneficio.
«Tutta la conoscenza è lì, perché non tutti possono
avere accesso?», si chiede Glynn Moody8 in un bellis-
sima panoramica che ripercorre la storia dell’Open
Access. Ciò che manca oggi non è certo la tecnologia.
Cosa è andato storto?
Per dare una risposta a questa domanda, prima di
vedere come si fa Open Access in pratica, faremo un
passo indietro. Nei prossimi capitoli, infatti, oltre a
mettere a fuoco le principali questioni aperte, cer-
cheremo di analizzare i meccanismi della comuni-
cazione scientifica per cercare di offrire una visione
d’insieme entro cui comprendere il fenomeno “Open
Access” al di là delle mode del momento o delle ide-
ologie.
7 Guédon J.C. Open Access:toward the Internet of the mind, Feb. 23,
2017, http://www.budapestopenaccessinitiative.org/open-ac-
cess-toward-the-internet-of-the-mind
8 Moody G. Open access: All human knowledge is there—so why can’t
everybody access it? Ars Techica, Jun. 7, 2016, http://arstechnica.
co.uk/science/2016/06/what-is-open-access-free-sharing-of-all-
human-knowledge/
14
introduzione: che cos’è l’open access
Per chi ha fretta
»» Open Access significa accesso immediato e senza restrizioni
ai risultati e ai dati della ricerca
»» si basa sul principio per cui la conoscenza prodotta con fondi
pubblici deve essere pubblicamente disponibile
»» ci sono due modi per fare Open Access:
»» depositare in archivi Open la versione finale del
proprio lavoro, ovunque esso sia stato pubblicato
(fattibile subito, a costo zero; non modifica le
abitudini di pubblicazione anche ai fini della
valutazione della ricerca, non viola il copyright)
»» pubblicare su riviste Open Access
»» ci sono alcuni miti da sfatare:
»» chi fa Open Access in modo corretto non viola il
copyright; per essere sicuri di agire correttamente
»» basta controllare le politiche di copyright degli
editori sulla banca dati SHERPA-RoMEO
»» non tutti gli editori Open Access fanno pagare per
pubblicare
»» non tutti gli editori Open Access sono “predatory”,
la maggior parte sono innovativi e assolutamente
trasparenti
»» la peer review non è di serie B, anzi, è più
trasparente e spesso è open peer review
»» non si fa vero Open Access su siti web come
Researchgate.net o Academia.edu, che sono più
che altro piattaforme social commerciali e hanno
altre finalità
»» i vantaggi dell’Open Access:
»» le ricerche si vedono prima, si vedono di più: la
creazione della conoscenza viene accelerata
»» se i lavori circolano di più, vengono citati di più
»» i lavori diventano accessibili anche alle piccole
medie imprese e a tutti sul territorio, favorendo
l’innovazione e la crescita sociale
»» si pubblicano anche i dati, favorendo trasparenza,
riproducibilità, approcci interdisciplinari
»» l’Open Access è nato dai ricercatori per i ricercatori al fine
di riprendere possesso della comunicazione scientifica, oggi
nelle mani di pochi grandi gruppi editoriali che dettano regole
e prezzi al mercato (guadagnando cifre esorbitanti su un
lavoro che non viene retribuito)
»» l’Open Access è un tassello della Open Science, ovvero
della condivisione immediata di ogni passo della ricerca per
collaborare e trovare prima, insieme, soluzioni alle sfide
attuali
15
Capitolo 1
Scenario e problematiche aperte
Ivana Truccolo
1. Il paradigma “open”
La rivoluzione informatica dei computer e l’avvento
di Internet prima e del web poi, hanno portato inevi-
tabilmente con sé una rivoluzione nel modo di fare
scienza. È cambiato soprattutto il modo di diffondere
i contenuti e quindi il loro impatto sulla società, ma
non solo. La caratteristica principale è il cosiddetto
paradigma “open”, detto anche “quarto paradigma”
della scienza, da Jim Gray, un informatico che vin-
se il premio Turing nel 1998. Successivamente Tom
Hey et al.1 sistematizzarono tale concetto come un
possibile cambio di paradigma nel modo non solo
di diffondere, ma anche di produrre scienza. Pietro
Greco ne riassume i tratti in una breve, ma efficace
sintesi sul “quarto paradigma” pubblicata sulla rivista
MICRON2. Esso succede al primo che riguarda la de-
scrizione dei fenomeni naturali, al secondo relativo
1 Tony Hey, Stewart Tansley,Kristin Tolle. The fourth paradigm:
data-intensive scientific discovery. Microsoft Research, 2009
2 Pietro Greco, MICRON, 2012, 23:6-10 http://www.arpa.umbria.
it/resources/docs/micron%2023/06-MICRON_23.pdf
ivana truccolo
alla scoperta delle “leggi della natura” e al terzo cen-
trato sulla simulazione, resa possibile dalla rivoluzio-
ne tecnologica del computer.
Ora, è difficile capire se la possibilità di navigare,
usare, condividere e riutilizzare una mole immensa
di dati – essenza del quarto paradigma – costituisca
un vero e proprio cambio epistemologico del modo di
produrre scienza. In ogni caso, sicuramente, i cambia-
menti dovuti a questa opportunità sono immensi, le
ricadute importanti e, inevitabilmente, anche i rischi.
Se fino a dieci/quindici anni fa, per esempio, i ri-
cercatori ritenevano fondamentale pubblicare i pro-
dotti delle loro ricerche su riviste ad alto impatto e
indicizzate nelle banche dati specializzate per farli
conoscere alla comunità scientifica e acquisire au-
torevolezza e prestigio personale, ora tutto ciò non
è più sufficiente. Pubblicare su riviste prestigiose è
sempre importantissimo ma, innanzitutto, queste
si sono evolute, sono molto più “social”. In secondo
luogo è necessario, al contempo, fare in modo che i
contenuti siano non solo pubblicati ma anche pro-
mossi, fatti circolare, diffusi dai loro autori nel mag-
gior numero di luoghi virtuali e nel più breve tempo
possibile. In pratica vi è sempre più l’esigenza che
tali prodotti siano visibili, si facciano notare nel mare
magnum di pubblicazioni prestigiose (o presunte
tali, per autorevolezza delle fonti). È fondamentale
che siano condivisi per sperare che siano letti, riu-
tilizzati e citati da altri nei loro lavori e in future co-
municazioni, presentazioni, pubblicazioni. Quindi il
classico “publish or perish” ora è diventato “publish
and be social or perish”3
3 Priem J., Taraborelli D., Groth P., Neylon C., Altmetrics: A mani-
festo, 26 October 2010. http://altmetrics.org/manifesto
18
scenario e problematiche aperte
I social network, inizialmente legati alla sfera priva-
ta e ludica, hanno acquisito un ruolo importante an-
che nella promozione e condivisione della scienza4.
Basta notare che ormai tutte le banche dati specializ-
zate più prestigiose, sia pubbliche che commerciali,
le riviste specialistiche e le piattaforme integrate met-
tono a disposizione opzioni di condivisione attraverso
tutti i canali social e gli strumenti ad accesso mobile.
La contaminazione fra ambienti tradizionalmente se-
parati ha comportato una gestione diversa, adeguata
agli ambienti e agli strumenti, del diritto d’autore dei
contenuti che sono comunque, e rimangono, “opere
dell’ingegno”. Tutti questi aspetti verranno adegua-
tamente approfonditi nei capitoli di questo volume.
2. Rischi e opportunità
In questa situazione, in cui i confini tradizionali fra
ciò che è scientifico e ciò che non lo è sono saltati, e
nello stesso tempo nuove definizioni operative fatica-
no a imporsi con chiarezza e autorevolezza, ci è ap-
parso importante affrontare l’argomento con spirito
pratico.
Per prima cosa abbiamo cercato di disaggregare la
complessità, analizzando separatamente i vari con-
cetti di accesso aperto, diritti d’autore e metriche di
misurazione dell’impatto dei prodotti della comuni-
cazione scientifica. In secondo luogo, ci è sembrato
necessario offrire strumenti pratici alle persone che,
sempre più numerose e in un sempre maggior nu-
mero di contesti, si trovano a fare delle scelte in tema
4 Ferruccio Diozzi, Silvia Molinari, Francesca Gualtieri, Ivana
Truccolo. Cinque tesi sui social network. Biblioteche oggi, 2014,
32(4) http://www.bibliotecheoggi.it/rivista/article/view/91/374
19
ivana truccolo
di gestione dei diritti d’autore. I destinatari del nostro
lavoro non sono quindi solo uomini di scienza o arti-
sti o professionisti, ma anche persone “comuni” che
si cimentano nella condivisione di contenuti propri
o altrui in rete, a volte in modo piuttosto disinvolto.
Il nostro obiettivo è quindi anche sensibilizzare le
persone comuni ad acquisire coscienza delle proprie
azioni e implicazioni per sé e gli altri quando si muo-
vono nell’ambiente digitale.
È inoltre necessario innanzitutto prendere compiu-
tamente coscienza che i contenuti e i dati ad accesso
aperto non riguardano solo le comunicazioni scienti-
fiche in qualunque formato e supporto esse circolino,
ma un’immensa quantità e tipologia di informazioni
“grezze” la cui disponibilità di utilizzo e riutilizzo è
una delle caratteristiche più importanti del “quarto
paradigma”. Solo per restare alla biomedicina essi
possono riguardare tutti i dati della ricerca, e nello
specifico i seguenti:
a) dati sperimentali, legati all’osservazione diretta,
ad es. per testare il risultato dell’azione di un farma-
co su modelli sperimentali di patologia in vivo (su
modelli animali) o in vitro (su linee cellulari) o anche
non su organismi biologici (es. esperimento fisico
per testare un dispositivo medico);
b) dati clinici e di biomonitoraggio, relativi ad es. ad
immagini TAC, a prelievi di campioni biologici o al
carico corporeo di un inquinante chimico per effetto
di esposizione ambientale a contaminanti ambienta-
li;
c) dati di sorveglianza, riferiti in genere a grandi
quantità di dati utilizzati in studi epidemiologici di
incidenza o mortalità per malattia, oppure a dati de-
mografici su una popolazione affetta da malattie;
20
scenario e problematiche aperte
d) dati di simulazione (in silico), generati da pro-
grammi specifici in grado di riprodurre alcuni pro-
cessi biologici5.
C’è un filo rosso che lega il mondo dei dati ad ac-
cesso aperto, la tutela dei diritti d’autore delle opere
dell’ingegno nell’era digitale, le metriche di misu-
razione dell’impatto dei prodotti della ricerca, ma il
circuito che si crea non è sempre virtuoso. Essen-
do un circuito in cui c’è business, i rischi ci sono e
sono anche elevati. Non si tratta solo di rischi di tipo
economico-finanziario; c’è anche, per esempio, il ri-
schio di una svalutazione e un discredito dell’intero
mondo Open Access o di sottovalutazione del tema
dei diritti o, al contrario, di una sua ipervalutazione.
Come sempre, la mancata conoscenza dei dettagli e
dei meccanismi che stanno dietro a tali scelte cui gli
autori si trovano di fronte, per esempio al momento
della pubblicazione di un manoscritto, porta molti
autori ad agire senza essere pienamente consapevo-
li degli elementi da valutare prima di effettuare tali
scelte.
Pubblicare su riviste Open Access, infatti, è diven-
tata un’opzione che sempre più autori scelgono non
tanto per motivazioni razionali legate all’adesione
ideale ai principi del movimento Open Access e/o
come scelta dovuta ai progetti su cui stanno lavoran-
do, ma per ragioni strumentali legate semplicemen-
te ai criteri di valutazione della ricerca che si stan-
no affermando o ad altri fattori esterni. Tali criteri,
peraltro, sono requisiti necessari per permettere ai
5 Elisabetta Poltronieri, Paola De Castro. Gli ‘open data’ della ri-
cerca in biomedicina: accesso, barriere e condivisione. Bibliotime,
2014, 17(3) http://www.aib.it/aib/sezioni/emr/bibtime/num-x-
vii-3/poltronieri.htm
21
ivana truccolo
ricercatori di presentare progetti di ricerca e vederli
finanziati e quindi produrre altra ricerca, pubblica-
zioni, conoscenza; quindi sono criteri ineludibili, ma
l’intero meccanismo necessita di essere compreso.
La commistione fra ragioni ideali e pratiche, op-
portunità e rischi è “nelle cose”. Un atteggiamento
moralistico non serve, l’analisi puntuale dei fenome-
ni invece sì. Da una parte ci sono le ragioni ideali e
le immense opportunità pratiche che il movimento
Open Access porta con sé per le persone nei loro di-
versi ruoli di ricercatori, autori, divulgatori, lettori,
utenti. Dall’altra i rischi di incorrere in editori inaf-
fidabili e spregiudicati (“vanity press”) che abusano
e approfittano della parola “open”, del forte richiamo
che la “notorietà” ha per gli autori, della superficialità
che la troppa informazione porta con sé, per inserire
nel mercato prodotti simil-validi, in realtà banalmen-
te “tarocchi” nella maggior parte dei casi.
Il tema della qualità delle pubblicazioni peraltro
non investe assolutamente solo le riviste ad accesso
aperto. È in costante crescita, purtroppo, il fenome-
no delle frodi scientifiche. È accaduto di recente che
prestigiose riviste abbiano dovuto ritirare un grande
numero di articoli pubblicati perché frutto di mani-
polazioni o plagi6. La contaminazione fra comunità
scientifica e “non scientifica” è un elemento estrema-
mente positivo per la divulgazione scientifica, per il
trasferimento delle conoscenze e quindi per la demo-
crazia. Ma è intuibile che c’è il rischio della sottovalu-
tazione di temi che non sono immediatamente “do-
minabili”. Oltre a quelli che riguardano i contenuti
6 Joshua A. Krisch. Publisher Retracts Dozens of Studies, The Scien-
tist, 2016 November http://www.the-scientist.com/?articles.
view/articleNo/47408/title/Publisher-Retracts-Dozens-of-Stu-
dies/
22
scenario e problematiche aperte
divulgati e le modalità con cui circolano e, grazie alla
tecnologia e alla rete, raggiungono in un attimo un
enorme numero di persone in ogni parte del mondo,
ve ne sono altri legati ai diritti di proprietà intellet-
tuale dei contenuti, materia complessa anche per gli
addetti ai lavori. Ora anche i “non addetti ai lavori”
dovrebbero conoscerne perlomeno i capisaldi.
Molte sono le informazioni ad accesso aperto di-
sponibili sull’argomento, ma ciò che manca è un
supporto diffuso da parte dei professionisti dell’in-
formazione e comunicazione scientifica e strumenti
informativi semplici e pratici per le persone che ne
hanno bisogno nei diversi ruoli che si trovano a svol-
gere (autori, fruitori, divulgatori, riutilizzatori…).
L’idea di questa pubblicazione nasce proprio dalla
constatazione di questa mancanza e dall’esperienza
maturata dagli autori nei loro diversi ruoli di conosci-
tori dei temi specifici, di professionisti coinvolti nelle
diverse fasi di produzione e gestione della conoscen-
za, di formatori in vari corsi tenuti in Italia e all’estero
a colleghi, ricercatori e cittadini, di facilitatori. L’era
dell’accesso aperto, infatti, chiama ciascuno di noi, e
non più solo gli addetti ai lavori, a una maggiore con-
sapevolezza sui temi che tratteremo in questa pubbli-
cazione. Nulla è scontato su questo argomento.
È necessario che i bibliotecari, i documentalisti e
gli altri operatori culturali adottino un atteggiamento
pragmatico di fronte alle sfide che tale realtà com-
porta. È indispensabile adeguino le loro conoscenze
teoriche e pratiche, facciano autoformazione e for-
mazione continua dei loro utenti nei modi che ogni
situazione potrà richiedere. Lo spazio che si è aperto
è grande.
23
ivana truccolo
Vi è però un’azione preliminare da compiere. Spesso
la formazione propria e altrui non è efficace perché
prevalgono nei discenti credenze pregresse, magari ir-
razionali, ma profondamente radicate sui temi trattati.
Sono credenze che non solo i “non addetti ai lavori”
ma anche i ricercatori, i biblio-documentalisti e i pro-
fessionisti dell’informazione hanno e questo si riflette
nel fare o non fare supporto esperto ai propri utenti.
Si tratta quindi preliminarmente di far emergere
tali credenze pregresse, dare loro dignità di dubbio,
di quesito e affrontarle a viso aperto. Solo così è pos-
sibile che ciò che apprendiamo resti, modifichi le no-
stre convinzioni e ci muova ad agire.
Anche per trattare di accesso aperto, diritti d’autore
e metriche alternative, insomma, è necessario emo-
zionarsi per imparare7.
Indicherò di seguito alcune di tali false credenze,
quesiti, dubbi rilevati in modo empirico nelle fasi di
preparazione e di svolgimento dei corsi e in tali sedi
affrontati. L’obiettivo è da un lato affrontare tali cre-
denze spesso errate, dall’altro capirne le ragioni e ap-
prendere ciò che serve per muoversi con sicurezza in
questa realtà in evoluzione.
3. Alcune questioni aperte e false credenze
a) I temi legati al copyright, all’accesso aperto e alle me-
triche di misurazione sono di carattere “amministrati-
vo-burocratico”, quindi di secondaria importanza per la
ricerca.
7 Daniel Goleman. Intelligenza sociale ed emotiva nell’educazione e
nel lavoro. Erickson, 2014
24
scenario e problematiche aperte
Questa credenza è diffusa nella mente di molti ri-
cercatori-autori. Ma non è così per una ragione molto
semplice: le ricadute che scelte poco fondate in tema
di Open Access e diritti d’autore hanno dirette ricadu-
te sulla possibilità per i ricercatori di ottenere finan-
ziamenti e quindi di fare ricerca. È auspicabile che
questa pubblicazione aiuti ogni lettore a trovare pro-
prie convinte ragioni circa l’importanza di tali temi.
b) Tutto ciò che è social è anche open; in altre parole,
piattaforme social quali ResearchGate.net, Academia.
edu o simili e gli archivi istituzionali ad accesso aperto
sono intercambiabili e quindi pubblicare i propri lavori
su una o l’altra di queste piattaforme è indifferente.
Non è così. Tale confusione è legata a molteplici
fattori, in primis al fatto che il bisogno di visibilità è
ormai prioritario a quello di attenta conoscenza de-
gli strumenti utilizzati per veicolare i nostri con-
tenuti. Anche qui, nessun giudizio di valore su tali
strumenti (che anzi sono indubbiamente utili), ma
l’affermazione della necessità di una corretta analisi
e conoscenza dei vari strumenti che si vanno a usare
e di ciò che ci possiamo attendere.
c) Depositare su archivi ad accesso aperto i prodotti dei
progetti afferenti al programma europeo Horizon 2020 è
solo un obbligo da adempiere.
Se ciò viene percepito come l’ennesimo obbligo, se
ne svilisce il senso e non si coglie l’importante signi-
ficato rivestito da tale indicazione per la comunità
scientifica e l’intera società.
d) Pubblicare in Open Access significa perdere i diritti
su ciò che si è pubblicato, correre il rischio di vedere i
25
ivana truccolo
propri lavori pubblicati con il nome di altri che se ne sono
appropriati senza riconoscerci la titolarità.
Tale convinzione è molto diffusa, in alcune persone
è di carattere “viscerale”. In realtà, come vedremo nei
capitoli che seguono, l’aspetto della paternità “scien-
tifica” e “morale” delle opere di ricerca e divulgazione
non ha nulla a che fare con le modalità di gestione
dei diritti di utilizzo (copyright).
e) Non ci sono strumenti affidabili per valutare la se-
rietà delle riviste ad accesso aperto.
Anche questa è credenza infondata; gli strumenti
ci sono e bisogna conoscere potenzialità e limiti di
ognuno, considerando ovviamente che si tratta di
nuove forme che devono arrivare ancora a piena ma-
turazione.
f ) Pubblicare su riviste Open Access significa “comprar-
si” la pubblicazione, eludere il processo di “peer review”.
Tale credenza è molto radicata e la diffusione della
“vanity press” non aiuta a fugare i dubbi. È partico-
larmente importante approfondire l’argomento nelle
sue varie sfaccettature. Un atteggiamento critico, pe-
raltro, si dovrebbe tenere anche nei confronti delle
pubblicazioni non open.
g) Le licenze di libera distribuzione di opere dell’inge-
gno tipo Creative Commons, nelle loro varie sfumature e
combinazioni, riguardano solo le opere di intrattenimen-
to culturale (musica, video, immagini) e non il mondo
della ricerca scientifica.
Non è così; queste licenze riguardano qualsiasi
opera e quindi anche le pubblicazioni scientifiche e
i relativi dati. A maggior ragione è doveroso per tutti
26
scenario e problematiche aperte
acquisire familiarità con tali licenze e le loro impli-
cazioni.
h) Le metriche diverse dagli indicatori tradizionali –
cosiddette Altmetrics – sono meno affidabili di quelle tra-
dizionali quali Impact Factor ed H-index nel misurare
l’impatto delle pubblicazioni scientifiche, e comunque
sono alternative e non complementari.
È importante approfondire tale falsa credenza, mol-
to dannosa; e lo faremo illustrando nel dettaglio il
funzionamento di queste nuove metriche.
i) L’interesse per l’argomento delle metriche diverse dalle
tradizionali è accessorio, “sfizioso”, riservato agli appas-
sionati dei social, privo di interesse per la comunicazione
scientifica. Tale credenza è molto diffusa ed è auspica-
bile che ciò che spiegheremo in queste pagine possa
servire a dipanare tale perniciosa quanto infondata
credenza e a saper cogliere le opportunità legate all’e-
voluzione di tali metriche.
Questi sono solo alcuni delle credenze diffuse più o
meno implicitamente in tema di Open Access e libe-
ra disponibilità della conoscenza scientifica. Questa
pubblicazione ha l’obiettivo non solo di affrontarli,
ma di creare un clima amichevole e di dialogo con i
lettori.
27
Capitolo 2
La comunicazione scientifica nell’era
digitale
Elena Giglia
1. La comunicazione scientifica è un mondo
complesso
L’idea di “comunicazione scientifica” che comune-
mente abbiamo è associata solo al prodotto finito,
ovvero l’articolo su rivista o il libro. In realtà, il ciclo
della comunicazione scientifica si configura come
un intreccio stratificato di diversi ambiti e processi,
profondamente interconnessi fra loro, che vanno
sempre considerati nella loro complessità per evitare
di avere un quadro parziale e distorto. Proviamo a
elencarli.
Sul piano della produzione, vanno tenuti in consi-
derazione almeno due aspetti.
Il primo – che sembra banale ma non lo è – è le-
gato alle differenze disciplinari fra le scienze esatte
e le scienze umane e sociali. Le scienze esatte si ca-
ratterizzano per la pubblicazione di articoli su riviste
internazionali, in lingua inglese, con un alto livello
elena giglia
di collaborazione, per cui ogni contributo ha diversi
autori, e con un alto tasso di obsolescenza, per cui
spesso un articolo dopo sei mesi viene superato. Le
scienze umane e sociali, per la natura dei loro inte-
ressi di ricerca, pubblicano invece libri, tipicamente
con un solo autore, o raccolte di saggi ma sempre di
singoli autori, nelle lingue nazionali, con un tasso di
obsolescenza assai basso: gli studi di riferimento in
una disciplina vengono citati per anni. Nell’area del-
le scienze esatte, poi, da decenni è invalso il metodo
della peer review (revisione dei pari), ovvero dell’esame
critico, prima della pubblicazione, da parte di almeno
due esperti del settore (con competenze ed esperien-
za “pari” a quelle dell’autore). Nell’area delle scienze
umane e sociali, forse per la loro natura meno og-
gettiva, vale di più il prestigio del singolo autore o
la decisione del comitato editoriale sull’accettazione
o meno di un contributo o di un volume. Non tener
conto di queste differenze, per esempio, al momento
della valutazione della ricerca, significa misurare con
uno strumento distorto.
L’altro elemento fondamentale da considerare sul
piano della produzione è legato all’evoluzione della
tecnologia, per cui oggi articoli e libri nascono in for-
mato digitale. Le scienze esatte da anni ormai sono
passate alla lettura digitale e online, mentre le scien-
ze umane e sociali sono ancora molto legate al volu-
me cartaceo tradizionale, e anche di questo va tenu-
to conto, perché cambiano gli strumenti di accesso
e di verifica dell’impatto, per esempio: mentre nelle
scienze esatte da anni esistono banche dati online,
non esistono banche dati che forniscano un unico
punto di accesso per la ricerca o che traccino le cita-
zioni o le recensioni in area umanistica. Dal punto
30
la comunicazione scientifica nell’era digitale
di vista editoriale, poi, è da rilevare che molti editori
non hanno ancora sfruttato appieno le potenzialità
del web, limitandosi in un certo senso a trasferire
online la versione tradizionale cartacea dell’articolo o
del libro sotto forma di pdf, anche in area scientifica.
In realtà, il web e il formato digitale offrono molto
di più, a livello di ricerca, a livello di “liquidità” della
pubblicazione, di legami ipertestuali, di servizi a va-
lore aggiunto come il legame diretto a banche dati o
la possibilità di scrittura collaborativa o di commento
sul web.
Produrre un lavoro scientifico significa anche ge-
stirne i diritti. Per una trattazione approfondita ri-
mando al capitolo dedicato al tema in questo stesso
volume; ai nostri fini serve solo sottolineare come la
diffusione della cattiva prassi della cessione di tutti i
diritti (copyright transfer agreement) richiesta dagli edi-
tori spogli l’autore di ogni diritto sulla propria opera.
I diritti vengono esercitati dagli editori, con impor-
tanti ripercussioni anche sulle pratiche Open Access,
come vedremo al paragrafo 4, e sull’uso delle tecni-
che di estrazione del contenuto (text e data mining).
Ma la legge italiana sul diritto d’autore prevede invece
(art. 19) che i diritti di sfruttamento economico siano
fra di loro indipendenti, per cui alcuni potrebbero es-
sere mantenuti, ed esistono gli strumenti contrattuali
per farlo. È cruciale che gli autori siano sensibilizzati
su questo, anzi, che facciano pressione per ottenere
eccezioni al copyright funzionali alla diffusione della
conoscenza, che ha logiche ben diverse dal mercato
della musica o dell’intrattenimento, come ricorda la
31
elena giglia
giovane parlamentare europea Julia Reda nella sua
battaglia per la riforma sulla Direttiva sul copyright1.
Non si può pensare alla produzione senza conside-
rare poi la distribuzione, che tradizionalmente per le
riviste cartacee avveniva per mezzo degli abbonamen-
ti. Il potenziale dirompente del digitale in termini di
accesso globale e di azzeramento dei costi di dissemi-
nazione è stato molto ridimensionato dal fatto che si
siano perpetuati i meccanismi della distribuzione su
carta anche nel mondo digitale, che ha invece logiche
e dinamiche profondamente diverse. L’introduzione
dei cosiddetti “big deals”, ovvero contratti di accesso
online per interi pacchetti di riviste di un editore, è
stato un fenomeno che, lungi dal generare risparmi,
ha invece contribuito alla crescita esponenziale dei
prezzi oltre a togliere ogni potere di scelta e negozia-
zione alle biblioteche, rafforzando di fatto l’oligopo-
lio dei grandi gruppi editoriali internazionali, come
vedremo fra poco. Al tradizionale abbonamento si
sono affiancati altri modelli, legati all’Open Access,
che prevedono l’accesso per tutti e, in alcuni casi, il
pagamento delle spese di pubblicazione; sempre in
Open Access, si sta assistendo a una vera e propria
rivoluzione – che vedremo nei paragrafi successivi
– su forme e modi di pubblicazione, che si stanno
sganciando sempre più dalle riviste intese in modo
tradizionale. Ma se rimaniamo nell’ambito delle for-
me canoniche di pubblicazione, il digitale ha creato
maggiore squilibrio fra produttori (editori) e fruitori
(es. le biblioteche) poiché si è passati dal “possesso”
1 Reda J. Why academics need to lobby for copyright refor, now.
Video. Sept. 2, 2015 https://juliareda.eu/2015/09/academi-
cs-for-copyright-reform/ . Sulla pagina ufficiale di Julia Reda
si trovano tutti gli aggiornamenti sul copyright al Parlamento
Europeo: https://juliareda.eu/en/
32
la comunicazione scientifica nell’era digitale
del volume o della rivista cartacea alle “licenze di ac-
cesso” al contenuto, intese e imposte come maggiore
restrizione dei diritti invece che maggiore facilità di
disseminazione, con gravi ripercussioni anche sul
piano della conservazione.
La conservazione sul lungo periodo della produzio-
ne scientifica digitale non è mai abbastanza conside-
rata. Ognuno di noi ha file su vecchi floppy disk, che
sono irrimediabilmente persi a meno che siano stati
migrati su altri supporti, mentre sono ancora perfet-
tamente accessibili riviste cartacee di decenni fa. E
non è solo questione di supporti: si pensi ai formati,
ai linguaggi di programmazione, alla capacità degli
archivi digitali che devono conservare terabyte di dati,
con i costi connessi. E il problema è ancora maggiore
se si pensa alla conservazione dei dati della ricerca,
non solo delle pubblicazioni. Tutto questo non è se-
condario, a maggior ragione se si pensa che le biblio-
teche, luoghi da sempre deputati alla conservazione,
non possiedono più volumi di carta; ora hanno solo
volatili licenze di accesso a contenuti che non risiedo-
no fisicamente presso i locali della biblioteca stessa,
ma su un server remoto dell’editore, moltiplicando i
rischi.
In più, si tende a ignorare completamente che pro-
duzione, distribuzione e conservazione hanno dei
costi. Sul costo reale di un articolo scientifico e sul
peso che le diverse componenti hanno assunto con
il digitale – costo di prima copia, magazzino, server
sicuri, gestione dei diritti digitali, etc. – la letteratu-
ra è sterminata. A prescindere dai lavori “classici” di
Carol Tenopir e Donald King2, l’economista australia-
2 Cfr. ad esempio King D.W. The cost of journal publishing: a li-
terature review and commentary. Learned Publishing, April
33
elena giglia
no John Houghton ha ricostruito con minuzia i costi
legati alla produzione di un articolo scientifico3, che
danno ragione della complessità dei fattori coinvolti
al di là dei banali costi di magazzino, venuti a cessare
col digitale, cui di solito si fa riferimento. Ma non è
su questo che occorre riflettere.
In questa sede interessano altri due elementi, non
le cifre esatte, né il fatto che l’avvento del digitale
avesse fatto sperare in un abbattimento dei costi e
abbia invece generato crescite esponenziali.
Dapprima interessa notare che il mercato della co-
municazione scientifica è un mercato anelastico, os-
sia un mercato in cui i prezzi non sono legati a costi
effettivi di produzione ma piuttosto al prestigio: in
altre parole, non vige la legge della domanda e dell’of-
ferta. I costi di produzione, nel digitale, tendono a
zero, e la peculiare natura di “bene non rivale” tende
altrettanto ad azzerare i prezzi, perché da una copia
digitale si possono produrre infinite identiche copie,
tutte fruibili in contemporanea. Ma i prezzi sono
esorbitanti ugualmente. Perché? Perché non sono
legati a costi reali; si paga il prestigio di leggere/scri-
vere su riviste che sono diventate un vero e proprio
“marchio”, in virtù dei loro processi di selezione, del
peso dei loro comitati scientifici e così via. In altre
parole, se si vuole leggere ciò che è pubblicato su
Nature, si paga l’abbonamento a Nature, non esiste
2007, 20, pp. 85-106 e King, D. W. – Tenopir C. Some econo-
mic aspects of the scholarly journal system. Annal Review of In-
formation Science Technology. 2011, 45: 295-366. doi:10.1002/
aris.2011.1440450114
3 Houghton J. – Rasmussen B. – Sheehan P. et al. Economic im-
plications of alternative scholarly publishing models: Exploring the
costs and benefits. Report to JISC. 2009. http://repository.jisc.
ac.uk/278/
34
la comunicazione scientifica nell’era digitale
concorrenza. Inoltre, nessun articolo, essendo per
sua natura unico e originale, può essere sostituito da
un altro, quindi, di nuovo, non esiste concorrenza;
il ricercatore ha necessità di leggere l’uno e l’altro,
poiché ogni articolo apporta informazioni diverse, e
di conseguenza le biblioteche devono fornire accesso
al maggior numero di riviste possibile4. In virtù di
queste logiche, i prezzi che gli editori possono per-
mettersi di applicare sono del tutto arbitrari, poiché
le riviste vengono comprate comunque. Questo ge-
nera profitti enormi, basati su un lavoro intellettuale
da parte degli autori che nella maggior parte dei casi
è gratuito e non retribuito.
Il secondo fattore da sottolineare è proprio l’ordi-
ne di grandezza del mercato dell’editoria scientifica,
che nella sola area delle scienze esatte è stimato in 30
miliardi di dollari all’anno5. Come scrive il professor
Jean Claude Guédon, uno dei padri dell’Open Access,
Negli ultimi cinquant’anni, gli editori sono riusciti
a trasformare le riviste accademiche – una intrapresa
editoriale tradizionalmente non promettente e al più
secondaria – in un grosso affare. Come siano riusci-
ti a creare tassi di profitto estremamente alti è una
storia che non è ancora stata raccontata chiaramente
[…] Questo saggio si chiede se i risultati della ricerca
di base nella scienza, nella tecnologia e nella medici-
4 Su questo tema si possono leggere Bergstrom T.C. – Bergstrom
C.T. Can “author pays” journals compete with “reader pays”? Na-
ture Web focus on Access to the literature. May 2004 http://
www.nature.com/nature/focus/accessdebate/22.html e Van
Noorden R. Open access: The true cost of science publishing. Natu-
re. 495, 426–429 (28 March 2013) doi:10.1038/495426a http://
www.nature.com/news/open-access-the-true-cost-of-science-
publishing-1.12676
5 Outsell. STM 2016 market size, share, forecast, and trend report
https://www.outsellinc.com/search/d7entity/51769
35
elena giglia
na – risultati che, se visti in termini commerciali, si
trovano in una fase pre-concorrenziale e che, in qual-
che caso, possono anche salvare delle vite – rimar-
ranno parte del patrimonio collettivo di conoscenza
dell’umanità (commons), o saranno gradualmente
confiscati a vantaggio di élites scientifiche e aziendali
sempre più ristrette6.
Oggi, la comunicazione, che dovrebbe essere l’es-
senza della scienza, è in realtà subordinata agli in-
teressi commerciali di uno degli attori coinvolti, i
grandi gruppi editoriali. Ma, come ci ricorda ancora
Guédon, «gli interessi economici non dovrebbero in
nessun caso interferire con il potenziale di un libero
sistema di comunicazione scientifica destinato e di-
segnato per aiutare l’umanità – l’umanità intera – a
far crescere la conoscenza»7.
Il meccanismo della comunicazione scientifica e
soprattutto il suo mercato non si comprendono ap-
pieno, però, se non si considera anche il piano della
valutazione della ricerca, che in parte offre una rispo-
sta all’interrogativo di Guédon. Non è un caso che il
famoso JCR - Journal Citation Reports, la banca dati
che calcola l’Impact Factor, sia stato creato nel 1955
da Eugene Garfield proprio per offrire alle bibliote-
che uno strumento utile a stilare, sulla base del con-
to delle citazioni ricevute, “classifiche” di riviste in-
6 Guédon J.C. La lunga ombra di Oldenburg: i bibliotecari, i ricer-
catori, gli editori e il controllo dell’editoria scientifica, Traduzione
dall’originale inglese di M.C. Pievatolo, B. Casalini, F. Di Dona-
to, Metexis, 2004, http://hdl.handle.net/10760/5636
7 Guédon J.C. Open Access:toward the Internet of the mind, Feb.
23, 2017, http://www.budapestopenaccessinitiative.org/open-
access-toward-the-internet-of-the-mind
36
la comunicazione scientifica nell’era digitale
dispensabili da acquistare8. Essere presenti o meno,
quindi, in JCR, per una rivista non è indifferente. Né
è indifferente per un ricercatore pubblicare su una
rivista con Impact Factor elevato, dato che il “fattore
di impatto”, da mero indice bibliometrico, si è trasfor-
mato nel corso degli anni anche nel principale indica-
tore per valutare la produzione scientifica dei singoli
autori, nonostante lo stesso Garfield abbia sempre
messo in guardia da questo utilizzo improprio9.
Va da sé che i criteri di valutazione della ricerca, dai
quali dipendono carriere e finanziamenti, informa-
no profondamente i comportamenti dei ricercatori:
se l’Impact Factor della rivista resta l’unico criterio
premiante, il ricercatore sarà ovviamente incentivato
a pubblicare sulle riviste con più alto Impact Factor,
perpetuando il fraintendimento per cui queste sia-
no le riviste più “prestigiose”, ovvero le riviste che,
avendo un altissimo indice di articoli rifiutati dai re-
visori, pubblicano solo le ricerche migliori e ottengo-
no quindi il maggior numero di citazioni. In realtà,
se si compara l’indice di Impact Factor e il numero
di ritrattazioni di articoli per frode, manipolazione,
falsificazione o invenzione dei dati, la correlazione è
altissima10, al punto che il professor Björn Brembs
parla di queste riviste come di quelle che pubblicano
8 Garfield, E. Citation indexes to science: a new dimension in do-
cumentation through association of ideas. Science. 1955, 122, pp.
108–11, http://garfield.library.upenn.edu/essays/v6p468y1983.
pdf
9 Garfield, E. The history and meaning of the Journal Impact Factor.
JAMA. Jan. 4, 2006, 295, 1, http://www.garfield.library.upenn.
edu/papers/jamajif2006.pdf
10 Fang F.C. – Casadevall A. Retracted Science and the Retraction In-
dex. Infection and Immunity. October 2011, 79, 10, 3855-3859,
http://iai.asm.org/content/79/10/3855.full
37
elena giglia
la scienza “meno attendibile”11. La pressione a pub-
blicare su riviste prestigiose porta con sé la tenden-
za a comportamenti scorretti – basta sfogliare il blog
scientifico Retraction watch12 per rendersene conto:
ogni giorno appaiano notizie di ritrattazioni sulle ri-
viste più “prestigiose”, che pure millantano una seve-
ra peer review e che costano di più; a riprova del fatto
che i prezzi alti siano indice di prestigio e di rendite
di posizione ma non sempre di reale qualità.
L’impatto che le regole di valutazione hanno avuto
su come la scienza viene prodotta meriterebbe un ar-
ticolo a parte; ricordiamo solo almeno altri due com-
portamenti adattivi degli autori – conseguenze non
volute o, se vogliamo, effetti collaterali – che contri-
buiscono a rendere disfunzionale il sistema attuale:
a) la pressione a pubblicare è tale che si tende a pre-
correre i tempi e pubblicare anche ricerche immatu-
re o a riproporre lo stesso soggetto in forme diverse
incrementando il “rumore” informativo; a loro volta,
i curatori delle riviste, sommersi da una pletora di
proposte di pubblicazione, spesso giudicano in pri-
ma battuta solo dall’affiliazione o dagli indici biblio-
metrici degli autori, a scapito del contenuto13;
b) per essere pubblicati, si scelgono solo argomenti
di moda (mainstream) o canali rapidi quali l’articolo
di rivista, a scapito sia della “biodiversità” del pensie-
11 Brembs, B. Even without retractions, ‘top’ journals publish the le-
ast reliable science. Blog post. Jan. 12, 2016 http://bjoern.brembs.
net/2016/01/even-without-retractions-top-journals-publish-
the-least-reliable-science/
12 Retraction watch blog, http://retractionwatch.com/
13 Castellani T. – Pontecorvo E. – Valente A. Epistemological Con-
sequences of Bibliometrics: Insights from the Scientific Community.
Social Epistemology Review and Reply Collective, 2014, 3, 11. p.
1-20
38
la comunicazione scientifica nell’era digitale
ro sia della “bibliodiversità” legata ai canali preferen-
ziali di comunicazione nelle diverse discipline. Ad
esempio, chi può permettersi oggi di spendere anni
per la redazione di una edizione critica?
Separare la comunicazione della scienza dalla sua
valutazione è un obiettivo fondamentale, se l’orizzon-
te è quello del progresso e dell’efficacia della scienza
stessa, e non il mantenimento delle attuali rendite di
posizione14.
2. Come funziona la comunicazione scientifica (se
funziona davvero)
Dalla nascita delle Philosophical Trasactions di Lord
Oldenburg (1665), le riviste scientifiche assolvono a
quattro sostanziali funzioni: registrazione, archivia-
zione, pubblicità, conservazione, alle quali in una
riflessione successiva si è aggiunta la ricompensa de-
rivante dal prestigio e dal riconoscimento di compe-
tenze15: abbiamo appena notato che per una scienza
più efficace sarebbe utile separarle nuovamente.
Le stesse funzioni vengono assolte dalle monogra-
fie; tuttavia, ai fini del nostro discorso, prenderemo
qui in esame le riviste, poiché hanno dinamiche più
strutturate e offrono esempi più eclatanti delle di-
sfunzioni della comunicazione scientifica attuale.
14 Guédon J.C. Open Access:toward the Internet of the mind, Feb.
23, 2017, http://www.budapestopenaccessinitiative.org/open-
access-toward-the-internet-of-the-mind
15 Rosendaal H. – Geurts P. Forces and functions in scientific com-
munication: an analysis of their interplay. CRISP 1997, http://
www.physik.uni-oldenburg.de/conferences/crisp97/roosenda-
al.html
39
elena giglia
2.1. Un’analisi di mercato
Quando un autore termina una ricerca, propo-
ne il suo articolo per la pubblicazione a una rivista
(submission). Il curatore o capo redattore (editor) as-
segna il lavoro in lettura a due esperti della materia
(reviewers) che devono giudicare della bontà dell’ar-
ticolo ed eventualmente suggerire correzioni. Sulla
base del giudizio (peer review) dei revisori, esperti
della materia, l’articolo viene rifiutato (rejected) oppu-
re pubblicato (accepted). Occorre sottolineare che gli
autori non ricevono alcun compenso economico per
il loro lavoro; il ritorno atteso è piuttosto in termini di
reputazione e possibilmente di citazioni. Non vengo-
no retribuiti neppure i revisori, che sono esperti della
stessa materia.
Eppure, intorno alla comunicazione scientifica gi-
rano molti soldi, e non sempre in modo funzionale
agli interessi della scienza. Iniziamo dal paradosso
per cui ogni ente di ricerca nel mondo paga la propria
ricerca – spesso con fondi pubblici, ricordiamolo –
quattro volte poiché:
• stipendia il ricercatore;
• finanzia la ricerca;
• una volta che l’articolo è pubblicato su una rivista scien-
tifica, l’ente deve pagare l’abbonamento, per leggere ciò
che i propri ricercatori hanno scritto. (Per dare un’idea
molto concreta dell’ordine di grandezza, l’Università di
Torino, ogni anno, spende 2.100.000 euro in abbona-
menti a riviste scientifiche);
• il ricercatore stesso, per riutilizzare i propri lavori, deve
pagare diritti di riuso sul proprio lavoro, poiché è vincola-
to da un contratto di cessione esclusiva dei diritti a favore
dell’editore.
40
la comunicazione scientifica nell’era digitale
Dal 1986 al 2011 il costo degli abbonamenti è cre-
sciuto del 402%16. È il fenomeno della cosiddetta “se-
rial crisis”, che ha messo a dura prova le biblioteche
in tutto il mondo, e che è stato tra l’altro uno degli
elementi scatenanti del movimento Open Access17.
L’aumento sconsiderato dei prezzi delle riviste, in-
fatti, non si è accompagnato alla crescita proporzio-
nale dei fondi di finanziamento alle biblioteche, che
hanno visto al contrario decurtare i propri budget
in modo sostanziale. Di conseguenza, le università
sono state costrette a tagliare abbonamenti – come
abbiamo già ricordato, persino l’Università di Har-
vard18, che è uno degli atenei meglio finanziati al
mondo. Tutto ciò è paradossale, nel momento in cui
il web garantirebbe un accesso illimitato a tutti, a co-
sto zero; i ricercatori vengono quindi penalizzati sia
come autori (vengono letti di meno) sia come letto-
ri (possono leggere di meno, a detrimento della loro
curiosità, che è alla base del ciclo della creazione di
nuova conoscenza), sia come revisori (hanno meno
possibilità di verificare le fonti citate nel lavoro che
stanno giudicando).
A tutto questo si aggiunga che, nonostante i ricer-
catori non vengano pagati né come autori né come
revisori quando pubblicano su una rivista, il giro d’af-
fari dell’editore Elsevier è di 8.240 milioni di euro,
16 ARL Statistics 2011-2012, http://www.arl.org/stats/annualsur-
veys/arlstats/arlstats11.shtml . Il volume non è più accessibile
gratutitamente.
17 Suber P. Open Access overview, 2003-2010, http://legacy.ear-
lham.edu/~peters/fos/overview.htm
18 Harvard University, Faculty Advisory Council Memorandum on
Journal Pricing. April 17, 2012 http://goo.gl/70Chmy
41
elena giglia
con un margine di guadagno netto del 38%19; quello
di Wiley è invece del 28%. I margini di profitto dei
grandi gruppi editoriali sono di quest’ordine e sono
comparabili a quelli dei giganti dell’industria farma-
ceutica o automobilistica, che però vendono beni di
consumo con costi vivi iniziali e non conoscenza pro-
dotta gratuitamente20. Questo dovrebbe farci riflette-
re, almeno su due punti.
Primo, un margine netto del 38% significa che,
su 100.000 euro di fondi pubblici – ovvero di tasse
pagate da noi tutti – con cui vengono pagati gli ab-
bonamenti, 38.000 vanno a finire nelle tasche degli
azionisti – privati – di Elsevier21. Secondo, in questo
momento stiamo pagando gli editori non perché dif-
fondano i lavori dei nostri autori – il significato di
“pubblicare” è “rendere pubblico”! –, ma perché, di
fatto, li mettano sotto chiave, nelle riviste su abbona-
mento, ogni anno più care e quindi meno accessibili
sia alle stesse istituzioni di ricerca sia alle piccole e
medie imprese sia ai professionisti: chi può permet-
tersi di pagare 5000 euro di abbonamento a una ri-
vista?
Anche su questo occorre riflettere. Che ci sia una
crisi globale di accesso ai contenuti è dimostrato dal
successo planetario di Sci-Hub, il sito “pirata” creato
19 Reed Elsevier Annual Report 2015, http://www.relx.com/media-
centre/pressreleases/2016/Pages/annual-report-2015.aspx
20 Chen L. Best of the biggest: How profitable are the world’s largest
companies? Forbes. 13 May 2014 http://www.forbes.com/sites/
liyanchen/2014/05/13/best-of-the-biggest-how-profitable-are-
the-worlds-largest-companies/
21 Taylor M. The obscene profits of commercial scholarly publishers.
Blog post. Jan. 13, 2012, http://svpow.com/2012/01/13/the-ob-
scene-profits-of-commercial-scholarly-publishers/.
42
la comunicazione scientifica nell’era digitale
dalla ricercatrice Alexandra Elbakian22. Sci-Hub è ille-
gale, ma viene quotidianamente utilizzato da ricerca-
tori di tutto il mondo23, anche in nazioni o istituzioni
apparentemente ricche che finanziano largamente
la ricerca24, sfatando l’argomentazione degli editori
commerciali secondo cui non vi sarebbe alcun pro-
blema di accesso con il sistema attuale di comuni-
cazione scientifica. Il progetto Who needs access?25 ha
raccolto negli anni storie significative di medici, oste-
triche, insegnanti, professionisti, studenti che sono
stati limitati nella loro pratica dal mancato accesso
alla ricerca accademica.
2.2. Un mercato senza concorrenza né trasparenza
Consideriamo ancora qualche tassello dal punto di
vista dell’analisi di mercato.
Intanto, si tratta di un mercato sempre più carat-
terizzato dall’oligopolio. Lo studio più recente sulla
configurazione del mercato rileva, a partire dallo stu-
dio di quarantacinque milioni di articoli indicizzati
nella banca dati Web of Science negli anni 1973-2013,
l’assoluta predominanza di cinque gruppi editoriali,
Reed-Elsevier, Wiley-Blackwell, Springer, e Taylor &
22 Oxenham, Simon, Meet the Robin Hood of Science, blog post,
“Big Think blog”, February 12, 2016 http://bigthink.com/neu-
robonkers/a-pirate-bay-for-science
23 Bohannon J. Who’s downloading pirated papers? Everyone. Scien-
ce. Apr. 28, 2016, DOI: 10.1126/science.aaf5664, http://www.
sciencemag.org/news/2016/04/whos-downloading-pirated-pa-
pers-everyone
24 Greshake B. Correlating the Sci-Hub data with World Bank In-
dicators and Identifying Academic Use. The Winnower, 2016,
4:e146485.57797. DOI: 10.15200/winn.146485.57797
25 Who needs access?, https://whoneedsaccess.org/
43
elena giglia
Francis (cui si aggiungono rispettivamente Ame-
rican Chemical Society in area scientifica e Sage in
area delle scienze sociali) che da soli pubblicano il
53% degli articoli in area scientifica e il 51% nell’a-
rea delle scienze umane e sociali26. Se si considera
la sola area scientifica, tre gruppi editoriali (Reed-El-
sevier, Wiley e Springer) raggiungono da soli il 47%
delle pubblicazioni, con una netta predominanza di
Elsevier, che configura una sorta di monopolio nell’o-
ligopolio27. L’oligopolio, come abbiamo visto, genera
profitti enormi, al punto che il mercato della comu-
nicazione scientifica è stato definito «The most profi-
table obsolete technology in history»28.
In secondo luogo, si tratta di un mercato assoluta-
mente opaco in cui sembrano non valere le regole di
trasparenza. I contratti di accesso alle riviste vengono
negoziati da consorzi di biblioteche a livello naziona-
le. Gli editori impongono sui contratti delle clausole
di riservatezza, per cui non è possibile diffondere in-
formazioni sui costi effettivamente pagati. In sostan-
za, le biblioteche sono costrette ad accettare i prez-
zi imposti dagli editori, per garantire ai loro lettori
l’accesso alle riviste su cui si basa la diffusione dei
risultati e, come abbiamo visto, la valutazione della
26 Larivière V. – Haustein S. – Mongeon P. The Oligopoly of Aca-
demic Publishers in the Digital Era. PLoS ONE. 2015, 10(6):
e0127502. doi:10.1371/journal.pone.0127502 http://journals.
plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0127502
27 Larivière V. – Haustein S. – Mongeon P. The Oligopoly of Aca-
demic Publishers in the Digital Era, in «PLoS ONE» 2015, 10(6):
e0127502. doi:10.1371/journal.pone.0127502 http://journals.
plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0127502
28 Schmitt J. Academic journals: The most profitable obsolete techno-
logy in history. The Huffington Post Blog. 23 December 2014,
http://www.huffingtonpost.com/jason-schmitt/academic-jour-
nals-the-mos_1_b_6368204.html.
44
la comunicazione scientifica nell’era digitale
ricerca, ma non possono rivelare quanto spendono a
causa delle clausole di riservatezza. A tutt’oggi, i due
studi che hanno cercato di aprire la “scatola nera”
dei contratti editoriali hanno dovuto adire la via le-
gale dell’accesso pubblico agli atti per ottenere le in-
formazioni desiderate: un controsenso se pensiamo
che stiamo parlando di fondi pubblici29; mentre in
un caso più recente l’editore Elsevier ha cercato di
impedire con un ricorso in tribunale l’accesso ai dati
in Olanda30.
In questo modo, i grandi gruppi editoriali posso-
no segmentare artificiosamente il mercato e impor-
re prezzi differenti da nazione a nazione o da ente
a ente in modo arbitrario31, come candidamente am-
messo da David Tempest, vice direttore del settore
Universal Sustainable Research Access per Elsevier, in
un incontro tenuto a Oxford nel 201332: se infatti i
“clienti” fossero a conoscenza degli sconti o delle di-
29 Bergstrom T. – Courant P. – Mc Afee P. – Williams M. , Evalua-
ting big deal journal bundles. PNAS. 2014, 111, 26, 9425–9430,
doi: 10.1073/pnas.1403006111 http://www.pnas.org/con-
tent/111/26/9425.full e Lawson S. - Gray J. – Mauri M. Opening
the Black Box of Scholarly Communication Funding: A Public
Data Infrastructure for Financial Flows in Academic Publishing.
Open Library of Humanities. 2016, 2(1), p.e10. DOI: http://doi.
org/10.16995/olh.72
30 Publishers drag universities to court, press release, DUB news,
Dec. 22 2016, http://www.dub.uu.nl/artikel/nieuws/uitgeveri-
jen-slepen-universiteiten-voor-rechter.html
31 Bergstrom T. – Courant P. – Mc Afee P. – Williams M. , Evalua-
ting big deal journal bundles. PNAS. 2014, 111, 26, 9425–9430,
doi: 10.1073/pnas.1403006111 http://www.pnas.org/con-
tent/111/26/9425.full
32 Taylor M. Elsevier’s David Tempest explains subscription-contract
confidentiality clauses. Blog post. Dec. 20 2013, https://svpow.
com/2013/12/20/elseviers-david-tempest-explains-subscrip-
tion-contract-confidentiality-clauses/
45
elena giglia
verse tariffe applicate agli altri consorzi, ci sarebbe
una corsa al ribasso nelle richieste di negoziazione,
come d’altronde una sana pratica della concorrenza
suggerirebbe. Non è un caso allora che alla fine del
2016 sia giunta la prima citazione in giudizio contro
l’editore Elsevier per abuso di posizione dominante
di fronte all’Authority britannica, redatta dal profes-
sor Martin Paul Eve33.
La trasparenza sui contratti di accesso alle riviste è
quanto mai necessaria, poiché si tratta di fondi pub-
blici, ed è uno dei dodici punti di azione della Amster-
dam Call for action on Open Science, la lista di racco-
mandazioni per la scienza aperta su cui torneremo
nei paragrafi successivi34.
2.3. Un sistema in crisi?
A queste criticità macroscopiche legate alle dinami-
che e ai comportamenti del mercato, si aggiungono
altri elementi interni al sistema, tutti indice di una
crisi evidente.
a) I tempi lunghi di pubblicazione, che vanno dai
nove ai diciotto mesi35. Pensiamo a un caso come
33 Eve M. P. Referring Elsevier/RELX to the Competition and Mar-
kets Authority. Blog post. Dec. 3 2016, https://www.martine-
ve.com/2016/12/03/referring-elsevierrelx-to-the-competi-
tion-and-markets-authority/. A chi fosse interessato ad approfondire
questi aspetti, suggerisco come punto di partenza Giglia E. Editoria
scientifica e tutela del consumatore/ricercatore: si configura un abuso di
posizione dominante? 2016, http://hdl.handle.net/2318/1620738
34 Amsterdam Call for Action. April 2016, EUNL2016, ht-
tps://wiki.surfnet.nl/display/OSCFA/Amsterdam+Cal-
l+for+Action+on+Open+Science
35 Bjork B.C. – Solomon D. The publishing delay in scholarly peer-re-
viewed journals. Journal of Informetrics (2013) 7, 4, 914–923,
doi:10.1016/j.joi.2013.09.001
46
la comunicazione scientifica nell’era digitale
Zika in Brasile o una epidemia come Ebola, o ad arti-
coli sulle nuove tecnologie. Hanno senso, oggi, que-
sti tempi di pubblicazione?
b) La prevalenza della “pubblicabilità” sulla verità
scientifica, poiché fino a quando gli autori saranno
solo incentivati a pubblicare il maggior numero di la-
vori – e le riviste accetteranno solo ricerche su temi
“di moda” – “pubblicato” e “vero” non saranno più si-
nonimi36. Si è venuta a creare una disconnessione fra
ciò che è utile alla scienza e ciò che è utile al ricerca-
tore per fare carriera: senza giungere ai casi estremi
di frode, fermiamoci alla suddivisione dei risultati in
più lavori per avere una riga in più sul curriculum o
alla mancata pubblicazione di risultati negativi, che
sono essenziali per la scienza ma che nessuna rivista
prestigiosa accetta. Tutto questo va contro gli interes-
si della scienza, che dovrebbe essere approssimarsi
alla verità e non pubblicare una pletora di risultati
eclatanti ma magari falsi37 o quantomeno discutibili.
c) La scarsità artificiale: per mantenere il prestigio
acquisito in nome della loro alta selettività, le riviste
scientifiche si fregiano di alti indici di rifiuto dei la-
vori proposti (rejection rate). Questo non significa che
le ricerche non vengano prodotte o non siano solide,
semplicemente non vengono ritenute adatte a quella
sede editoriale, ancora una volta in nome della pub-
blicabilità, e non degli interessi reali della scienza:
36 Nosek B. – Spies J. – Motyl M. Scientific Utopia: II - Restructuring
Incentives and Practices to Promote Truth Over Publishability (May
25, 2012). Perspectives on Psychological Science, Forthcoming.
Available at SSRN: https://ssrn.com/abstract=2062465
37 Ioannidis JP. Why Science Is Not Necessarily Self-Correcting. Per-
spectives in Psychological Sciences. 2012 Nov;7(6):645-54. doi:
10.1177/1745691612464056, http://journals.sagepub.com/doi/
abs/10.1177/1745691612464056
47
elena giglia
in questo modo viene generata solo una spirale di
proposte successive a riviste diverse finché l’articolo
viene accettato, dilatando di mesi la pubblicazione di
risultati che spesso sono comunque interessanti.
d) La crisi della riproducibilità: sempre meno studi
risultano riproducibili38 – il che dovrebbe invece esse-
re uno dei paradigmi cardine della scienza – a causa
della mancanza di dati allegati, di procedure opache
o non solide, di pubblicazioni frettolose e non accu-
rate sotto la spinta del “publish or perish” (pubblica o
muori): «Il sistema di valutazione premia la quantità
più che la qualità, la novità più che l’affidabilità»39. La
questione è particolarmente pressante, di nuovo, in
medicina, se si pensa che quarantatre su sessantaset-
te studi oncologici non sono risultati replicabili, così
come non lo sono stati quarantasette su cinquantatre
studi di farmacologia oncologica40.
e) La crisi della peer review: il numero sempre cre-
scente di ritrattazioni41, tracciate quotidianamente
dal citato blog scientifico Retraction Watch42 (che ha
38 La letteratura sull’argomento è sterminata, ma una buona pagina
di sintesi aggiornata costantemente sul dibattito è quella cura-
ta dalla rivista Nature: Challenges in irreproducible research, http://
www.nature.com/news/reproducibility-1.17552. Si stanno moltipli-
cando i progetti mirati alla riproducibilità, cfr. Validation, di Scien-
ce Exchange, http://validation.scienceexchange.com/#/home o
39 Ioannidis J. et al. Increasing value and reducing waste in research
design, conduct, and analysis. Lancet. 2014, 383, 9912, p. 166–
175, http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(13)62227-8
40 Ioannidis J. et al. Increasing value and reducing waste in research
design, conduct, and analysis. Lancet. 2014, 383, 9912, p. 166–
175, http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(13)62227-8
41 Steen R.G. – Casadevall A. – Fang F.C. Why has the number of
scientific retractions increased. PLOS One. 2013 Jul 8;8(7):e68397,
http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.
pone.0068397
42 Retraction Watch blog, http://retractionwatch.com/
48
la comunicazione scientifica nell’era digitale
creato anche un “indice di ritrattazione” e una clas-
sifica dei peggiori autori), non può che far riflettere
sulle pecche dell’attuale sistema di revisione dei pari
(peer review). Tutti gli articoli ritrattati infatti erano
stati pubblicati su riviste che adottano la revisione in
“doppio cieco” (ossia gli autori non sanno chi sono i
revisori e viceversa) e avevano passato la revisione.
Tuttavia sono poi stati ritrattati per frode, plagio, ma-
nipolazione dei dati o altre forme di condotta scien-
tifica riprovevole. E abbiamo visto al paragrafo 2.1
come la correlazione fra il numero di ritrattazioni e
l’Impact Factor della rivista sia elevatissimo.
L’istituto della peer review, da molti visto come sigillo
di qualità, evidentemente non offre garanzie. E non è
esente da critiche43, poiché spesso il revisore si limita
a giudicare se un articolo è “abbastanza buono” per la
pubblicazione in una rivista ma non va a esaminare
in modo approfondito la metodologia e i risultati. O,
ancora, a volte il revisore cassa l’articolo perché non
è sufficientemente competente a valutarlo, o è troppo
rigido per apprezzare un metodo innovativo. O, nel
peggiore dei casi, rifiuta l’articolo per poi copiarlo e
pubblicarlo a suo nome44. O ancora, si gioca sporco,
vere e proprie truffe, inventando revisori di comodo,
per far accettare il lavoro45. Insomma, anche nel caso
43 Una ottima sintesi delle criticità della peer review si legge in Cur-
ry S. Peer review, preprints and the speed of science. The Guardian,
Sept. 7 2015 https://www.theguardian.com/science/occams-cor-
ner/2015/sep/07/peer-review-preprints-speed-science-journals
44 Il caso più recente è quello segnalato in questa lettera dell’au-
tore al revisore-ladro: Dansinger M. Dear Plagiarist: A Letter to
a Peer Reviewer Who Stole and Published Our Manuscript as His
Own. Annals of internal medicine, 2016, Dec. 13, http://linkis.
com/annals.org/aim/artic/wGt7z
45 Kulkarni S. Manipulating the peer review process: why it happens
and how it might be prevented. Blog post. Dec. 13, 2016, http://
49
elena giglia
della peer review attuale, c’è qualcosa che non va, tant’è
vero che da più parti se ne invoca una revisione46.
f ) La crisi degli indicatori di impatto: le critiche al
citato Impact Factor non si contano:misura il conteni-
tore e non il contenuto, non tiene conto delle diverse
abitudini citazionali, è facilmente manipolabile, non
è immediato, non tiene conto della diffusione del la-
voro al di fuori dell’ambito accademico…47. Oltre al
fatto di essere manipolabile, in almeno un caso si è
rivelato del tutto inattendibile, perché con il passag-
gio della rivista Current Biology a Elsevier nel 2002
il numero degli articoli pubblicati è stato modificato
alla fonte nella banca dati, per alzare artificiosamente
il valore finale di Impact Factor48. Ciò che più conta è
la percezione diffusa che l’utilizzo dell’Impact Factor
per la valutazione dei singoli abbia contribuito a crea-
re incentivi perversi49, creando una sorta di “ossessio-
ne” per la valutazione che va a detrimento della quali-
tà della scienza e, anzi, favorisce la «selezione natura-
blogs.lse.ac.uk/impactofsocialsciences/2016/12/13/manipula-
ting-the-peer-review-process-why-it-happens-and-how-it-might-
be-prevented/
46 La rivista Nature ospita da anni una collezione di contributi sulla
peer review, http://www.nature.com/nature/peerreview/debate/
47 Un’ottima sintesi delle critiche all’Impact Factor si legge in Ca-
sadevall A. – Fanf F.C. Causes for the Persistence of Impact Factor
Mania. mBio. 2014, 5, 2, e00064-14, http://mbio.asm.org/con-
tent/5/2/e00064-14.full
48 Brembs B. – Button K. – Munafò M. Deep Impact: Unintended
consequences of journal rank. Frontiers in Human Neuroscien-
ce, 2013, 291, 7 doi: 10.3389/fnhum.2013.00291 e http://www.
frontiersin.org/Journal/Abstract.aspx?s=537&name=human_
neuroscience&ART_DOI=10.3389/fnhum.2013.00291
49 Royal Society The future of scholarly communication. London, The
Royal Society, 2015 https://royalsociety.org/events/2015/04/fu-
ture-of-scholarly-scientific-communication-part-1/
50
la comunicazione scientifica nell’era digitale
le della scienza peggiore»50. Perché, come ci ricorda
la legge di Goodhart, «quando una misura diventa un
obiettivo, cessa di essere una buona misura»51.
Alla luce di tutto questo, è evidente che la comuni-
cazione scientifica attuale non gode di buona salute;
anzi, il sistema sembra sull’orlo del collasso poiché
troppi risultati non sono degni di fede52. Alcuni cor-
rettivi sono stati individuati in una maggiore traspa-
renza e registrazione di protocolli ed esperimenti, in
una peer review più accurata e diversificata, nella cul-
tura della condivisione dei dati, negli incentivi alla re-
plicabilità53, anche all’interno del quadro tradizionale
della comunicazione scientifica.
Nel Manifesto per la scienza riproducibile54 viene stig-
matizzata la competizione sfrenata che porta i ricer-
catori a lavorare in silos senza combinare gli sforzi
e a pubblicare scienza non solida pur di pubblicare;
oltre alle misure già ricordate, vengono suggerite a
livello strutturale la trasparenza e l’idea della Open
50 Smaldino P. – McElreath R. The natural selection of bad science.
Royal Society Open Science. 2016, 3, 160384; DOI: 10.1098/
rsos.160384, http://rsos.royalsocietypublishing.org/con-
tent/3/9/160384
51 Royal Society The future of scholarly communication. London, The
Royal Society, 2015 https://royalsociety.org/events/2015/04/fu-
ture-of-scholarly-scientific-communication-part-1/
52 Buranyi S. The hi-tech war on science fraud. The Guardian, Feb. 1
2017, https://www.theguardian.com/science/2017/feb/01/high-
tech-war-on-science
53 Ioannidis J. How to Make More Published Research True.
PLoS Medicine 2014, 11(10): e1001747. doi:10.1371/journal.
pmed.1001747, http://journals.plos.org/plosmedicine/arti-
cle?id=10.1371/journal.pmed.1001747
54 Munafò, M. R. et al. A manifesto for reproducible science. Natu-
re Human Behaviour 2017, 1, doi:10.1038/s41562-016-0021,
http://www.nature.com/articles/s41562-016-0021
51
elena giglia
Science che mette a disposizione ogni passo della ri-
cerca come orizzonte a tendere per uscire dalla crisi.
L’Open Access era nato proprio per contrastare la
deriva del sistema attuale; e le sue logiche alternative
possono dare un valido contributo per una scienza
più efficace e trasparente che riporti al centro la sua
essenza, ovvero la comunicazione.
52
Capitolo 3
Fare Open Access e farlo correttamente
di Elena Giglia
1. Perché è nato l’Open Access e quali vantaggi offre
a chi fa ricerca (e alla società intera)
«L’Open Access rimuove le barriere economiche e le
restrizioni legali della letteratura scientifica», scriveva
Peter Suber, uno dei padri del movimento, nel 20041,
sottolineando il valore fondamentale di inclusione e
partecipazione: la libera circolazione della letteratura
scientifica, non più chiusa dietro abbonamenti inavvi-
cinabili o diritti troppo restrittivi, «rende il lavoro scien-
tifico utile in due sensi, primo perché è disponibile per
un numero maggiore di persone, secondo perché que-
ste persone sono libere di utilizzarlo e riutilizzarlo»2.
Chiariamo di nuovo che la rimozione delle barriere
legali non significa né plagio né mancata protezione
della paternità intellettuale né violazione dei diritti di
1 Suber P. Open Access overview, 2004-2015, http://legacy.ear-
lham.edu/~peters/fos/overview.htm
2 Suber P. Open Access, MIT press, 2012, cap. 1 What is Open
Access? https://mitpress.mit.edu/sites/default/files/titles/con-
tent/openaccess/Suber_08_chap1.html#chap1
elena giglia
utilizzazione, perché come abbiamo visto la corretta
attribuzione della paternità intellettuale è l’unico vin-
colo richiesto anche dalla Dichiarazione di Berlino, ed
è, in sostanza, oltre al minimo comune denominatore
di ogni etica scientifica, un diritto garantito dalle prin-
cipali legislazioni in materia di diritto d’autore.
Dal panorama che abbiamo cercato di tracciare fi-
nora risulta evidente che l’editoria scientifica attuale
non è funzionale all’avanzamento della scienza, per-
ché di fatto chiude i risultati entro riviste inaccessibili
ai più, né offre più garanzie di qualità a causa delle lo-
giche perverse introdotte da una valutazione distorta,
né consente un equilibrio fra i diversi attori coinvolti,
con evidente vantaggio dei grandi gruppi editoriali
internazionali a scapito dei lettori, delle biblioteche,
degli enti di finanziamento della ricerca.
L’Open Access è nato dai ricercatori per cercare di ri-
guadagnare possesso della comunicazione scientifica,
oggi nelle mani di pochi grandi gruppi editoriali, e per
cercare di riequilibrare i diritti di tutti gli attori coinvolti.
Le sue logiche sono diametralmente opposte a quelle in
vigore: se, ad esempio, il prestigio delle riviste scientifi-
che si basa sulla scarsità artificiale del contenuto, otte-
nuta mediante il famoso rejection rate (indice di rifiuto
degli articoli proposti), l’Open Access, al contrario, dà
valore alla conoscenza diffondendola il più possibile.
Ciò non significa pubblicare lavori scadenti. Rendere
la conoscenza aperta per tutti significa non solo diffon-
dere liberamente i prodotti finali, ma anche adottare
come vedremo logiche di inclusione, partecipazione,
trasparenza, in ogni passo del processo di comunica-
zione scientifica. L’accesso aperto pone le quindi le
basi per una scienza più solida, che sia al contempo
maggiormente legata alla società e all’innovazione.
54
fare open access e farlo correttamente
1.1. Quali i vantaggi per i ricercatori?
I vantaggi diretti dell’Open Access per coloro che
fanno ricerca sono molteplici.
Innanzitutto, le idee circolano prima, perché spes-
so vengono diffuse sotto forma di preprint, prima
della pubblicazione, negli archivi aperti (tipo ArXiv,
usato dai fisici dal 1991).
Le idee circolano di più, perché sono accessibili a
tutti; non dimentichiamo che gli archivi Open Access
sono visibilissimi su Google, ovvero dove ognuno di
noi inizia la propria ricerca.
La creazione di conoscenza risulta quindi accelera-
ta, in perfetta consonanza con la ragione per cui nac-
quero le riviste scientifiche, ovvero la condivisione
dei risultati per permettere di “salire sulle spalle dei
giganti”, come recita la famosa citazione di Newton.
Inoltre, più i lavori circolano liberamente, maggio-
re è il riconoscimento delle competenze degli autori,
che – se ricordiamo – è esattamente il ritorno atteso
al momento della pubblicazione di un lavoro.
Le citazioni dei lavori scientifici crescono in modo
esponenziale3, perché va da sé che un accesso libero
si traduce in un numero maggiore di lettori e quindi
di potenziali riutilizzatori; anche questo in perfetta
consonanza con il ritorno atteso al momento della
pubblicazione e – se vogliamo –anche con gli attuali
criteri di valutazione della ricerca.
Sui testi e i dati liberamente accessibili tutti possono
utilizzare le nuove tecniche di estrazione del contenu-
to (text mining e data mining): si tratta di software che
leggono testi e dati estraendone in automatico concet-
3 Gli studi sul vantaggio citazionale sono raccolti e aggiornati nel
progetto di SPARC Europe: Open Access citation advantage servi-
ce, http://sparceurope.org/oaca/
55
elena giglia
ti ed entità, arrivando in pochi secondi dove l’occhio
umano non arriverebbe mai, e creando collegamenti
inediti fra le informazioni. L’estrema utilità di queste
tecniche è stata dimostrata dal progetto britannico The
Content Mine nel caso del virus Zika4. Notiamo per
inciso che proprio sul text e data mining si è consu-
mato uno scontro fra un ricercatore5 e i grandi gruppi
editoriali, che, nonostante fossero già stati pagati gli
abbonamenti alle riviste, hanno cercato di impedire il
download dei testi necessario all’estrazione dei dati.
Infine, molte riviste Open Access pubblicano anche
i risultati negativi, che sono importanti al pari di quelli
positivi, ma non troveranno mai spazio sulle riviste pre-
stigiose legate ai canoni tradizionali di pubblicabilità.
In Open Access si pubblicano poi anche i dati delle
ricerche, e non solo gli articoli che ne costituiscono
le conclusioni; in questo caso si parla di “open data” o
più precisamente di “open research data6”. E questo
porta con sé altri innumerevoli vantaggi:
• una scienza più solida, perché basata sui dati anziché
sulla loro interpretazione;
• una scienza più trasparente, perché pubblicare i dati
insieme all’articolo significa sottoporli al vaglio di tutti,
riducendo drasticamente il rischio di frodi o manipola-
zioni, o rendendo più semplice individuarli;
4 Content Mine, Finding knowledge about Zika in scientific literature,
video, 2016 https://www.youtube.com/watch?v=5lYzOZ2Cv_I
5 Hartgerink C. Elsevier stopped me doing my research, blog post,
“Chris Hartgerink’s notebook blog”, November 16, 2015
http://onsnetwork.org/chartgerink/2015/11/16/elsevier-stop-
ped-me-doing-my-research/ e anche Hartgerink C. Wiley also
stopped me doing my research, blog post, “Chris Hartgerink’s no-
tebook blog”, February 23, 2016 http://onsnetwork.org/chartge-
rink/2016/02/23/wiley-also-stopped-my-doing-my-research/
6 Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Open_science_data
56
fare open access e farlo correttamente
• una scienza più interdisciplinare, perché lo stesso set di
dati può essere interpretato da ricercatori di diverse di-
scipline (senza dover essere acquisito o creato ex novo);
anzi, alcune grandi sfide del nostro secolo, come il cam-
biamento climatico, devono essere affrontate leggendo i
dati da prospettive diverse;
• una scienza più riproducibile, perché i dati sono a dispo-
sizione di chiunque voglia ripetere l’esperimento, cosa
che è alla base della scienza stessa.
E, su tutti, va considerato il valore del riuso inedito
di dati raccolti da altri, perché spesso ciò che per un
ricercatore costituisce “rumore” (nel gergo della fisi-
ca), per un altro può essere un chiaro “segnale”. O,
come dice Rufus Pollock, «la cosa migliore da fare
con i tuoi dati sarà pensata da qualcun altro»7.
1.2. Quali i vantaggi per gli enti finanziatori?
Dal punto di vista degli enti finanziatori della ri-
cerca, l’Open Access, oltre a rispondere all’istanza di
totale trasparenza sui fondi utilizzati – ricordiamo in-
fatti che si tratta spesso di fondi pubblici – garantisce
anche un maggior ritorno sugli investimenti8, poiché
i lavori godono della massima diffusione.
7 La citazione è riferibile a Rufus Pollock, presidente della Open
Knowledge Foundation, http://rufuspollock.org/misc/, anche
se non in preciso contesto.
8 Non a caso l’OCDE ha pubblicato sulla sua piattaforma lega-
ta all’innovazione una pagina sulla Open Science considerata
anche dal punto di vista economico: https://www.innovation-
policyplatform.org/content/open-science il Rapporto Making
Open science a reality (2016), http://www.oecd-ilibrary.org/
science-and-technology/making-open-science-a-reality_5jr-
s2f963zs1-en;jsessionid=jgdh4pdbmkp1.x-oecd-live-02
57
elena giglia
Per gli enti di ricerca, quali le Università, l’Open
Access è in perfetta sintonia con la missione istitu-
zionale di diffondere la conoscenza; di più, l’apertu-
ra è una leva essenziale se l’obiettivo è quello della
crescita sociale, come ci ricorda l’UNESCO nel suo
sforzo di creare società della conoscenza che siano
inclusive: «società in cui tutti abbiano accesso all’in-
formazione di cui hanno bisogno e alle competenze
per trasformare quelle informazioni in conoscenza»9.
1.3. Quali i vantaggi per la società?
Sottolineiamo allora i vantaggi per l’intera società,
consci del fatto che per gli enti di ricerca «le opportu-
nità di avere un impatto sono infinite, a patto che si
condivida»10:
• rendere aperti i risultati e dati della ricerca significa una
maggiore apertura al territorio, alle piccole e medie impre-
se, in ultima analisi all’innovazione: uno studio danese ha
rivelato come le piccole e medie imprese, che non possono
certo permettersi gli abbonamenti alle riviste, avrebbero im-
messo sul mercato i loro prodotti due anni prima se aves-
sero avuto accesso ai risultati delle ricerche accademiche11;
• l’apertura contribuisce in maniera determinante al trasferi-
mento tecnologico e alla creazione di start up e nuove imprese;
9 Souter D. Towards inclusive knowledge societies: A review of UNE-
SCO’s action in implementing the 185 WSIS outcomes. UNESCO,
2010, https://www.itu.int/net/wsis/review/inc/docs/ralfrepor-
ts/WSIS10_ALF_Reporting-UNESCO.pdf.
10 McKiernan E. Imagining the ‘open’ university: Sharing science to
improve research and education. 2017, PeerJ Preprints 5:e2711v1
https://doi.org/10.7287/peerj.preprints.2711v1
11 Access to Research and Technical Information in Denmark, Report,
2011, http://ufm.dk/en/publications/2011/access-to-resear-
ch-and-technical-information-in-denmark
58
fare open access e farlo correttamente
• l’apertura di risultati e corsi contribuisce a innalzare il li-
vello di istruzione e a innovare metodi di insegnamento,
permettendo l’aggiornamento continuo;
• l’accesso ai risultati degli studi più recenti permette ai
professionisti di aggiornarsi e rispondere al meglio alle
esigenze dei clienti;
• l’accesso ai dati e ai risultati è strettamente connesso a
tutto quanto legato al “public engagement”, ovvero a una
maggiore e più consapevole partecipazione dei cittadini
ai valori della ricerca e al riuso.
Vediamo allora, in concreto, come ogni ricercatore può
rendere disponibile la propria ricerca in Open Access.
2. Le due vie: come fare Open Access
Ci sono due modi per fare Open Access: il deposito
e la pubblicazione, anche noti come green road e gold
road. In Italia il primo è sconosciuto ai più, e il secon-
do è spesso vittima di fraintendimenti o pregiudizi.
Vediamo di ribadire alcuni concetti chiave delle due
soluzioni, rimandando per gli strumenti operativi e
i servizi pratici a pagine web, per loro natura più ag-
giornate rispetto a un capitolo di libro12.
2.1 Il deposito
Il deposito negli archivi Open Access è conosciuto
come “green road” (via verde) o self-archiving (auto-ar-
chiviazione).
12 Sulla pagina OpenAccess@UniTO cerchiamo di offrire un
elenco aggiornato di strumenti utili a fare Open Access, oltre a
chiarimenti sui diritti, sul quadro europeo, sulle novità a livello
internazionale: http://www.oa.unito.it
59
elena giglia
Nella pratica, l’autore deposita in un archivio Open
Access, nel rispetto delle norme di copyright degli
editori, la versione finale del suo lavoro, ovunque
esso sia stato pubblicato.
Per “versione finale” si intende il cosiddetto “po-
stprint” o “versione accettata”, ovvero la versione an-
data in stampa, con tutte le correzioni dei revisori,
ma senza l’impaginazione editoriale (layout).
Gli archivi Open Access possono essere disciplina-
ri, come il famoso ArXiv13 per i fisici, o istituzionali,
legati a un ente di ricerca e destinati a raccoglierne
l’intera produzione. Tutti gli archivi sono fra di loro
interoperabili e sono visibilissimi su Google14, contri-
buendo quindi ad aumentare sia la visibilità dei sin-
goli autori sia quella degli enti di ricerca.
Il rispetto delle norme di copyright è fondamentale.
Una volta firmato il contratto di cessione dei dirit-
ti (copyright trasfer agreement), come abbiamo ricor-
dato, i diritti passano in capo all’editore, che decide
quindi come circola l’articolo e che tipo di riuso se ne
può fare. I maggiori editori internazionali hanno di-
chiarato in una apposita banca dati chiamata SHER-
PA-RoMEO15 la loro posizione nei confronti del de-
posito negli archivi Open Access: oltre il 70% lo con-
cede. Chi non può depositare nulla, perché l’editore
nega il consenso, può sempre comunque depositare
i dati bibliografici e l’abstract (il riassunto del lavoro),
che comunque vengono esposti; il lettore potrà poi
richiedere direttamente il testo all’autore.
13 ArXiv, https://arxiv.org/
14 Questo avviene grazie al protocollo OAI-PMH Open Archives
Initiative Protocol for Metadata Harvesting https://www.ope-
narchives.org/pmh/
15 SHERPA-RoMEO, http://www.sherpa.ac.uk/romeo/index.php
60
fare open access e farlo correttamente
Come abbiamo ricordato, nella maggior parte dei casi
non è consentito depositare la versione pubblicata (il pdf
editoriale, con l’impaginazione dell’editore), ma la versio-
ne finale dell’autore – il vostro ultimo file di Word, per
intenderci – ossia la versione che è assolutamente iden-
tica per contenuto ma non per forma (paginazione, testo
su più colonne…) e che va sotto il già ricordato nome di
“postprint”. A volte gli editori richiedono anche che venga
rispettato un periodo di embargo, dai 6 ai 36 mesi, ossia
un periodo nel quale il lavoro, pur depositato subito dopo
la pubblicazione, non risulta visibile all’esterno.
Il deposito è quindi il modo più semplice e imme-
diato per fare Open Access, e porta con sé innegabili
vantaggi:
• è fattibile subito, a costo zero;
• è immediato, perché anche nel caso non si possa depo-
sitare il testo integrale dell’articolo, i dati bibliografici e
l’abstract circolano comunque, e il testo può essere ri-
chiesto privatamente all’autore;
• soprattutto, non modifica le abitudini editoriali degli
autori: si continua a pubblicare sulle sedi editoriali più
prestigiose, su quelle ritenute più importanti ai fini della
valutazione della ricerca, e poi si deposita la versione fi-
nale del lavoro, che circola liberamente.
Il deposito quindi non lede in nessun modo l’au-
tonomia accademica, poiché gli autori sono liberi di
pubblicare dove vogliono; in un secondo tempo, in
accordo con le politiche di copyright, rendono libe-
ri i loro lavori depositando negli archivi. Questa è la
modalità scelta dalle politiche di obbligo a depositare
(mandatory policies) adottate da oltre 700 enti di ricer-
ca nel mondo.
Esistono nel mondo oltre 2000 archivi aperti, come
risulta da DOAR, la Directory of Open Access Repo-
61
elena giglia
sitories 16. Alcuni sono dedicati in particolare ai set di
dati della ricerca17, oltre a un archivio per dati e testi
(Zenodo18), gestito dal CERN di Ginevra ma aperto a
chiunque voglia condividere la propria ricerca.
Gli archivi Open Access sono altra cosa e hanno fi-
nalità diverse19 rispetto a strumenti social accademici
quali ResearchGate.net o Academia.edu (se ne parla
diffusamente nel capitolo di Valeria Scotti); ma nell’u-
so comune questi vengono confusi con il modo più
semplice per fare Open Access. ResearchGate.net e
Academia.edu sono accattivanti per la loro facilità di
utilizzo e per i servizi social che offrono, oltre al ser-
vizio di feedback sul numero di download e di lettori.
Posto che questo è stato l’enorme fallimento degli
archivi istituzionali Open Access, perché avrebbero
dovuto offrire questi stessi servizi, caricare i propri
lavori su questi social network accademici presen-
ta alcuni rischi: intanto, si sta violando il copyright,
perché solitamente si mette in rete il pdf editoriale,
cosa che gli editori commerciali proibiscono: alme-
no la metà degli articoli è caricata su ResearchGate.
net nella versione non consentita20. Anche su Sher-
16 Un elenco si trova in DOAR – Directory of Open Access reposi-
tories, http://www.opendoar.org/
17 Un elenco ricercabile si trova in RE3Data, Registry of research
data repositories, http://www.re3data.org/
18 Zenodo, https://zenodo.org/
19 Utilissima la tabella che mette a confronto funzionalità e fi-
nalità: Fortney, K.- Gonder, J. A social networking site is not an
open access repository, Office of Scholarly Communication, Uni-
versity of California, 2015, http://osc.universityofcalifornia.
edu/2015/12/a-social-networking-site-is-not-an-open-access-re-
pository/
20 Jamali, H. R. (2017). Copyright compliance and infringement in
ResearchGate full-text journal articles, Scientometrics, 2017,
DOI: 10.1007/s11192-017-2291-4, http://dx.doi.org/10.1007/
s11192-017-2291-4
62
fare open access e farlo correttamente
pa-RoMEO viene specificato il divieto di diffondere
i pdf editoriali sui social network commerciali. Già,
perché proprio di questo si tratta: di imprese com-
merciali, che oggi sono fiorenti e gratuite, domani
potrebbero fallire o divenire a pagamento o decidere
di chiudere o, come è successo nel caso di Mendeley
e di SSRN (Social Science Research Network), essere
acquisiti da Elsevier. Cosa ne sarà del contenuto de-
positato lì? Nessuno lo sa.
È utile ricordare il carattere commerciale di queste
imprese, e contrapporre il commento dello storico
Guy Geltner nella sua lettera in cui invitava a lasciare
Academia.edu: «Smettiamo di essere ingenui e fac-
ciamo qualcosa per liberare la comunicazione scien-
tifica. L’Open Access ha a che fare con i diritti umani,
non con i modelli di business21». Con questo, deve
essere chiaro che il maggiore imputato resta il siste-
ma dell’editoria commerciale che approfitta del lavo-
ro intellettuale dei ricercatori, e non solo questi due
canali social: «abbiamo un intero sistema di editoria
accademica che è finanziato con denaro pubblico ma
governato con logiche e interessi assolutamente pri-
vati, e questo dovrebbe preoccuparci di più22».
2.2. Il deposito: la via più veloce per la Open Science
Vediamo allora come in concreto l’Open Access
cerchi di dare risposte alternative alla crisi attuale
21 Geltner G. Upon Leaving Academia.edu. Blog post. Dec. 7, 2015,
http://mittelalter.hypotheses.org/7123
22 Tennant, J. Who isn’t profiting off the backs of researchers? Discover,
Feb. 1, 2017, http://blogs.discovermagazine.com/crux/2017/02/01/
who-isnt-profiting-off-the-backs-of-researchers/
63
elena giglia
della comunicazione scientifica, anche con il canale
“green” del deposito.
Intanto, ribadiamo che la versione di articoli già
pubblicati altrove che viene depositata negli archivi
non viola il copyright, perché è quella consentita da-
gli editori, come dichiarato nella banca dati SHER-
PA-RoMEO. Ma gli archivi servono anche a deposita-
re altro, per esempio i “preprint”.
Per favorire l’accelerazione nella diffusione del-
la conoscenza, gli archivi Open Access sono al cen-
tro di un’importante svolta, iniziata dalla comunità
delle scienze della vita nel 2016, verso i “preprint”.
Preso atto del disappunto del 90% dei ricercatori23
nei confronti dei meccanismi e dei tempi lunghi di
pubblicazione del sistema attuale, stimolati da eventi
quali le epidemie di Ebola e Zika, i ricercatori hanno
iniziato a diffondere immediatamente le loro ricer-
che sotto forma di “preprint” – ovvero la prima bozza,
quella inviata come proposta di pubblicazione alle
riviste, che non contiene ancora quindi i commenti
dei revisori – sulla scorta di quanto fanno i fisici dal
1991 in ArXiv24: depositano il lavoro appena termina-
to, ottenendone subito la priorità e mettendo al con-
tempo i risultati a disposizione di tutti, e ricevendo
utili commenti da parte della comunità intera. Ne è
nato il progetto ASAPBio25 e l’archivio BiorXiv26, cui
sono seguiti PsyArXiv27 per la psicologia, SocArXiv28
per le scienze sociali, EngArXiv29 per l’ingegneria e
23 ASAPBio survey results, Feb. 2016 http://asapbio.org/survey
24 ArXiv, https://arxiv.org/
25 ASAPBio, http://asapbio.org/about-2
26 BiorXiv, http://biorxiv.org/
27 PsyArXiv, http://blog.psyarxiv.com/psyarxiv/
28 SocArXiv, https://osf.io/preprints/socarxiv
29 EngArxiv, https://osf.io/preprints/engrxiv/discover?subject=
64
fare open access e farlo correttamente
l’architettura, AgriXiv30 per le scienze agrarie, oltre
all’archivio multidisciplinare e generalista OSF Pre-
prints31, che serve tutte le discipline.
In area Open Access esistono poi archivi in cui, ol-
tre ai risultati della ricerca, si possono depositare i co-
dici sorgenti dei vari progetti software (Github32), l’in-
tero protocollo dell’esperimento (MyExperiment33),
immagini e tabelle (Figshare34), i dati (Zenodo, come
già ricordato) estendendo ben oltre l’articolo il con-
cetto di “pubblicazione scientifica” e approssiman-
dosi sempre più all’idea di Open Science, ovvero
dell’intero processo scientifico aperto. Rientrano in
quest’ottica strumenti di scrittura collaborativa, come
Arpha35, che può essere usato non solo da gruppi di
ricerca per scrivere insieme, ma anche da autori e
revisori per velocizzare le pratiche editoriali, o stru-
menti come Hypothesis36 o Pundit37, che servono per
annotare pagine web, ivi comprese edizioni critiche
digitali, per esempio. L’obiettivo finale è quello del-
la massima condivisione di ogni passo della ricerca,
nello stesso momento in cui il ricercatore lo registra
per se stesso38. Valgono in questo senso i due esem-
pi virtuosi del laboratorio del neuroscienziato Björn
Brembs, che rende pubbliche tutte le note sugli espe-
rimenti appena terminati, e del laboratorio di Rachel
30 AgriXiv, https://agrixiv.wordpress.com/about/
31 OSF Preprint, https://osf.io/preprints è un progetto di Ope
Science Framework.
32 GitHub, https://github.com/
33 MyExperiment, http://www.myexperiment.org/home
34 Figshare, https://figshare.com/
35 Arpha collaborative writing, http://arpha.pensoft.net/
36 Hypothesis, https://hypothes.is/
37 Pundit, http://thepund.it/
38 Open Research, video, 2011, https://www.youtube.com/watch?-
v=LwW1-X3glak
65
elena giglia
Harding, che mette a disposizione tutte le sere gli ap-
punti degli esperimenti sulla malattia di Huntington,
nella convinzione che insieme si possa trovare una
risposta più rapidamente39.
Grazie al circuito degli archivi aperti sono poi pos-
sibili servizi quali Open Access Button40 e oaDOI41,
che, in tutti quei casi in cui un articolo risulta chiuso
dietro un abbonamento (o come lo definiscono gli
anglofoni un “paywall”) ci aiutano a cercare in rete se
esiste una versione aperta depositata dall’autore e ce
la segnalano.
2.3 La pubblicazione
La seconda via è la pubblicazione su riviste o sedi
editoriali Open Access, che va sotto il nome di “gold
road”, via d’oro.
Va chiarito in via preliminare che rientrano in que-
sto ambito le riviste di editori esclusivamente Open
Access, quali PLoS, BioMedCentral, Hindawi, o le ri-
viste curate direttamente da gruppi di ricerca e spes-
so pubblicate grazie al software OJS – Open Journal
System42. Non sono da prendere in considerazione
le riviste cosiddette “ibride” degli editori tradizionali
commerciali (Elsevier, Springer, Wiley…) che offro-
no una “Open choice”: pagando una cifra iniziale di
3000 dollari, il singolo articolo diviene Open Access,
mentre la rivista rimane in abbonamento, generando
39 Si vedano rispettivamente http://lab.brembs.net/ e http://lab-
scribbles.com/
40 Open Access Button, cerca articoli e dati https://openaccessbut-
ton.org/
41 oaDOI, https://oadoi.org/
42 Open Journal System, https://pkp.sfu.ca/ojs/
66
fare open access e farlo correttamente
quindi un doppio pagamento. È un’opzione da scon-
sigliare vivamente, perché non fa che incrementare i
guadagni degli editori commerciali cavalcando il fe-
nomeno “open”; i lavori come abbiamo visto possono
essere messi a disposizione di tutti depositando negli
archivi, senza spese (green road).
Il repertorio più accreditato in cui trovare riviste
Open Access è DOAJ, Directory of Open Access Jour-
nal43, che ha recentemente ristretto e irrigidito i crite-
ri di inclusione.
Le riviste Open Access si differenziano da quelle
tradizionali perché non hanno abbonamento, quindi
chiunque è libero di leggere. Tuttavia offrire piatta-
forme innovative e servizi a valore aggiunto non è
gratis; i costi di pubblicazione, quando ci sono, ven-
gono coperti da chi scrive, o meglio, dalle loro isti-
tuzioni, per mezzo delle cosiddette APC – Article
Processing Charges. Le APC vengono richieste solo
dal 23% delle riviste44: è da sfatare quindi anche il
diffuso adagio per cui «Open Access significa pagare
per pubblicare».
L’altro mito da sfatare è che tutti gli editori di rivi-
ste Open Access siano i cosiddetti editori “predato-
ri” (predatory publishers), ovvero editori poco seri che
dietro pagamento pubblicano lavori senza accurata
peer review né selezione editoriale né garanzia di con-
servazione o disseminazione. Lo strumento che fino
al 15 gennaio 2017 veniva utilizzato era la lista cura-
43 DOAJ, https://doaj.org/
44 Shieber S. What percentage of open-access journals charge publi-
cation fees? Blog post, May 29, 2009 https://blogs.harvard.edu/
pamphlet/2009/05/29/what-percentage-of-open-access-jour-
nals-charge-publication-fees/ . Un calcolo empirico sulle riviste
presenti su DOAJ al 6 gennaio 2017 restituisce il 20% delle ri-
viste che richiedono APC.
67
elena giglia
ta da Jeffrey Beall45. Il 15 gennaio 2017, senza alcuna
motivazione, la pagina è stata chiusa, scatenando le
più varie illazioni46. Non tutti ne sentono la mancan-
za: inizialmente ben accetta e diffusa, era stata poi
messa sotto accusa perché, alla prova dei fatti, non
era né solida né scevra da pregiudizi gratuiti47. Oltre
a una avversione indiscriminata per editori prove-
nienti da paesi in via di sviluppo, Beall dimostrava
anche in altri suoi articoli un’acredine ideologica di
fondo verso l’Open Access e una predisposizione a
non applicare agli editori tradizionali commerciali i
suoi stessi criteri48. Quanto alla solidità scientifica,
ben l’87.5% delle riviste erano inserite nella lista sen-
za alcuna motivazione o discussione49. Invece di liste
più o meno nere e più o meno affidabili, meglio uti-
lizzare il nuovo servizio Think, Check, Submit50 che
attraverso una serie di domande permette di giudi-
care criticamente e di individuare la rivista Open Ac-
45 Beall J. Potential, possible, or probable predatory scholarly open-ac-
cess publishers. https://scholarlyoa.com/publishers/
46 Why did Beall’s List of potential predatory publishers go dark?
Retraction Watch, Jan. 17, 2017, http://retractionwatch.
com/2017/01/17/bealls-list-potential-predatory-publi-
shers-go-dark/
47 Berger M. – Cirasella J. Beyond Beall’s List: We need a better un-
derstanding of predatory publishing without overstating its size and
danger. College & Research Libraries News, 2015, 76.3: 132-5. Ri-
pubblicato in LSE blog, March 18, 2015, http://blogs.lse.ac.uk/
impactofsocialsciences/2015/03/18/beyond-bealls-list-preda-
tory-publishers/
48 Crawford W. Ethics and Access 1: The Sad Case of Jeffrey Beall.
Cites&Insights, 2014, 14, 4 1–14 http://citesandinsights.info/
civ14i4.pdf
49 Crawford W. “Trust Me”: The Other Problem with 87% of Beall’s
Lists. Blog post. Jan. 29, 2016 http://walt.lishost.org/2016/01/
trust-me-the-other-problem-with-87-of-bealls-lists/
50 Think, check, submit, http://thinkchecksubmit.org/
68
fare open access e farlo correttamente
cess più adatta e di qualità. In caso di dubbio, si può
sempre verificare se l’editore sia membro di OASPA
- Open Access Scholarly Publishers Association51,
l’associazione degli editori Open Access che ha rigidi
criteri di inclusione.
Se è vero che ci sono riviste poco serie (e questo
vale sia per quelle Open Access che per quelle “tra-
dizionali”), è anche vero però che in area Open ci
sono riviste dalla peer review del tutto trasparente52,
come quelle dell’editore BioMedCentral che pubbli-
cano i commenti dei revisori insieme all’articolo, ci
sono riviste che fanno open peer review, come quelle
dell’editore Copernicus, che mettono l’articolo a di-
sposizione dei commenti di tutti oltre che dei revisori
classici, e ci sono servizi, come Peerage of Science53,
che offrono una peer review indipendente per far valu-
tare l’articolo ancora prima della proposta alla rivista.
2.4 Pubblicazioni innovative
Esistono poi alcuni esempi di riviste che hanno
reinventato il ruolo della rivista tradizionale e si sono
riposizionate al servizio della Open Science.
a) La rivista in cui “pubblicare è solo l’inizio”
eLife54 è una rivista che effettua una peer review se-
lettiva solo dal punto di vista della solidità scientifica,
senza considerare criteri di moda o di mercato come
51 OASPA, http://oaspa.org/
52 Wicherts J.M. Peer Review Quality and Transparency of the Pe-
er-Review Process in Open Access and Subscription Journals. PLoS
ONE. 2016, 11(1): e0147913. http://journals.plos.org/plosone/
article?id=10.1371/journal.pone.0147913
53 Peerage of science, https://www.peerageofscience.org/
54 eLife, http://elifesciences.org/
69
elena giglia
invece fanno tutte le maggiori riviste di editori com-
merciali; pubblica quindi rapidamente i lavori e offre
poi servizi di ricerca e riaggregazione del contenuto,
convinta che il vero impatto si misuri dopo la pubbli-
cazione, nella risonanza di un lavoro all’interno della
comunità. eLife non fa e non farà domanda di am-
missione in JCR-Journal Citation Reports per ottenere
l’Impact Factor; fornisce però un set articolatissimo
di misure a livello del singolo articolo, per dimostrar-
ne il valore reale dentro e fuori l’accademia. Pionie-
re in questo senso erano state le riviste dell’editore
PLoS, che si sono spinte oltre, ideando il servizio di
ALM Reports, ovvero rapporti basati sulle metriche
di impatto a livello di articolo Article Level Metrics
(ALM)55 che visualizzano, per il set di articoli pre-
scelto, la correlazione fra le singole misure - a volte
scoprendo casi interessanti di lavori molto scaricati e
poco citati, indice di una maggiore circolazione al di
fuori dell’accademia;
b) La rivista che vive intorno alla comunità scientifica
PeerJ56 si basa sull’idea di creare una comunità: gli
autori possono pubblicare ma si impegnano anche
a fare almeno una revisione all’anno. Il modello di
business prevede o il pagamento di una APC per ar-
ticolo oppure una quota per divenire membri a vita,
potendo pubblicare un numero illimitato di articoli;
c) La rivista per l’intero ciclo della ricerca
RIO Journal57 (dove RIO sta per Research Ideas and
Outcomes) pubblica ogni passo del ciclo della ricerca,
55 Articel level metrics, http://almreports.plos.org/samples
56 PeerJ, https://peerj.com/
57 RIO Journal, http://riojournal.com/
70
fare open access e farlo correttamente
dalla proposta per ottenere un finanziamento all’ar-
ticolo tradizionale. Il modello di business si basa su
una articolata tabella58 in cui si paga in base al ser-
vizio scelto e al tipo di pubblicazione. L’articolo può
aver già passato la peer review o no, ma viene pubbli-
cato subito, nel secondo caso con l’etichetta «to be
reviewed». Per la scrittura, e per la peer review ove
richiesto, si utilizza Arpha59, un innovativo sistema
di scrittura collaborativa. Tutti i testi utilizzano già
un formato che permette la lettura delle macchine e
quindi agevola text e data mining. RIO Journal, sen-
sibile all’impatto sociale della ricerca60, permette an-
che di assegnare un’etichetta che associ all’articolo
uno dei loghi che riportano gli obiettivi dello sviluppo
sostenibile delle Nazioni Unite o delle sfide sociali
dell’Unione Europea.
d) L’archivio con servizi editoriali
È uno degli esperimenti più innovativi e aperti, ba-
sato sull’idea che tutta la ricerca sia degna di pubbli-
cazione, e valga la pena di essere discussa e commen-
tata, senza filtri artificiali a priori. Sarà poi la comu-
nità degli esperti a decretarne la validità e il successo.
The Winnower61 favorisce la pubblicazione di ricer-
che, discussioni, idee; ogni studioso può revisionarli,
poi una volta raggiunta quella che si ritiene la versio-
ne finale, l’autore può assegnare un DOI e pubbli-
care quindi il lavoro. Lo stesso servizio offre F1000
58 Costi in RIO Journal, http://rio.pensoft.net/about#Low-Cost-Pu-
blishing
59 Arpha, http://blog.riojournal.com/2015/10/22/part-1-the-arpha-
writing-tool-adding-value-to-rio/
60 Social impact in RIO, http://blog.riojournal.com/2015/10/01/
rio-will-emphasise-the-social-impact-of-research/
61 The Winnower, https://thewinnower.com/
71
elena giglia
Research62, che pubblica anche i preprint e non solo
permette la peer review post pubblicazione, ma pub-
blica anche i commenti dei revisori, che spesso sono
utili al pari dell’articolo, in quanto a loro volta “pezzi”
di conoscenza. The Self Journal of Science, SJS,63 si
presenta come un archivio con servizi editoriali, che
demanda alla comunità scientifica la valutazione e
la classificazione degli articoli, e invita i ricercatori
a pubblicare qualsiasi lavoro ritengano utile al pro-
gresso della conoscenza (bozze, tabelle di laborato-
rio, studi non conclusi, articoli tradizionali) che viene
poi messo a disposizione per i commenti dell’intera
comunità. Ognuno può poi creare e gestire la sua ri-
vista, riaggregando a piacere i contenuti. Insomma,
«in SJS, ogni articolo è l’inizio di una conversazione
scientifica globale».
e) L’archivio-network-rivista
Science Open64 si definisce come una rete di ricerca
e pubblicazione, che riunisca in una sola piattaforma
i vantaggi di un motore di ricerca, di un social e di un
research network, in cui si possono creare gruppi e se-
guire ricercatori affini, di un archivio di preprint che
garantisca immediatezza di disseminazione e di una
piattaforma editoriale che garantisca la qualità scien-
tifica attraverso revisioni trasparenti. Science Open ha
un solo motore di ricerca per quanto pubblica e per
quanto aggrega dagli archivi Open Access, eliminando
quindi i “silos informativi”, permette la creazione di
profili e gruppi e quindi la discussione diretta fra pari,
e accetta la pubblicazione di ogni tipo di ricerca, anche
62 F1000, http://f1000research.com/
63 Self journal of science, http://www.sjscience.org/
64 Science Open, http://about.scienceopen.com/what-is-scienceo-
pen/
72
fare open access e farlo correttamente
dai risultati negativi, anche non revisionata, offrendo
un servizio di post-publication peer review (la revisione
post-pubblicazione) attraverso la comunità.
f ) La piattaforma di pubblicazione continua
PubPub65 è nata a gennaio 2016 dai laboratori del
MIT come piattaforma collaborativa di “pubblicazio-
ne continua”, in cui ognuno può pubblicare e poi de-
cidere se rendere pubblico ciò che ritiene utile alla
scienza. Si basa su software di scrittura collaborativa
che permette articoli dinamici, commenti, interazio-
ni, visualizzazioni live. Può ospitare riviste create da
chiunque desideri aggregare/riaggregare contenuto,
nella convinzione che le riviste non siano custodi del
sapere ma facilitatori e curatori di contenuto.
g) La piattaforma collaborativa
Rapid Science66 collega due piattaforme, Rapid le-
arning e Rapid publications, allo scopo di abbreviare
il tempo che intercorre fra la pubblicazione e la sua
traduzione in cure efficaci. Offre un forum per la di-
scussione, mette in relazione gruppi di ricerca, inco-
raggia la pubblicazione di articoli brevi con ricerche
in progress, dati negativi, replication studies, nella con-
vinzione che le reti collaborative facciano progredire
la scienza più rapidamente.
h) Gli overlay journals
Gli overlay journals, come quelli ospitati sulla piatta-
forma èpiscience67, sono riviste che raccolgono intor-
no a una disciplina i pre-print presenti negli archivi
65 PubPub, http://www.pubpub.org/
66 Rapid Science, http://www.rapidscience.org/
67 Èpiscience, http://www.episciences.org/page/journals
73
elena giglia
Open Access, riproponendoli ai commenti della co-
munità di riferimento.
i) Le riviste di dati
Si tratta di riviste che pubblicano set di dati, inclu-
dendoli nel circuito della comunicazione scientifica e
della valutazione della ricerca e incentivando quindi
la pratica della condivisione dei dati. Un data paper
deve presentare il set di dati nella prospettiva della
sua potenziale utilità per altri ricercatori, e compren-
de quindi una descrizione dei metodi, della struttura,
del suo potenziale quanto a riuso, delle licenze asso-
ciate. Le riviste di dati sono complementari alla pub-
blicazione finale tradizionale sotto forma di articolo
di ricerca, rendono i dati citabili in forma tradizionale
e permettono quindi di tracciarne meglio il riuso68.
2.5 E i libri?
Anche le monografie sono in lenta ma progressiva
evoluzione. Intanto stanno diventando sempre più
digitali – risvolto non scontato in discipline ancora
molto legate alla carta – e spesso Open Access, come
risulta da DOAB – Directory of Open Access Books69
e dalla sempre più variegata associazione degli edi-
tori “open”, in cui si possono trovare tutti i nomi di
riferimento e gli ambiti di interesse70. Stanno speri-
mentando nuove forme “in divenire”, come i Liquid
68 Polydoratou P. Data journals. Presentazione, EU Workshop on Al-
ternative Open Access business models, Bruxelles, October 12, 2015,
http://ec.europa.eu/newsroom/dae/document.cfm?doc_id=11237
69 DOAB, http://www.doabooks.org/
70 OASPA, http://oaspa.org/
74
fare open access e farlo correttamente
Books71 di Open Humanities Press o i Living Books72,
progetto del JISC britannico: volumi che si modifica-
no, si annotano, si aggiornano, e prendono una for-
ma cristallizzata in pdf una tantum.
Per salvaguardare la “bibliodiversità” e le lingue na-
zionali, stanno sperimentando modelli di business e
di sostenibilità in forme molto più variegate rispetto
al mondo delle riviste:
• modello Freemium: adottato da Open Edition73, ha provato
nei fatti la sua sostenibilità economica74. Prevede accesso
libero al testo online, mentre gli ulteriori servizi si pagano;
• modello rete di biblioteche: adottato dalla Open Library of Hu-
manities75, si basa su un contributo minimo richiesto alle bi-
blioteche per la gestione di una piattaforma di pubblicazione
di libri Open Access, di cui ovviamente poi tutti possono fruire;
• modello rete di partner: presuppone un cambio di pro-
spettiva e invece del modello “costo per unità” pagato da
ogni istituzione e moltiplicato per le singole unità (copie
di libri), non sostenibile né scalabile, propone una rete
di attori coinvolti (società scientifiche, biblioteche, enti di
finanziamento), ognuno dei quali contribuisce con una
quota annuale alla copertura delle spese complessive di
pubblicazione e conservazione senza delegare ai solo au-
tori o alle sole biblioteche76.
71 Liquid Books, http://www.openhumanitiespress.org/books/se-
ries/liquid-books/
72 Living Books, http://www.livingbooksaboutlife.org/
73 Open Edition, https://www.openedition.org/
74 Mounier P. Freemium: a sustainable economic model for scholarly
publishing. Presentazione, EU Workshop on Alternative Open
Access business models, Bruxelles, October 12, 2015, http://
ec.europa.eu/newsroom/dae/document.cfm?doc_id=11261
75 Open Library for Humanities, https://www.openlibhums.org/
76 Kennison R. Open Access Network - making Knowledge Public.
Presentazione, EU Workshop on Alternative Open Access bu-
75
elena giglia
• modello pubblicazione diffusa: adottato dal progetto
Knowledge Unlatched77. Le biblioteche condividono il
costo delle spese di pubblicazione di un singolo volume
che poi diventa disponibile per tutti.
Tutto questo ha un impatto positivo sull’ecosistema
della ricerca, perché incrementa l’accesso diminuen-
do i costi, applicando le logiche Open Access anche
nelle scienze umane e sociali.
2.6 Nuovi paradigmi per la valutazione della ricerca
Sempre in area Open Access si sta ridiscutendo
anche di valutazione della ricerca. Contrastare l’uso
indiscriminato dell’Impact Factor è lo scopo della
DORA Declaration78, una sorta di “dichiarazione di
indipendenza”, un segnale chiaro della necessità di
misure più adeguate e meno manipolabili per valu-
tare la ricerca. Il Leiden Manifesto for research metrics79
suggerisce invece dieci principi per una corretta va-
lutazione, che eviti le aberrazioni attuali e metta un
freno alla “ossessione per l’Impact Factor”. Sono poi
nate iniziative come le Altmetrics80 (misure alterna-
tive di impatto), è stato proposto il concetto di “im-
patto sociale” al posto di Impact Factor (cioè quanto
siness models, Bruxelles, October 12, 2015, http://ec.europa.eu/
newsroom/dae/document.cfm?doc_id=11236
77 Knowledge Unlatched, http://www.knowledgeunlatched.org/
78 San Francisco Declaration on Research Assessment (DORA),
http://www.ascb.org/dora/
79 Hicks D. et al. Bibliometrics: The Leiden Manifesto for resear-
ch metrics. Nature, 2015, 520, 429–431 doi:10.1038/520429a
http://www.nature.com/news/bibliometrics-the-leiden-manife-
sto-for-research-metrics-1.17351
80 Priem J. – Taraborelli D. – Groth P. – Neylon C. Altmetrics: A
manifesto, Oct. 26, 2010. http://altmetrics.org/manifesto
76
fare open access e farlo correttamente
la ricerca “raggiunga” la società81), e si sta studiando
“la misura meno sbagliata”82 per valutare la ricerca,
a riprova di quanto dicevamo sulle logiche global-
mente alternative in favore della scienza aperta. Se
ne parlerà più specificamente nei prossimi paragrafi
. Accenniamo poi solo di sfuggita al fenomeno delle
AltMetrics, o metriche alternative, di cui si occuperà
Valeria Scotti: sono misure nate in area Open per se-
guire le tracce del successo di un lavoro in rete, at-
traverso indicatori più “sociali” rispetto alle citazioni,
che rilevano l’impatto solo in area accademica.
Anche sulla peer review ci sono iniziative importan-
ti, come quella di PRO, Peer Reviewers Openness
Initiative83, in cui i revisori si impegnano a chiedere
che tutto il materiale sottoposto a revisione si adegui
a standard di apertura, ovvero renda pubblici i dati,
software, altro materiale utile alla valutazione.
2.7 Due proposte per la transizione
È evidente che ci troviamo in un periodo di transi-
zione, in cui la crisi del sistema attuale è palese e le
istanze di cambiamento sono diffuse.
Registriamo due proposte di cambiamento: una
prevede una conversione dell’intero sistema dal re-
gime attuale di abbonamenti alle riviste a un regime
di APC (Article Processing Charges, spese di pub-
blicazione), con il vantaggio di enormi economie di
81 Alperin J.P. The Public Impact of Latin America’s Approach to
Open Access. Tesi di dottorato, Stanford University, 2015, https://
purl.stanford.edu/jr256tk1194
82 Taylor M. Better ways to evaluate research and researchers. SPARC
Europe Briefing Paper 8, 2016, http://sparceurope.org/wp-con-
tent/uploads/2015/12/Evaluate-SEBriefingPaper-1215.pdf
83 PRO, https://opennessinitiative.org/
77
elena giglia
scala84 ma con uno scarso potenziale correttivo nei
confronti dell’oligopolio, che non verrebbe scalfito.
In più, come dimostra uno studio britannico, il siste-
ma delle APC riproduce esattamente le aberrazioni
del sistema basato sugli abbonamenti, perché negli
ultimi due anni le APC sono cresciute del 6% e sono
molto più care per le riviste ibride rispetto alle riviste
nativamente Open Access. Il rischio è quindi quello
di assistere a una spirale dei prezzi delle APC85.
Più sovversiva è la proposta di Björn Brembs, che so-
stiene una moderna infrastruttura di diffusione dei la-
vori scientifici e si chiede «perché non abbiamo ancora
cancellato tutti gli abbonamenti?»86. Con la stessa cifra
che ogni anno si stima investita in abbonamenti, circa
10 miliardi di dollari, si potrebbe creare una nuova in-
frastruttura, tecnologicamente avanzata, sul modello
degli archivi aperti, che consenta la circolazione gra-
tuita delle pubblicazioni. L’analogia è con le comuni-
cazioni telefoniche: l’università di Regensburg, presso
la quale Brembs insegna, fa pagare le telefonate via
cavo ai docenti, ma offre gratuitamente le chiamate via
rete (con Skype). Così, chi vuole utilizzare il sistema
84 Schimmer R. Making moves towards the large-scale transition to
Open Access. SPARC Europe Opinion piece, 2016, http://spar-
ceurope.org/opinionpiecerschimmernov2016/ che fa riferi-
mento alla circostanziata proposta contenuta in Schimmer R.-
Geschuhn K. - Vogler A. Disrupting the subscription journals’ bu-
siness model for the necessary large-scale transformation to open ac-
cess. Max Planck Gesellschaft White paper, 2015 doi:10.17617/1.3
http://hdl.handle.net/11858/00-001M-0000-0026-C274-7
85 Shamash K. Article processing charges (APCs) and subscriptions.
Monitoring open access costs, JISC report, June 2016, https://
www.jisc.ac.uk/reports/apcs-and-subscriptions
86 Brembs B. Why haven’t we already cancelled all subscritpions?
Blog post, May 20, 2016, http://bjoern.brembs.net/2016/05/
why-havent-we-already-canceled-all-subscriptions/
78
fare open access e farlo correttamente
obsoleto delle riviste dovrebbe pagare l’abbonamento
di tasca propria, mentre a tutti verrebbe assicurato l’ac-
cesso gratuito con la nuova infrastruttura.
Un cambiamento radicale è auspicato anche dal li-
bro bianco Democratizing academic journals87, che
stigmatizza gli interessi opposti dei grandi gruppi
editoriali – il profitto – e dei ricercatori – la diffusio-
ne della scienza – e propone un modello basato si
servizi, da affidare a soggetti differenti. Così facendo,
si creerebbe di nuovo competizione sul mercato, il
controllo della comunicazione scientifica tornerebbe
nelle mani dei ricercatori, mentre verrebbe scardina-
to il sistema di valutazione basato sulle riviste.
L’approccio corretto, quale che sia il futuro assetto,
è quello suggerito dal professor Jean Claude Guédon:
non cercare di salvaguardare l’esistente con aggiu-
stamenti o conversioni, ma chiedersi piuttosto «cosa
serve davvero alla comunicazione scientifica per fun-
zionare al meglio?»88
3. Uno sguardo all’Europa: Open Access, Open
Science e innovazione
L’Open Access non è che un tassello della Open
Science, la cui definizione informale secondo Michael
Nielsen suona così: «La Open Science è l’idea che la
conoscenza scientifica di ogni genere venga condivisa
87 Padula D. et al. Democratizing Academic Journals: Technology, Servi-
ces, and Open Access, febbraio 2017, Copyright, Fair Use, Scholarly
Communication, http://digitalcommons.unl.edu/scholcom/42
88 Guédon J.C. Open Access: A litmus test of scientific publishing and
its business plans. Keynote speech. EU Workshop on Alternative
Open Access business models, Bruxelles, October 12, 2015, http://
ec.europa.eu/newsroom/dae/document.cfm?doc_id=11219
79
elena giglia
appena possibile»89. Con una definizione più cano-
nica, «Scienza aperta significa dati e testi che posso-
no essere liberamente usati, modificati, condivisi da
chiunque per qualsiasi fine»90. Open Science è un
concetto ombrello, quindi, che comprende, oltre ai te-
sti, i software, i dati e le risorse educative. La mappa
pubblicata dalla Commissione Europea91 ne rissume
caratteristiche e indicatori, che sono di vitale impor-
tanza perché si tratta di un fenomeno in rapida evo-
luzione.
Fig. 1 Open Science Monitor
89 Nielsen M. Informal Open Science definition. Blog post, 2011,
http://www.openscience.org/blog/?p=454
90 Traduzione mia dall’inglese della Open Definition (http://open-
definition.org/), la pagina italiana non riporta la definizione:
http://opendefinition.org/od/2.0/it/
91 Open Science Monitor, marzo 2017, https://ec.europa.eu/rese-
arch/openscience/index.cfm?pg=home§ion=monitor
80
fare open access e farlo correttamente
3.1. Cos’è la scienza aperta
Con il suo approccio pragmatico il Commissario
Europeo Carlos Moedas, che crede fermamente che
nell’apertura risieda il futuro della scienza e della cre-
scita dell’Europa, così parla della Open Science:
La scienza aperta descrive la trasformazione in atto nel
modo in cui la scienza viene prodotta, i ricercatori collabora-
no, la conoscenza viene condivisa, e la scienza è organizza-
ta. Rappresenta un cambiamento nel modus operandi della
scienza e della ricerca. Riguarda l’intero ciclo della ricerca e
tutti gli attori coinvolti, accresce le potenzialità della scienza
creando più trasparenza, apertura, connessioni di rete, col-
laborazione, e sposta l’attenzione dalla cultura del “pubblica
o muori” alla prospettiva di condivisione della conoscenza92.
La scienza aperta è un beneficio per tutti, una situa-
zione win-win in cui ognuno cresce, o, con le parole
di Erin McKiernan: «Il vantaggio è per il pubblico. Il
vantaggio è per te. Cosa aspetti? Sii open!»93
Per Neelie Kroes, ex Vice Presidente della Commis-
sione Europea, «la scienza aperta dipende da menti
aperte»94. Come recita un tweet di un giovane ricer-
catore,«essere aperti e trasparenti è un modo di fare,
non è una casella di controllo alla fine»95.
92 Moedas C. Open science for a knowledge and data-driven economy.
Speech. ERA conference, June 23 2015, http://ec.europa.eu/
commission/2014-2019/oettinger/blog/open-science-knowled-
ge-and-data-driven-economy_en
93 Why open research è una pagina ricca di suggerimenti ed esempi
su come si possa mettere la propria ricerca aperta a vantaggio di
tutti, http://whyopenresearch.org/
94 Kroes N. Open Science depends on open minds. Video, Sept. 2014,
https://www.youtube.com/watch?v=icu4ClrrlJI
95 Tweet, Oct. 17 2014, https://twitter.com/openscience/sta-
tus/523141925667614720
81
elena giglia
La scienza aperta implica condividere ogni passo del
processo di ricerca, dai dati, ai protocolli, al software,
ai risultati, ma è un “continuum” di pratiche96, in cui
si può cominciare con poco; nei casi più innovativi si
giunge a mettere a disposizione di tutti gli appunti
di laboratorio, come abbiamo visto al paragrafo 2.1 .
L’obiettivo finale è una società migliore:
«Quando la società ha bisogno di capire, si rivolge al mondo
della ricerca per avere analisi, approfondimenti, risposte. La
Open Science mantiene aperto questo dialogo, permette di
prendere decisioni informate, favorisce prospettive di innova-
zione per il futuro. E, auspicabilmente, fornisce anche nuova
ispirazione alla generazione di giovani ricercatori»97.
La bellissima immagine di Bianca Kramer e Jero-
en Bosman (Fig. 2), frutto del progetto Innovations
in scholarly communication98, mostra quanti e quali
siano gli strumenti e le pratiche della Open Science e
come questa tocchi ogni aspetto del ciclo della comu-
nicazione scientifica:
96 McKiernan E. et al. How open science helps researchers succeed.
eLife 2016;5:e16800, http://dx.doi.org/10.7554/eLife.16800
97 Dutch Open Science National plan. Feb. 9, 2017, https://www.
openscience.nl/en
98 Kramer, B. & Bosman, J. Innovations in scholarly communication,
https://101innovations.wordpress.com/. Il link diretto alla ruota
della Open Science attivabile è https://bmkramer.databox.me/
Public/Wheel_of_Open_Science/, mentre su Figshare si trova
la versione editabile: https://figshare.com/collections/Open_
Science_practices/3685048
82
fare open access e farlo correttamente
Fig. 2 La ruota della scienza aperta. La versione online è interattiva.
L’accesso ai testi conta in piccola parte, poiché gli
articoli non descrivono che le conclusioni del lavo-
ro di ricerca; ciò che davvero può fare la differenza è
l’accesso ai dati in formato leggibile dalle macchine:
«La maggior parte dei dati nel mondo (circa il 90%) è
stata prodotta negli ultimi due anni. I computer han-
no da tempo superato gli uomini nella capacità di ri-
conoscere i modelli in dataset di larghe proporzioni. I
dati scientifici hanno un estremo bisogno di apertura,
di una gestione più accurata, di essere leggibili dalle
macchine e di tanto, tanto riuso99» come ci ricorda
99 Mons B. Preface to the First report of the Commission High Level
Expert Group on the European Open Science Cloud, Oct. 11, 2016,
83
elena giglia
Barend Mons presentando la European Open Scien-
ce Cloud100, lo strumento destinato a fare da supporto
alla scienza e all’innovazione in Europa nei prossimi
anni. Sì, perché la Commissione Europea crede fer-
mamente nel legame fra scienza aperta e innovazio-
ne, come ci ricorda il Commissario Carlos Moedas in
un discorso non a caso intitolato La scienza aperta per
un’economia della conoscenza basata sui dati:
Scienza aperta significa anche essere sicuri che la scienza
sia al servizio dell’innovazione e della crescita. Garantisce
l’accesso aperto ai risultati della ricerca finanziata con i fondi
pubblici e la possibilità di condividere conoscenza attraverso
infrastrutture dedicate. Facilitare l’accesso a questi dati signi-
fica incoraggiare il riuso dei risultati della ricerca […], in par-
ticolare le piccole medie imprese possono accelerare l’imple-
mentazione di idee e prodotti innovativi101.
E ancora:
Il dato comune al successo nell’area della ricerca e innova-
zione è l’apertura. Credo che il futuro dell’innovazione stia nel
mettere insieme e far collaborare quante più persone, idee e
discipline possibile […] Per me, il futuro sta nella innovazione
aperta, perché l’apertura è il motore dell’innovazione102»
p. 5 (traduzione mia) http://ec.europa.eu/research/openscien-
ce/pdf/realising_the_european_open_science_cloud_2016.
pdf#view=fit&pagemode=none
100 European Open Science Cloud, http://ec.europa.eu/research/
openscience/index.cfm?pg=open-science-cloud
101 Moedas C. Open science for a knowledge and data-driven economy.
Speech. ERA conference, June 23 2015, http://ec.europa.eu/
commission/2014-2019/oettinger/blog/open-science-knowled-
ge-and-data-driven-economy_en
102 Moedas C. The importance of research for the future of Europe. Spe-
ech. Aug. 31 2015, http://ec.europa.eu/commission/2014-2019/
moedas/announcements/importance-research-future-europe_
en
84
fare open access e farlo correttamente
Non è un caso che Moedas abbia coniato l’espres-
sione Open innovation, Open Science, Open to the wor-
ld103 e che abbia improntato tutto il suo mandato al
sostegno deciso verso l’apertura. L’Europa sta andan-
do decisamente in questa direzione.
3.2 Scienza aperta e innovazione
Già nel 2012 la Commissione Europea aveva rico-
nosciuto che
La ricerca moderna si fonda su un dialogo scientifico
ampio e progredisce migliorando i lavori che l’hanno pre-
ceduta. Un accesso più completo e diffuso alle pubblica-
zioni e ai dati scientifici contribuirà quindi a:
• accelerare l’innovazione (più rapidamente sul mercato = cre-
scita più rapida);
• favorire la collaborazione ed evitare la sovrapposizione delle
iniziative (efficienza maggiore);
• lavorare basandosi sui risultati di ricerche precedenti (risultati
qualitativamente migliori);
• coinvolgere i cittadini e la società (maggiore trasparenza del
processo scientifico)
[…] La Commissione europea ravvisa nell’accesso aper-
to un elemento essenziale di condivisione fra persone e
idee, in grado di fungere da catalizzatore della scienza e
dell’innovazione. Ai fini della crescita economica e in ri-
sposta alle crisi cui la società è confrontata nel XXI secolo,
è essenziale ottimizzare la circolazione e il trasferimento
del sapere scientifico fra i grandi portatori di interesse nel
settore della ricerca europea: università, enti finanziatori
103 Il motto è diventato anche il titolo del volume che raccoglie i
suoi discorsi, Moedas C. Open Innovation, Open Science, Open to
the world, EC press, 2016 http://bookshop.europa.eu/en/open-
innovation-open-science-open-to-the-world-pbKI0416263/
85
elena giglia
della ricerca, biblioteche, aziende innovative, amministra-
zioni pubbliche e decisori politici, organizzazioni non go-
vernative (ONG) e società in genere104.
Il Consiglio sulla Competitività del maggio 2016,
nel documento finale La transizione verso un sistema
di scienza aperta105, ha auspicato che entro il 2020 tut-
ta la ricerca finanziata con fondi europei debba esse-
re pubblicata in Open Access riconoscendo che
la scienza aperta ha il potenziale per aumentare la qualità,
l’impatto e i vantaggi della scienza e per accelerare il progres-
so della conoscenza rendendola più affidabile, più efficiente
e precisa, più facilmente comprensibile alla società e più ri-
spondente alle sfide per la società, e che ha il potenziale per
consentire la crescita e l’innovazione attraverso il riutilizzo
dei risultati scientifici ad opera di tutte le parti interessate a
tutti i livelli della società e, in ultima istanza, per contribuire
alla crescita e alla competitività dell’Europa.
Allo stesso tempo, con la Comunicazione Europe-
an Cloud Initiative - Building a competitive data and
knowledge economy in Europe, la Commissione sta
cercando soluzioni concrete per sfruttare pienamen-
te il potenziale dei dati e farne il motore della scienza
aperta e della quarta rivoluzione industriale. Rientra
in questo il progetto del Cloud europeo della scienza
aperta, che
104 Communication Towards better access to scientific information:
Boosting the benefits of public investments in research, COM(2012)
401 final, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?u-
ri=COM:2012:0401:FIN
105 Council Conclusions On The Transition Towards An Open Scien-
ce System, May 27 2016, data.consilium.europa.eu/doc/docu-
ment/ST-9526-2016-INIT/en/pdf
86
fare open access e farlo correttamente
avvalendosi di un’infrastruttura di dati europea, mira a svi-
luppare l’eccezionale capacità di calcolo, la rapida connetti-
vità e le soluzioni cloud ad alta capacità necessarie. La base
di utenti, inizialmente ristretta alla comunità scientifica, sarà
estesa al settore pubblico e all’industria, creando soluzioni e
tecnologie che porteranno vantaggi a tutti i settori dell’econo-
mia e della società. Per realizzare questo proposito sarà ne-
cessaria una collaborazione aperta a tutti coloro che saranno
interessati a trarre beneficio dalla rivoluzione dei dati in Eu-
ropa come componente essenziale della crescita mondiale106.
La scienza aperta è vista come il principale vettore
della competitività nei confronti di paesi quali Cina,
Giappone, Russia, gli Stati Uniti, che stanno già spe-
rimentandone i benefici, per esempio con l’utilizzo
del cloud computing o delle tecniche di text e data mi-
ning.
Le barriere alla diffusione della scienza, nel sistema
di comunicazione chiuso attuale, sono ancora tante
e tali da impedire produttività, competitività, cresci-
ta oltre che la soluzione di sfide globali di interesse
comune107.
In concreto, in Horizon 2020, il programma qua-
dro di finanziamento della ricerca in Europa, è già
previsto l’Open Access non solo per tutti i risultati
ma anche per i dati (i dati su cui si basano le ricerche
pubblicate, ovviamente, non i dati inediti108). Sono
106 Communication European Cloud Initiative - Building a competiti-
ve data and knowledge economy in Europe, COM(2016) 178 final,
E 2016, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTM-
L/?uri=CELEX:52016DC0178&from=GA
107 Picarra M. Open Access to scientific information: facilitating know-
ledge transfer and technological innovation from the academic to the
private sector, PASTEUR4OA briefing paper, 2015, http://dx.doi.
org/10.5281/zenodo.44316
108 Una guida pratica su come ottemperare alle richieste della
Commissione per i progetti finanziati in Horizon 2020 si trova
87
elena giglia
ben presenti – e dibattuti per anni – i concetti di inte-
grità dei dati, di tutela della privacy e dei dati perso-
nali, di segretezza dei dati della ricerca applicata, in
particolare per progetti in cooperazione con soggetti
privati; ma la logica che è sottesa è di rendere i dati
«aperti il più possibile, chiusi solo se necessario»109.
Sono passi importanti verso una nuova concezio-
ne della comunicazione scientifica, assai diversa da
quella attuale:
La scienza sta diventando satura di dati. Ma la comunica-
zione scientifica, le tecniche di gestione dei dati, i sistemi di
valutazione e gli incentivi non si stanno adattando a questa
rivoluzione. I ricercatori, gli enti finanziatori e gli editori che
pubblicano (ho sempre pensato che “pubblicare” volesse dire
“rendere pubblico”) si tengono l’un l’altro ostaggio in un ab-
braccio mortale continuando a condurre, pubblicare, finan-
ziare e valutare la ricerca come un secolo fa. Al momento,
nessuno sembra in grado di spezzare questa catena. L’accesso
aperto agli articoli è indispensabile, ma risolve solo una picco-
la parte del problema. Così come i dati, da soli, non bastano110.
Ciò che serve è un deciso cambio di paradigma ver-
so una scienza che sia davvero aperta e funzionale
all’innovazione. Per far questo occorre anche una
rinnovata idea di comunicazione scientifica, simile a
sulla pagina di OpenAIRE, https://www.openaire.eu/intro-rese-
archers
109 Guidelines on FAIR Data Management in Horizon 2020, luglio
2016, http://ec.europa.eu/research/participants/data/ref/
h2020/grants_manual/hi/oa_pilot/h2020-hi-oa-data-mgt_
en.pdf
110 Mons B. Preface to the First report of the Commission High Level
Expert Group on the European Open Science Cloud, Oct. 11, 2016,
p. 5 (traduzione mia) http://ec.europa.eu/research/openscien-
ce/pdf/realising_the_european_open_science_cloud_2016.
pdf#view=fit&pagemode=none
88
fare open access e farlo correttamente
quella che abbiamo cercato di delineare in questi pa-
ragrafi, basata sull’idea di condivisione di dati e risul-
tati, di immediatezza (la logica dei preprint), di riuso,
di collaborazione anche con il privato, con le piccole
medie imprese, con il territorio. Un valido punto di
riferimento in questa direzione è la Amsterdam Call
for Action on Open Science111 con le sue dodici azioni
strategiche che prendono in considerazione tutti gli
aspetti della ricerca: la produzione, la diffusione, la
valutazione – perché, come abbiamo ricordato, fin-
ché non cambiano i criteri di valutazione e gli incen-
tivi connessi è difficile che cambino i comportamenti
dei ricercatori112.
Gli obiettivi per il 2020 dovrebbero quindi essere:
l’accesso aperto alle pubblicazioni, il riuso ottimale
dei dati, un nuovo sistema di valutazione e incentivi,
e un’armonizzazione delle politiche in favore della
scienza aperta. La rimozione delle barriere che im-
pediscono la Open Science passa, tra l’altro, dalla
trasparenza sui costi della comunicazione scientifica,
o dalla creazione di infrastrutture adeguate, o dalla
diffusione dei principi FAIR (Findable, Accessible,
Interoperable, Reusable – reperibili, accessibili, inte-
roperabili, riusabili)113 per i dati. I principi FAIR sono
basilari, perché non è sufficiente mettere i dati in
rete, occorre farlo in maniera intelligente, come ri-
corda un fondamentale rapporto della Royal Society,
111 Amsterdam Call for Action on Open Science, https://english.
eu2016.nl/documents/reports/2016/04/04/amsterdam-call-
for-action-on-open-science
112 Ne è pienamente consapevole Alperin JP. Motivating Open
Practices Through Faculty Review and Promotion. Blog post, Jan.
4, 2017, http://www.opencon2016.org/motivating_open_rpt
113 FAIR data principles, https://www.force11.org/group/fairgroup/
fairprinciples
89
elena giglia
La scienza come un’impresa aperta, in cui si parla di
“intelligent openness”114.
Il cammino è ancora lungo, c’è un linguaggio nuovo
da imparare115, c’è una cultura da sviluppare, ci sono
strumenti innovativi da provare, ci sono comporta-
menti e politiche da modificare.
Ciò che serve è una sinergia fra la miriade di pro-
getti in corso e un’idea nuova di infrastruttura che
colleghi progetti, strumenti, comunità di ricerca con
l’idea dei “commons”, dei beni comuni116.
Ed è importante che la transizione verso modelli
più aperti e più funzionali alla crescita e all’innova-
zione dell’intera società – non dimentichiamo che
stiamo parlando di ricerca finanziata con fondi pub-
blici – parta da tutti gli attori coinvolti e si orienti a
riequilibrare le asimmetrie esistenti nel sistema.
In questo senso, le parole di Neelie Kroes sono
tutt’oggi illuminanti:
Il meglio di Internet è che è aperto. Ci permette di condivi-
dere e innovare in ogni campo. Nella scienza, l’apertura è fon-
damentale […]. Scienza aperta non significa ignorare la realtà
economica. Certo, abbiamo bisogno di modelli di business
che siano sostenibili. Ma questo non significa che dobbiamo
continuare a fare le cose come le abbiamo sempre fatte. Per
questo, ovunque voi siate nella catena della produzione scien-
tifica, che siate ricercatori, investitori o decisori politici, il mio
messaggio è chiaro: investiamo in strumenti collaborativi che
114 Royal Society. Science as an open enterprise. Report. London,
2012, The Royal Society, https://royalsociety.org/topics-policy/
projects/science-public-enterprise/report/
115 Masuzzo P. - Martens L. Do you speak open science? Resources
and tips to learn the language. PeerJ Preprints, 2017, 5:e2689v1
https://doi.org/10.7287/peerj.preprints.2689v1
116 Il progetto Open Science Commons mira proprio a questo: ht-
tps://www.opensciencecommons.org/
90
fare open access e farlo correttamente
ci permettano di progredire. Abbattiamo i muri che rinchiu-
dono la conoscenza. E rendiamo aperta la scienza117.
117 Kroes N. Let’s make science open, video, Jun. 11 2012, http://www.
youtube.com/watch?v=6sJbi2eaPXc&list=PL579F6BE69794E-
AEF&index=1&feature=plpp_video
91
Capitolo 4
Come gestire i diritti d’autore per fare
Open Access
Simone Aliprandi
Introduzione
Chi si aspetta un capitolo in cui per l’ennesima volta
illustro sistematicamente il senso e il funzionamento
delle licenze open content (Creative Commons e si-
mili) rimarrà deluso. In questa sede, cioè in un libro
che esce a ormai quindici anni dal lancio del progetto
Creative Commons e dopo numerose iniziative di di-
vulgazione e formazione sul tema (da parte mia e da
altri colleghi), preferisco concentrarmi sulla questio-
ne centrale: ossia conoscere e comprendere i principi
giuridici, gli strumenti giuridici, le prassi giuridiche
che ci permettono di fare Open Access, lasciando i
discorsi più generali ad altre fonti già a disposizione.
Le licenze open content sono di certo un ingredien-
te importante di questa ricetta, ma non l’unico e forse
non il più essenziale. Ancora più alla base vi è a mio
avviso una esigenza di maggior consapevolezza sugli
simone aliprandi
aspetti giuridici da parte degli scienziati e degli ad-
detti ai lavori della comunicazione scientifica.
Confido che gli spunti forniti in questi prossimi para-
grafi possano contribuire proprio ad aumentare questa
consapevolezza o quanto meno a fornire un’utile map-
pa concettuale da utilizzare e consultare al bisogno.
1. Le gestione dei diritti sull’opere di natura scientifica
Prima di procedere a presentare gli strumenti giuri-
dici per fare Open Access, è comunque utile definire
meglio il campo in cui si muove la nostra analisi. Per
farlo dobbiamo innanzitutto aver chiaro con quali tipi
di opere dell’ingegno abbiamo a che fare; dopo di che
potremo riflettere su quali diritti insistono su di esse
e chi siano i titolari di questi diritti. Questo ci permet-
terà in generale di muoverci con maggior confidenza su
questo terreno e più specificamente di cogliere più chia-
ramente il senso delle indicazioni che sto per fornirvi.
1.1 Che tipi di opere?
Quando parliamo di “sapere scientifico” abbiamo a
che fare con varie categorie di opere tra quelle tradi-
zionalmente individuate dal diritto d’autore.
Principalmente si tratta di opere letterarie: articoli,
monografie, atti di convegni, papers, saggi, manuali,
trattati rientrano in questa categoria; la più antica e
quindi anche quella dotata di una più solida giuri-
sprudenza e prassi contrattuale.
Però quasi sempre la parte più strettamente testuale
è accompagnata da immagini di vario tipo (fotografie,
diagrammi, grafici, mappe geografiche) che in alcuni
94
come gestire i diritti d’autore per fare open access
casi sono semplice corredo del testo, in altri casi invece
diventano di fatto la parte più interessante dell’opera
scientifica, e perciò possono diventare oggetto di ripro-
duzioni anche svincolate dal contesto originario.
In alcuni casi possiamo avere a che fare con opere
videografiche; pensiamo infatti ai video divulgativi
realizzati per comunicare i risultati di alcune ricer-
che, oppure alle riprese che documentano convegni,
conferenze, lezioni, oppure alle videointerviste fatte
da giornalisti scientifici.
Ci sono poi quelli che vengono molto genericamen-
te chiamati “dati” e che, in un contesto di comunica-
zione scientifica sempre più digitale e “open”, diven-
tano davvero un elemento fondamentale per i fruitori
di “sapere scientifico”. Su questa categoria è impor-
tante fare alcune precisazioni concettuali.
Innanzitutto è importante precisare che “dati” è un
termine troppo generico ai fini di un inquadramen-
to nei cardini del diritto della proprietà intellettuale.
Per esperienza so che scienziati, informatici, giuristi,
statistici usano il termine “dati” in senso diverso; per
alcuni sono dati tutte quelle “cose” archiviate in un
supporto di memoria, per altri sono dati solo i risul-
tati di rilevazioni scientifiche; e ancora il linguaggio
informatico utilizza “database” e “dataset” per indivi-
duare oggetti profondamente diversi.
Tuttavia, ai fini della nostra riflessione, è fondamen-
tale tenere presente che i dati in sé, cioè le semplici
informazioni, non sono oggetto di tutela da parte del
diritto della proprietà intellettuale. I dati sono oggetto
di tutela solo quando sono raccolti e organizzati in
una vera e propria banca dati e sono tutelati nei limiti
di un particolare diritto chiamato diritto sui generis (di
cui parleremo tra poco).
95
simone aliprandi
Unico vincolo applicabile alle semplice informazio-
ni è l’istituto del segreto industriale. Esso può essere
esercitato attraverso indicazioni di confidenzialità su
alcune informazioni o attraverso veri e propri accordi
di non divulgazione. Si tratta di un’ipotesi non remota
(pensiamo ad esempio alla ricerca scientifica condot-
ta da enti privati, come case farmaceutiche o aziende
hi-tech) ma che a un certo punto, se parliamo di co-
municazione scientifica, si infrange con la necessità di
rendere noti i risultati alla comunità scientifica.
1.2 Quali diritti?
In realtà l’espressione onnicomprensiva “diritti
d’autore”, benché utilizzata per comodità, è molto
vaga, dato che i diritti di privativa che possono insi-
stere su un’opera dell’ingegno sono numerosi e mol-
to eterogenei. Non è questa la sede per una classifi-
cazione dettagliata e una presentazione approfondita
di tutti i diritti previsti dalla legge sul diritto d’autore1,
tuttavia è opportuno tenere presente le linee generali
delle varie categorie di diritti, e mettere a fuoco in
particolar modo i diritti che entrano in gioco nel caso
di opere di carattere scientifico.
La classificazione più accreditata distingue innanzi-
tutto in diritti di tipo personale e diritti di tipo patrimo-
niale. I primi sono i cosiddetti diritti morali, come il
diritto al riconoscimento della paternità dell’opera e il
diritto a impedire modifiche all’opera che siano lesive
della reputazione dell’autore; si tratta di diritti stretta-
mente legati alla personalità e alla reputazione creati-
va dell’autore, che quindi non possono essere ceduti
1 Per questo si rimanda a Aliprandi, S., Capire il copyright. Percor-
so guidato nel diritto d’autore, Ledizioni, 2012.
96
come gestire i diritti d’autore per fare open access
e regolamentati in contratti o licenze. Tra l’altro non
esistono in tutte le legislazioni. Per questi motivi è
difficile che essi entrino in gioco nella macchina della
contrattazione e del licensing, e dunque non è il caso di
dedicare loro troppo spazio. Semplicemente ricordia-
moci che esistono e che possono in alcune situazioni
essere esercitati dall’autore originario, anche quando
egli abbia ceduto interamente tutti gli altri diritti.
Vi sono poi i diritti d’autore di carattere patrimonia-
le, cioè quei diritti di utilizzazione che hanno come
fine principale quello di rendere possibile una re-
munerazione per gli autori o per i loro aventi causa.
Questi invece sono assolutamente cedibili per con-
tratto (se non lo fossero perderebbero di fatto la loro
funzione) e possono quindi essere oggetto di licen-
ziamento da parte dell’autore stesso o del soggetto a
cui l’autore li ha ceduti. Nella maggior parte dei casi,
quando si parla di “cessione dei diritti d’autore” in
ambito accademico e scientifico, si sta parlando di
questi diritti. Essi, secondo lo schema proposto dalla
legge italiana sul diritto d’autore (dagli articoli 12 a
18bis), sono il diritto pubblicare l’opera, il diritto di
farne copie e riproduzioni, il diritto di trascrivere l’o-
pera, il diritto di eseguire, rappresentare o recitare in
pubblico l’opera, il diritto di comunicare al pubblico
l’opera e di metterla a disposizione del pubblico in
rete, il diritto di distribuire copie dell’opera, il diritto
di fare modifiche e traduzioni dell’opera, il diritto di
dare in prestito o a noleggio l’opera.
Ci sono poi i cosiddetti diritti connessi, ossia dirit-
ti su attività simili o connesse a quelle tutelate dai
diritti d’autore in senso stretto; attività comunque
fondamentali nel processo di diffusione e “confezio-
namento” delle opere ma non propriamente auto-
97
simone aliprandi
rali. Questi diritti non appartengono agli autori ma
ad altri soggetti che appunto si occupano di queste
attività; gli esempi principali sono il produttore fo-
nografico, il produttore cinematografico, le emittenti
radiofoniche e televisive, gli artisti interpreti ed ese-
cutori. Questi diritti entrano più raramente in gio-
co nella diffusione del “sapere scientifico”, se non in
casi in cui vi sia un’attività di divulgazione scientifica
strutturata anche in forma audiovisiva.
Infine vi è il diritto sui generis del costitutore di ban-
che dati (così come è stato definito fin dalla sua com-
parsa a metà degli anni 90): si tratta di uno strano
diritto figlio di una direttiva UE e dunque esistente
solo in Europa, che tutela l’estrazione e il riuso di par-
ti sostanziali di una banca dati. Esso copre anche le
banche dati prive di carattere creativo, cioè nelle quali
l’organizzazione dei dati non risponda a logiche parti-
colarmente creative (ad esempio dati ordinati in ordi-
ne alfabetico o in ordine di grandezza), a condizione
però che la costituzione della banca dati abbia richie-
sto un rilevante investimento. Non a caso si parla di
“costitutore” e non di “autore” della banca dati. Que-
sto diritto effettivamente entra in gioco sempre più
spesso dal momento che la disseminazione scientifi-
ca è ormai costantemente accompagnata dalla messa
a disposizione dei dati su cui si fondano le rilevazioni
e conclusioni tratte.
1.3 Di chi sono i diritti?
Avere ben chiaro di chi sono i diritti diventa fon-
damentale quando ci troviamo a dover ragionare sul
licenziamento di contenuti di carattere scientifico. È
infatti il titolare dei diritti a poter ricoprire il ruolo di
98
come gestire i diritti d’autore per fare open access
licenziante, cioè di colui che legittimamente attribu-
isce una licenza alla sua opera per regolamentarne
l’utilizzo da parte del pubblico. Nel sistema italiano,
figlio del diritto d’autore di matrice francese che dà
indiscussa centralità alla figura dell’autore, i dirit-
ti sono tendenzialmente dell’autore, inteso come la
persona fisica che ha concepito lo spunto creativo e
lo ha estrinsecato sotto forma di opera dell’ingegno.
La legge italiana pone solo alcune ristrette eccezioni
a questa regola, stabilendo che nel caso di software,
banche dati e progetti di design creati da lavoratori
dipendenti i diritti di utilizzazione economica appar-
tengono in via originaria al datore di lavoro. In tutti
gli altri casi l’autore è sempre il titolare originario e
quindi l’eventuale cessione ad altri soggetti (che può
essere esclusiva o non esclusiva) deve comunque es-
sere sorretta da un apposito contratto. Si faccia co-
munque attenzione che, in caso di cessione esclusiva
dei diritti, l’autore di fatto perde buona parte della
prerogative di gestione e controllo sull’utilizzo della
sua opera (che passano nelle mani del cessionario),
tra cui anche il “potere” di applicare licenze all’opera
e rilasciare liberatorie.
2. Pubblico dominio, fair use e libere utilizzazioni
Ancora prima di entrare nel merito degli strumenti
e delle prassi coerenti con lo spirito dell’Open Access
è importante ricordare che non tutti i frutti della cre-
atività e dell’inventiva umana sono sottoposti a tutela
da parte del cosiddetta proprietà intellettuale. Certo,
la prudenza suggerisce sempre che, quando trovia-
mo un’opera dell’ingegno e non siamo sicuri che sia
liberamente utilizzabile, ci asteniamo dall’utilizzarla
99
simone aliprandi
e ci attiviamo per ottenere un formale permesso dal
titolare dei diritti.
Ci sono però molti casi in cui le opere sono libera-
mente utilizzabili poiché sono passate in pubblico do-
minio oppure perché ci troviamo in un caso di fair use
(come lo chiamerebbero gli americani) o di libera uti-
lizzazione. Spesso l’attività di ricerca scientifica è resa
possibile proprio da questi istituti giuridici, dunque è
importante conoscerne i lineamenti di massima.
2.1 Il pubblico dominio
Per fornire una definizione laconica, possiamo dire
che un’opera è in pubblico dominio quando non insi-
ste più alcun tipo di vincolo e privativa su di essa ed
è diventata patrimonio culturale dell’umanità; l’opera
è quindi liberamente utilizzabile da chiunque senza
dover chiedere una preventiva autorizzazione, salvo
il rispetto dei cosiddetti diritti morali (in quegli ordi-
namenti che contemplano questa categoria di diritti).
È infatti importante tener presente che il diritto
d’autore come anche il brevetto per invenzione in-
dustriale sono istituti giuridici che prevedono una
durata limitata nel tempo, concepiti per attribuire
al titolare dei diritti la possibilità di sfruttare in via
esclusiva la sua creazione o invenzione per un perio-
do predeterminato e comunque limitato. Trascorso
questo termine il titolare dei diritti non ha più la pos-
sibilità di controllarne lo sfruttamento e l’utilizzo da
parte di altri soggetti.
Possiamo “isolare” tre tipi di pubblico dominio,
cioè tre diverse casistiche secondo cui un’opera è da
ritenersi libera da qualsivoglia vincolo e utilizzabile
liberamente.
100
come gestire i diritti d’autore per fare open access
- Tipo A (che possiamo definire “public domain by
law”). L’opera creativa è in pubblico dominio perché
è la legge a stabilirlo espressamente. In questo caso,
dunque, non ha rilevanza il trascorrere di un deter-
minato lasso di tempo; al contrario l’opera è in pub-
blico dominio fin dalla sua creazione e pubblicazione
in virtù di una previsione legislativa. Ad esempio la
legislazione statunitense in materia di copyright sta-
bilisce il principio secondo cui un’opera realizzata
dal Governo Federale (si noti bene: solo dal Governo
Federale e non da tutti gli enti pubblici USA) non è
soggetto a copyright (si veda 17 U.S. Code § 105). An-
che l’ordinamento italiano ha un principio vagamen-
te simile nell’articolo 5 della L. 633/1941, che testual-
mente recita: “Le disposizioni di questa legge non si
applicano ai testi degli atti ufficiali dello stato e delle
amministrazioni pubbliche, sia italiane che stranie-
re.” Questa norma, benché nello spirito sia simile a
quanto previsto dall’ordinamento americano, è ben
più ristretta nella portata (anche a causa di una sua
interpretazione fin troppo restrittiva da parte della
dottrina e della giurisprudenza italiane). Si noti infat-
ti che si fa riferimento unicamente ai testi – e quindi
non ad altri tipi di contenuti come immagini, suoni,
video – degli atti ufficiali – cioè di quegli atti emessi
dallo Stato o da un ente pubblico nell’esercizio delle
sue funzioni amministrative e giurisdizionali (leggi,
regolamenti, delibere, verbali, sentenze, ordinan-
ze…). Rimangono quindi sotto il campo d’azione del
diritto d’autore tutte le altre opere creative prodotte
dagli apparati pubblici italiani, i quali – ai sensi del
successivo articolo 11 – esercitano un pieno diritto di
privativa “sulle opere create e pubblicate sotto il loro
nome e a loro conto e spese”.
101
simone aliprandi
- Tipo B (che possiamo definire “pubblico domi-
nio per scadenza dei termini”). L’opera creativa è in
pubblico dominio perché sono scaduti tutti i diritti di
privativa su di essa. È questo il caso più classico e più
noto (nonché quello di cui abbiamo già trattato nel-
la parte introduttiva di questo paragrafo); ma anche
quello più problematico, siccome non è affatto facile
stabilire quando siano effettivamente e pacificamente
scaduti tutti i diritti su un’opera. Innanzitutto, come
abbiamo accennato, nonostante ci sia una regola ge-
nerale che accomuna le principali legislazioni, sono
comunque molteplici le eccezioni dipendenti da nor-
me nazionali o specifiche decisioni giurisdizionali. A
volte, ad esempio nel caso di opere che coinvolgono
vari autori provenienti da paesi differenti, non è nem-
meno chiaro quale sia la legge di riferimento. Inoltre
si tenga presente che sono poche le categorie di opere
che nascono dal contributo creativo di un unico au-
tore; in tutti gli altri casi per accertarsi del passaggio
in pubblico dominio è necessario avere contezza dei
nomi di tutti gli autori e delle relative date di morte:
cosa non semplice, a meno che si tratti di autori di
fama riconosciuta. Infine, a tutto ciò si aggiunga che
in alcuni casi sulle opere non insistono solo diritti
d’autore in senso stretto ma anche diritti connessi o
il già citato diritto sui generis sulle banche dati.
- Tipo C (che possiamo definire “pubblico dominio
artificiale” o “volontario”). L’opera creativa è in pub-
blico dominio perché il titolare ha dichiara di rinun-
ciare (in modo definitivo e irrevocabile) all’esercizio
dei suoi diritti sull’opera. Ciò è possibile attraverso
l’utilizzo di appositi strumenti che con dizione anglo-
sassone sono chiamati public domain waiver, cioè atti
di rinuncia (“to waive” significa infatti “rinunciare”);
102
come gestire i diritti d’autore per fare open access
dichiarazioni che, diffuse assieme all’opera (o anche
semplicemente collegate attraverso link ipertestua-
le), comunicano agli utenti la volontà del titolare dei
diritti di “donare” la propria opera all’umanità, quasi
come se egli – mi si conceda la battuta – fosse già
morto da più di settant’anni.
Questi strumenti si comportano come una licenza
open, anche se in realtà essi non realizzano un rap-
porto di licensing perché appunto non vi è una forma
di permesso condizionato all’utilizzo dell’opera, ma
una più radicale rinuncia all’esercizio dei diritti. Il
più noto è quello realizzato e messo a disposizione
da Creative Commons, chiamato CC0 (CC Zero).2
2.2 Fair use, fair dealing e libere utilizzazioni
Esistono casi in cui l’ordinamento giuridico sceglie
di mettere il diritto d’autore, diritto che tutela un in-
teresse privato-commerciale (di autori, editori e pro-
duttori), in secondo piano rispetto ad altri diritti e
interessi ritenuti più importanti. Tra questi interessi
vi sono proprio quelli legati alla libertà di insegnare
e di fare ricerca scientifica, o anche alla possibilità di
accedere a risorse culturali da parte di soggetti svan-
taggiati (come i portatori di handicap).
In altre parole si tratta di aree franche in cui gli utiliz-
zatori di opere dell’ingegno ancora tutelate da copyri-
ght possono muoversi più liberamente, utilizzandole
senza dover chiedere il permesso al titolare dei diritti.
Gli Stati Uniti hanno l’istituto giuridico del fair
use, locuzione che normalmente non viene tradotta e
che comunque letteralmente significa “uso corretto”;
2 Il testo della CC0 è disponibile all’indirizzo https://creative-
commons.org/publicdomain/zero/1.0/deed.it
103
simone aliprandi
nel copyright act (Section 17 U.S.C. § 107) è definito
come segue:
“l’uso corretto di un’opera coperta da copyright […] per fini come
la critica, il commento, la cronaca, l’insegnamento, lo studio, la
ricerca, non è una violazione del copyright”.
Ovviamente, trattandosi di un ordinamento di com-
mon law, è la giurisprudenza (cioè la ricostruzione
delle decisioni dei giudici) a definire i confini specifi-
ci dei singoli casi d’uso.
In altri ordinamenti di common law si parla più che
altro di fair dealing, cioè di una versione più ristretta
e meno flessibile del fair use americano. Non si tratta
di un principio generale, ma affinché si possa effet-
tivamente invocare tale istituto è necessario ricadere
in alcune ipotesi specificamente definite dalla legge.
Queste ipotesi comunque comprendono casi d’uso
più o meno aderenti con quelli già menzionati dalla
norma statunitense: studio e ricerca, critica e com-
mento, parodia, satira, cronaca.
Il sistema italiano è più vicino a questo modello, con
approccio ancor più restrittivo. Infatti quelle che nella
nostra legge sul diritto d’autore (legge 633/1941) veni-
vano tradizionalmente denominate come “libere uti-
lizzazioni” nel 2003 sono state riscritte e rinominate
“eccezioni al diritto d’autore”, a sottolineare anche a li-
vello semantico che si tratti di casi eccezionali (rispetto
alla norma che prevede un sistema “closed by default”).
Esse sono disciplinate dagli articoli 65 e seguenti, tra
cui, ai fini della nostra analisi, è utile menzionare l’ar-
ticolo 70, che appunto si occupa (pur con portata più
ristretta) degli stessi casi d’uso del fair use e del fair de-
aling. Riportiamo il testo integrale dei commi 1 e 1-bis.
104
come gestire i diritti d’autore per fare open access
1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di
opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per
uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché
non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera;
se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve
inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.
1-bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet,
a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degra-
date, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo
non sia a scopo di lucro. Con decreto del MIBAC, sentito il MIUR,
previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono de-
finiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma.
Dopo un comma 2 dedicato unicamente al caso del-
le antologie a uso scolastico (e quindi poco utile alla
nostra analisi), il comma 3 cristallizza in norma giu-
ridica un principio ben noto al “galateo accademico”.
3. Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere
sempre accompagnati dalla menzione del titolo dell’opera, dei
nomi dell’autore, dell’editore e, se si tratti di traduzione, del tra-
duttore, qualora tali indicazioni figurino sull’opera riprodotta.
3. Le licenze per fare Open Access
Oltre che da specifiche disposizioni di legge (come
descritto ne paragrafo precedente), il libero utilizzo
di opere ancora coperte da copyright può essere an-
che sorretto dalla presenza di una licenza d’uso ap-
plicata all’opera dal titolare dei diritti (autore, edito-
re, produttore, costitutore di banca dati, etc.). Dalla
fine degli anni 80 circolano infatti particolari licen-
ze, dette appunto “licenze open”, che, a rispetto alle
licenze proprietarie, invertono il rapporto tra libertà
concesse e condizioni imposte; esse infatti da un lato
concedono un’ampia gamma di libertà di utilizzo e
105
simone aliprandi
dall’altro impongono all’utilizzatore un numero ab-
bastanza circoscritto di condizioni.
Questo modello di licensing nasce in ambito infor-
matico, in seno alla comunità del software libero, ed
è stato poi esportato negli altri campi della creatività
umana. Seguendo l’evoluzione storica, normalmente
si inizia l’argomentazione dalle licenze per software;
tuttavia dal momento che ci stiamo occupando di ac-
cesso aperto ai contenuti scientifici, prenderemo le
mosse dalle licenze per contenuti.
Infine, per meglio inquadrare il concetto di licenza,
ricordiamo che “licenza” deriva dal latino “licere” che
significa “autorizzare, permettere”; di conseguenza una
licenza altro non è che un documento che esprime un
permesso all’utilizzo dell’opera, imponendo delle condi-
zioni più o meno restrittive (a seconda dei casi). Possia-
mo dunque dire che le licenze d’uso sono dei “permes-
si condizionati” concessi a priori dal titolare dei diritti
sull’opera (che tecnicamente è chiamato “licenziante”)
e rivolte a tutti i potenziali utilizzatori (“licenziatari”).
3.1 Licenze per contenuti
Le licenze “open content” (cioè per “contenuti aper-
ti”) compaiono nei primi anni 2000, non a caso con
l’esplosione di Internet come fenomeno di massa e
quindi con la concreta possibilità per tutti di diffon-
dere contenuti creativi senza passare dai classici ca-
nali dell’industria editoriale. Come accennato, esse
sono state redatte prendendo a modello le licenze di
software libero e open source, già in circolazione dal
decennio precedente.
Una delle prime e attualmente ancora molto utilizza-
ta è la GNU Free Documentation License, una licenza
106
come gestire i diritti d’autore per fare open access
predisposta dalla Free Software Foundation per distri-
buire la documentazione tecnico-informatica del Pro-
getto GNU. È stata anche la licenza utilizzata da Wiki-
pedia dalla sua nascita fino al 2009 (quando avvenne il
passaggio a una delle licenze Creative Commons).
Nel 2002 venne inaugurato il progetto Creative
Commons che proponeva un set di licenze utilizzabi-
li sostanzialmente per tutti i tipi di opere creative, ad
esclusione del software. Attualmente le licenze Crea-
tive Commons sono sei ma solo alcune risultano pie-
namente compatibili con la definizione di Open Ac-
cess ormai diffusamente accettata. Tra i due requisiti
fondanti fissati dalla Dichiarazione di Berlino, il primo
prevede che “l’autore e il detentore dei diritti relativi al
contributo creativo garantiscano a tutti gli utilizzatori
il diritto d’accesso gratuito, irrevocabile ed universale
e l’autorizzazione a riprodurlo, utilizzarlo, distribuirlo,
trasmetterlo e mostrarlo pubblicamente e a produrre
e distribuire lavori da esso derivati in ogni formato di-
gitale per ogni scopo responsabile, soggetto all’attribu-
zione autentica della paternità intellettuale”.
Ne consegue che, delle sei licenze Creative Com-
mons, quelle che incarnano questo approccio sono
la Attribution (Attribuzione) e la Attribution - Share
Alike (Attribuzione - Stessa licenza), cioè le due più
libere e meno restrittive.
107
simone aliprandi
La prima permette massima libertà di utilizzo
dell’opera, anche a scopi commerciali e con possibi-
lità di modifica e realizzazione di opere derivate, con
l’unica condizione di attribuire sempre la paternità
all’autore originario (o comunque al titolare dei diritti
che dà in licenza l’opera). La seconda invece aggiunge
la sola condizione che, nel caso vengano realizzate
opere derivate, anche queste ultime siano rilasciate
con la stessa licenza; in questo modo le libertà d’uti-
lizzo presenti sull’opera originaria vengono trasmes-
se anche sulle opere derivate, e via via anche sulle
derivate delle derivate.
In alcuni casi specifici, ad esempio nel caso di ope-
re saggistiche, nelle quali la visione personale dell’au-
tore ha un forte peso, può essere ritenuta accettabile
la licenza Attribution - NoDerivatives (Attribuzione
- Non opere derivate), cioè una licenza che permette
ampie libertà di riutilizzo ma non consente la rea-
lizzazione di opere derivate. Si tenga comunque pre-
sente che questa licenza non risulta compatibile con
la definizione di Open Access.
Non vi è dubbio invece che le licenze con clausola
“Non Commercial” (per altro molto utilizzate dalle
case editrici che abusano del termine “Open Access”)
restino escluse dalle licenze considerate pienamente
“aperte”.
108
come gestire i diritti d’autore per fare open access
3.2 Licenze per dati
Abbiamo visto che negli ultimi anni l’idea di acces-
so aperto ai contenuti di carattere scientifico si è am-
pliata a ricomprendere anche la libera disponibilità
e trasparenza dei dati di ricerca su cui gli autori di
questi contenuti fondano le loro argomentazioni. Il
tutto nello spirito del principale pilastro della scienza
sperimentale: la riproducibilità dei processi e delle
analisi che hanno portato a determinate conclusioni.
Non è però detto che le licenze open content de-
scritte nel paragrafo precedente possano funzionare
senza problemi anche se applicate sulle banche dati.
Come spiegato, la tutela delle banche dati pone que-
stioni particolari, strettamente dipendenti dal funzio-
namento (complesso e diverso rispetto al diritto d’au-
tore classico) del cosiddetto diritto sui generis; istituto
giuridico che, tra l’altro, esiste solo in Unione Euro-
pea e in pochi altri ordinamenti.
Le licenze Creative Commons erano state origi-
nariamente pensate per le opere creative in senso
classico e per di più provengono da un ordinamento
giuridico, quello statunitense, in cui non esiste un
vero e proprio “database right”. Tuttavia, tra gli ultimi
anni 2000 e i primi anni 2010, il tema “open data” si
è fatto sempre più centrale, fino ad arrivare a toccare
l’ambito dei dati della ricerca (si parla infatti di “open
science data”3 o anche “open research data”). Qualcu-
3 A tal proposito si veda l’apposita voce su Wikipedia: https://
en.wikipedia.org/wiki/Open_science_data.
109
simone aliprandi
no ha iniziato a segnalare che, per come erano scritte,
le Creative Commons non fossero adatte a gestire e
“licenziare” correttamente il diritto sui generis. È que-
sto il motivo principale che ha spinto al Open Know-
ledge Foundation (ente con sede in Regno Unito) a
redigere nel 2009 una licenza specifica per il rilascio
di banche dati: la Open Database License (ODbL)4.
Tale licenza è stata scelta ed è tuttora utilizzata dal
progetto Open Street Map5 ed è quindi la licenza sot-
to cui viene rilasciata l’immensa e preziosa massa di
dati georeferenziati di OSM.
Tuttavia, nel frattempo Creative Commons si è atti-
vata per aggiornare le proprie licenze e renderle piena-
mente efficaci anche per le banche dati. Infatti le licen-
ze Creative Commons in versione 4.0, disponibili dal
novembre 20136, contengono specifici riferimenti al
diritto sui generis e dunque possono ora essere tranquil-
lamente utilizzate anche per le banche dati. Per evitare
complicazioni e rischi di confusione e incompatibilità,
è consigliabile, ove possibile, applicare ai dati la stessa
licenza applicata al contenuto (articolo, saggio, paper,
poster); quindi le licenze Creative Commons in versio-
ne 4.0 rimangono la soluzione migliore.
3.3 Licenze per software (cenni)
Tradizionalmente non si dovrebbe parlare di licen-
ze software in un libro dedicato all’Open Access, ma
4 Il testo integrale della ODbL è disponibile al sito https://openda-
tacommons.org/licenses/odbl/.
5 Si veda http://wiki.openstreetmap.org/wiki/Open_Database_
License.
6 Si veda il comunicato “CC’s Next Generation Licenses — Welcome
Version 4.0!” a firma di Diane Peters: https://creativecommons.
org/2013/11/25/ccs-next-generation-licenses-welcome-version-4-0/.
110
come gestire i diritti d’autore per fare open access
ritengo opportuno fare qualche cenno dato che sem-
pre più spesso il rilascio di programmi per elabora-
tore è parte integrante della produzione scientifica.
Benché la definizione di Open Access non si oc-
cupi di software, anche in questo campo possiamo
comunque individuare delle licenze che riproducano
gli stessi effetti già illustrati riguardo le licenze per
contenuti e dati.
Entrambi i principali enti internazionali che si occu-
pano di monitorare e classificare le licenze open per
software, la Free Software Foundation e la Open Source
Initiative, redigono e tengono costantemente aggiorna-
te due liste delle varie licenze coerenti con le rispettive
definizioni di software libero e di software open source.
Le licenze coerenti con la definizione di software
libero (tra cui per antonomasia la licenza GNU GPL
che rimane anche la licenza più utilizzata in assolu-
to) sono anche coerenti con quella di Open Access,
poiché non impongono restrizioni sugli utilizzi com-
merciali e sulle opere derivate.
4. Consigli e indicazioni per fare Open Access
4.1 Prendere una minima confidenza con gli aspetti
giuridici
Come già anticipato nel paragrafo introduttivo di
questo capitolo, il requisito minimo affinché gli ad-
detti ai lavori della produzione e comunicazione
scientifica si muovano correttamente verso l’Open
Access è una maggiore consapevolezza sugli aspetti
giuridici. Troppo spesso ho avvertito da parte di que-
sti soggetti una sorta di idiosincrasia verso questo
111
simone aliprandi
tema, in quanto noioso e complesso. Lasciatemi dire
che in realtà nell’apprendimento di qualche nozio-
ne di base sul diritto d’autore non vi è nulla di così
complesso da non essere alla portata di persone con
una formazione di livello massimo (dottorato di ri-
cerca e master) come tutte quelle che lavorano nel
mondo della ricerca scientifica e dell’insegnamento
universitario. A volte a chi mi dice che non conosce
bene questi temi rispondo che per una infarinatura
di base sarebbe sufficiente leggere con attenzione la
voce “diritto d’autore” su Wikipedia; e non vi è dub-
bio che quella sia una lettura davvero alla portata di
tutti. Bisogna solo mettersi nella giusta disposizione
d’animo verso l’argomento e di apertura mentale.
In alcuni casi il problema non è tanto la noia, la
complessità o la pigrizia, bensì una sorta di atteggia-
mento “snob” verso questioni come la titolarità dei
diritti sulle proprie opere e la gestione di contratti di
cessione e licenze d’uso. Come a dire “io devo occu-
parmi di ricerca scientifica, non posso abbassarmi
a queste cose meramente amministrative”. Ecco, in
questo caso mi viene da pensare al noto adagio po-
polare secondo cui non vi è peggior sordo di chi non
vuol sentire. Questa impostazione mentale è davvero
controproducente. In fondo, si chiama “diritto d’au-
tore” perché è un diritto dell’autore, della persona
che crea l’opera. Se non è l’autore stesso a preoccu-
parsi per primo dei diritti sulle proprie opere, è ovvio
che ci sarà qualcuno che se ne occuperà in sua vece.
Ma poi eventuali lamentele da parte dell’autore o i
classici “non so, non me ne occupo io” che spesso
creano problemi proprio in caso di diffusione Open
Access, non troverebbero serie giustificazioni.
112
come gestire i diritti d’autore per fare open access
4.2 Rispettare il pubblico dominio
L’industria del copyright ha negli anni sviluppato
degli “anticorpi” contro il pubblico dominio e ha tro-
vato vari modi per mantenere il controllo su opere
anche molto datate e quindi comunemente (ma an-
che ingenuamente) considerate ormai patrimonio
dell’umanità. Celebre è la storia della canzoncina
Happy Birthday che dopo decenni di diatribe lega-
li è giunta finalmente a un chiarimento giudiziale
solo nel 2016; e altrettanto dibattuta è la vicenda del
“Diario di Anna Frank” che, vista la morte della pro-
tagonista e autrice risalente al 1945, sarebbe potuta
teoricamente passare in pubblico dominio il 1° gen-
naio del 2016, se non fosse poi emerso che la versio-
ne editoriale dell’opera non è frutto del solo lavoro
di Anna ma vede un sostanziale contributo creativo
da parte del padre Otto Frank e di altri suoi collabo-
ratori. Ma senza arrivare a questi casi (che in effetti
risultano abbastanza complessi ed eclatanti), ci sono
altre situazioni ben più semplici e più comuni in cui
i titolari dei diritti riescono ad allungare nel tempo e
nella portata il loro controllo su opere creative teori-
camente già fuori tutela.
Gli artifici e gli stratagemmi sono vari e non posso-
no essere illustrati nel dettaglio in questa sede. Tutta-
via ad accomunarli c’è l’idea di incutere nei potenziali
utilizzatori quello che nel gergo dei nuovi media è
chiamato FUD, cioè fear, uncertainty, doubt (paura,
incertezza, dubbio)7. Secondo questo approccio, non
conta tanto la legittimità di una pretesa o la reale sus-
sistenza di un diritto; ciò che conta è incutere timore
nei potenziali utilizzatori in modo che, presi appunto
7 v. https://it.wikipedia.org/wiki/Fear,_uncertainty_and_doubt.
113
simone aliprandi
dal dubbio, preferiscano astenersi per non incorrere
in scocciature legali.
È un metodo deprecabile quanto diffuso nel cam-
po dei brevetti per invenzione, dove spesso i grandi
nomi dell’industria tecnologica sostengono di avere
brevetti in quasi tutti gli ambiti di loro competenza
ottenendo così l’effetto di scoraggiare eventuali con-
correnti (più piccoli e meno attrezzati) i quali, spa-
ventati dal rischio di una faticosa e impari battaglia
tra avvocati, preferiscono fare un passo indietro. Lo
stesso può verificarsi nel campo del diritto d’autore di
cui ci stiamo occupando, con la differenza che qui ad
uscire danneggiati e a rimanere interdetti dal FUD
sono i comuni utilizzatori e non solo le aziende con-
correnti.
Chi produce contenuti scientifici o si occupa di di-
vulgarli e vuole farlo in ottica Open Access dovrebbe
assolutamente astenersi dall’attuare questi artifici e
dovrebbe invece essere molto chiaro e trasparente
sullo status di copyright delle proprie opere.
Forse sembrerà superfluo, ma visto che lo vedo ac-
cadere sempre più spesso tengo a segnalarlo: anche
applicare una licenza “open” su un’opera di pubbli-
co dominio è una prassi assolutamente deprecabile
quanto insensata. Il passaggio in pubblico dominio
implica che non vi è più alcun titolare di diritti di pri-
vativa e dunque nessuno ha più alcun titolo per rego-
lamentare l’utilizzo dell’opera con una licenza.
4.3 Attenti a ciò che si firma
Molte legislazioni, e tra queste anche quella italiana
(articolo 110 legge 633/1941), richiedono che la ces-
sione dei diritti d’autore avvenga per iscritto, o quan-
114
come gestire i diritti d’autore per fare open access
to meno sia provata per iscritto. Da ciò deriva che ten-
denzialmente prima della pubblicazione di qualsiasi
opera l’autore debba sottoscrivere o un vero e proprio
contratto di edizione o di cessione dei diritti, o una
semplice liberatoria alla pubblicazione. Ho scritto
“tendenzialmente” perché in realtà non sono rari i
casi in cui invece la pubblicazione avviene anche solo
“sulla fiducia” o sul semplice scambio di email.
Agli occhi (forse un po’ pignoli) di me giurista, il
fatto di ricevere per tempo dalla casa editrice o dai
curatori della rivista un contratto o liberatoria da re-
stituire firmato è un buon indicatore della serietà del
soggetto con cui mi sto interfacciando. Ma so anche
che agli occhi di uno scienziato che non ha acquisito
quella confidenza minima con questi aspetti di cui
parlavamo poco sopra ricevere un contratto o una li-
beratoria può diventare fonte di stress (perché richie-
de comunque tempo e attenzione) o addirittura una
scocciatura vera e propria.
C’è comunque da dire che, per come sono imposta-
ti i meccanismi del diritto d’autore, in realtà la man-
canza di un documento scritto è un problema più per
la casa editrice che per l’autore, il quale, essendo il
titolare originario dei diritti, è sempre in una posizio-
ne favorita.
Detto questo, in ottica di “fare Open Access”, è im-
portante che, se l’idea è quella di pubblicare il nostro
contributo in Open Access, i documenti firmati non
contengano disposizioni che risultino in contrasto
con i requisiti dell’Open Access che abbiamo più vol-
te illustrato in queste pagine.
115
simone aliprandi
4.4 Attenti a ciò che si accetta tacitamente e
inconsapevolmente
Un simile discorso va fatto per le policy e i termini
d’uso delle varie piattaforme web su cui vengono cari-
cati contenuti scientifici. Come è prassi diffusa, l’ac-
cettazione di questi documenti avviene più o meno
implicitamente, all’atto della registrazione, con una
semplice spunta sul form, o tacitamente con il conti-
nuo utilizzo della piattaforma.
Questo meccanismo porta come effetto collatera-
le una minor attenzione sul testo delle policy e dei
termini d’uso; come è ormai prassi diffusa sul web,
tendenzialmente si accetta tutto senza leggere e si
procede con il caricamento dei nostri contenuti.
Anche in questo caso, però, se l’idea è quella di ri-
lasciare i nostri contenuti in Open Access, è fonda-
mentale verificare che in questi documenti non vi si-
ano disposizioni che possano creare un conflitto con
i principi dell’Open Access.
Su questo punto è opportuno fare un’ulteriore
segnalazione: quasi sempre i termini d’uso di piat-
taforme online, specie se si tratta di piattaforme di
rilevanza internazionale, non fanno riferimento alla
legislazione italiana bensì alla legislazione dei loro
paesi di origine. Dunque la situazione si fa ancora
più complicata dato che alcuni dei principi cardine
del diritto nostrano (su cui per altro è basato buona
parte di questo capitolo) potrebbero non essere più
validi; e bisognerebbe invece di volta in volta verifica-
re i principi applicati e le norme richiamate.
116
come gestire i diritti d’autore per fare open access
4.5. Applicare la stessa licenza sia sulla versione
cartacea sia su quella digitale
Altra prassi piuttosto diffusa ma altrettanto depreca-
bile è quella di rilasciare la versione cartacea di un’ope-
ra con una licenza diversa rispetto alla versione digita-
le. È un problema che tocca più che altro le monogra-
fie e i saggi; un grande classico è la scelta di pubblicare
il libro cartaceo sotto copyright (con la classica dicitura
“copyright – tutti i diritti riservati”) e di spacciare l’i-
niziativa editoriale come Open Access per il semplice
fatto che da qualche parte sul web esiste una versio-
ne digitale gratuitamente scaricabile però priva di una
licenza davvero coerente con la definizione di Open
Access o con una licenza solo parzialmente open (ad
esempio una CC con clausola Non Commercial).
Benché la definizione di Open Access non entri
specificamente nel merito di questo aspetto (essa in-
fatti si riferisce più che altro alla diffusione dei pro-
dotti della ricerca in un contesto digitale), a risolvere
eventuali dubbi soccorre il buon senso.
Le licenze Creative Commons non fanno distinzio-
ne di formato o di medium su cui l’opera viene diffu-
sa; dunque agiscono sull’opera in sé e non tanto sul
formato o sul supporto dell’opera. Ne consegue che
in tutti quei casi in cui la versione digitale e la versio-
ne cartacea sono di fatto la stessa identica opera sia
a livello di contenuti sia a livello di impaginazione e
grafica (si pensi al caso in cui si diffonde il PDF della
versione editoriali) non ha molto senso diffonderle
con due licenze diverse. In quel modo si ottiene solo
l’effetto di creare confusione nei fruitori dell’opera e
di mostrare di non aver ben compreso il funziona-
mento dell’open licensing.
117
simone aliprandi
4.6. Non abusare del termine “Open Access” (e del
relativo logo)
Uno degli elementi di disturbo per l’Open Access e
per la sua affermazione è l’abuso che si fa del termi-
ne. Troppe volte ho sentito utilizzare “open access”
per indicare libri, riviste, banche dati che, pur essen-
do accessibili gratuitamente, in realtà non avevano i
requisiti richiesti dalla definizione di Open Access
generalmente riconosciuta.
Mettiamocelo bene in testa: “Open Access” non
equivale a “gratuito”. Lo stesso equivoco concettua-
le affligge il mondo del software libero e open sour-
ce da ormai trent’anni e ora si sta replicando anche
nell’ambito della comunicazione scientifica.
Purtroppo il successo della filosofia Open Access e an-
che l’efficacia semantica del termine fa sì che molti sogget-
ti, ovviamente non del tutto in buona fede, cerchino di ca-
valcare l’onda e di confondersi tra le istituzioni, le aziende,
gli autori che invece sono impegnati seriamente e autenti-
camente nella promozione di questo movimento.
Il movimento Open Access è contraddistinto anche
da un logo molto efficace, formato da un lucchetto
aperto che richiama una “a” minuscola8. Anche l’utiliz-
zo troppo disinvolto di questo simbolo (ad esempio su
locandine di eventi o su siti web di iniziative che hanno
ben poco a che fare con l’Open Access) è deprecabile.
8 Immagine richiamata anche nella fotografia che trovate sulla
copertina di questo libro.
118
Capitolo 5
Usare i social media per la
comunicazione scientifica
Valeria Scotti
1. Scienza connessa: strumenti e suggerimenti
L’evidenza storica vede la nascita di Internet lega-
ta a esigenze prettamente scientifiche: in un primo
momento “come strumento tecnologico in grado di
collegare le comunità scientifiche diffuse sul terri-
torio statunitense”1 e successivamente come mezzo
di condivisione ipertestuale di testi digitali presso il
CERN di Ginevra2. Lo straordinario impatto di Inter-
net sulla scienza si è manifestato in un cambiamento
profondo del rapporto tra scienza e società, dato che
la rete consente forme di collaborazione e coprodu-
zione culturale inedite non solo tra gli scienziati ma
soprattutto con i fruitori finali. Gli sviluppi più re-
centi, come i blog, il tagging e il social networking,
complessivamente noti come Web 2.0, hanno ulte-
1 Avveduto S. (a cura di). Scienza connessa. Rete Media e Social
Network (2012), Gangemi Editore.
2 Per maggiori dettagli sulla nascita del World Wide Web consul-
tare: https://it.wikipedia.org/wiki/World_Wide_Web
valeria scotti
riormente ampliato il numero degli strumenti dispo-
nibili, tanto che oggi è possibile non solo consultare
le informazioni già presenti in rete, ma anche pub-
blicarne di nuove, modificarle e contribuire alla loro
creazione costringendo settori come il giornalismo,
il marketing e persino la politica ad adottare nuovi
modi di pensare e agire.
Bisogna chiarire sin da subito che molti degli stru-
menti di cui parleremo in questo capitolo non sono
propriamente associabili al concetto di open access.
Siti come Academia.edu o ResearchGate sono in-
fatti gestiti da aziende private con scopo di lucro,
sono quindi social media proprietari al contrario dei
“classici” archivi ad accesso aperto che devono esse-
re istituzionali o disciplinari, gestiti da biblioteche o
consorzi o enti non profit. È importante quindi che
chi li utilizza sia consapevole di questo aspetto e pos-
sibilmente affianchi alla pubblicazione dei propri la-
vori su queste piattaforme anche la pubblicazione in
repository istituzionali.
Indubbiamente, il punto focale è che sempre più
ricercatori hanno iniziato a svolgere il proprio lavo-
ro sfruttando proprio questi strumenti. Tale effetto si
ripercuote sia sui contenuti degli studi pubblicati sia
in termini di diffusione capillare della scienza stessa,
sia in un modo tale per cui la produttività di quest’ul-
tima ne trae un beneficio enorme anche in termini
di creatività e partecipazione. Da sempre gli studio-
si hanno costruito la propria conoscenza del mondo
partendo dai lavori di altri ricercatori, perfezionando
i concetti propri e altrui attraverso il dibattito aper-
to. Le potenzialità offerte dal web hanno permesso
di creare reti di collaborazione fra scienziati che tra-
valicano le frontiere spazio – temporali formando co-
120
usare i social media per la comunicazione scientifica
munità di interesse capaci di comporsi rapidamente
rispetto a progetti di ricerca o particolari interessi
scientifici. Tramite internet ogni ricercatore diventa
un comunicatore che non si rivolge più solamente ai
suoi pari, ma vede amplificata la propria capacità di
comunicazione della scienza sino ad arrivare alla di-
vulgazione al grande pubblico del web. La comunità
scientifica ha preso consapevolezza che la straordina-
ria facilità di accesso alla rete stava abbattendo la bar-
riera tra comunicazione interna alla comunità scien-
tifica e comunicazione con l’esterno. Si arriva così
ad immaginare un’idea diversa di fare scienza, più
partecipata e interattiva, meno gerarchizzata; quella
che Waldrop chiama “Science 2.0”3. Le esperienze
indicano che questa scienza 2.0, basata sul web, non
solo è più collaborativa della scienza tradizionale, ma
anche molto più produttiva.
Simili considerazioni iniziali consentono inoltre di
proporre un’accezione forte del termine Scienza 2.0,
che vede nell’utilizzo degli strumenti digitali di colla-
borazione un presupposto metodologico imprescin-
dibile per la piena realizzazione della transdiscipli-
narietà cui dovrebbe aspirare la scienza contempora-
nea. Con il termine “Scienza 2.0”4 si intende quindi
l’uso delle nuove tecnologie per facilitare il processo
di costruzione e disseminazione della ricerca scien-
tifica. Più specificatamente, con la scienza connessa
diventa possibile utilizzare le nuove tecnologie per:
• la creazione di team di ricerca;
• la definizione di progetti e protocolli di ricerca;
3 Waldrop MM., Science 2.0, Scientific American; 2008 May;
298(5):68-73.
4 Minora E., SCIENZA 2.0 Presente e futuro della scienza collabo-
rativa attraverso Internet 2; INNOVARE; 3; 2008: 32-33; http://
centridiricerca.unicatt.it/cratos-0809_INNOVARE.pdf
121
valeria scotti
• l’organizzazione e la gestione degli articoli scientifici;
• la ricerca e l’offerta di finanziamenti;
• l’analisi bibliografica;
• l’analisi dei dati;
• la presentazione dei risultati5.
Sempre più il mondo della scienza e il Web 2.0 adot-
tano filosofie molto simili con tratti in comune che
diventano sempre più evidenti. Non è un caso che in
questo clima di interazione nasca una nuova figura,
quella del prosumer6: la denominazione proviene dalla
fusione dei termini producer e consumer e si riferisce
appunto al modo di partecipare alla comunità scienti-
fica. La struttura di informazioni puramente vertica-
le viene meno: avendo la possibilità di interagire con
chiunque all’interno della rete e di condividere con-
tenuti senza limiti, ogni ricercatore si rende allo stes-
so tempo produttore e consumatore di informazioni
accelerando lo sviluppo della conoscenza attraverso lo
scambio di esperienze e di opinioni. Il primo tratto di
congiunzione quindi diventa la partecipazione caratte-
rizzata da quel ciclo in cui gli studi e le ricerche sono
output che diventano input per altri ricercatori.
Il secondo tratto prende il nome di condivisione:
come abbiamo già ampiamente visto nei capitoli
precedenti, la conoscenza condivisa è la base per il
progresso della scienza. Pubblicazioni, libri, incontri,
seminari, conferenze sono da sempre i mezzi per tra-
smettere e condividere i risultati del proprio lavoro.
In questo gli strumenti del Web 2.0 hanno reso pos-
5 Scienza 2.0 - Un’introduzione: https://sites.google.com/site/
scienza20/Home
6 Ritzer G., Dean P., Jurgenson N.,The Coming of Age of the Prosu-
mer, America Behavioural Science; 2012; 6(4); 379-398.
122
usare i social media per la comunicazione scientifica
sibile la fruibilità dei contenuti in maniera rapida con
un click, direttamente sul proprio computer.
In questa rivoluzione le biblioteche biomediche gio-
cano un ruolo fondamentale offrendo non solo l’acces-
so alle banche dati, alle riviste on line e agli strumenti
del web ma soprattutto fornendo la corretta formazio-
ne per il loro utilizzo e conoscenza. Aspetto fonda-
mentale del web e della scienza rimane la collaborazio-
ne: da sempre gli scienziati cercano interazioni, pareri
e suggerimenti da parte degli altri colleghi. Non a caso,
negli ultimi decenni la scienza è sempre più composta
da team, gruppi di ricerca, équipes che possono con-
tribuire in maniera condivisa a un progetto comune.
L’evoluzione degli strumenti sul web ha portato una
ventata di novità anche nell’ambito dei criteri di se-
lezione dei contenuti scientifici, portando una sorta
di peer review “pubblica”, aperta e condivisa. Infatti,
con il termine Scienza 2.0 s’intende spesso identi-
ficare la pratica sempre più diffusa tra gli scienziati
di pubblicare on line risultati e teorie sperimentali o
emergenti, scoperte e bozze di articoli che chiunque
può leggere, anche al di fuori delle forme editoriali
più tradizionali (riviste, monogafie, atti di convegni).
Tale nuovo approccio, permette agli utenti di valuta-
re, commentare ed esprimere le proprie opinioni ri-
spetto ai documenti che vengono pubblicati in rete in
modo da rendere possibile un continuo progresso e
una sorta di peer review post-pubblicazione non solo
da parte della comunità scientifica ma anche della so-
cietà. Su questa nuova frontiera della scienza, vi sono
opinioni divergenti: secondo i suoi sostenitori queste
pratiche rendono la ricerca scientifica più collaborati-
va e, quindi, più produttiva. Secondo i critici, invece,
gli scienziati che pubblicano i risultati preliminari on
123
valeria scotti
line rischiano che altri possano approfittarne in mala
fede (ad esempio sfruttandoli per ottenere riconosci-
menti, scrivere articoli, brevettare al posto loro).
La rivoluzione attraverso il mondo del web ha
quindi portato alla condivisione delle informazioni
sempre più libere di circolare e generare conoscen-
za. Questo processo ha favorito e portato alla nascita
di vere e proprie community di scienziati in svaria-
ti campi di ricerca. Scambi e incontri costituiscono
i punti di contatto tra le varie comunità e le piatta-
forme web si configurano sempre più come spazio
sociale con regole proprie.
Per certi aspetti la Scienza 2.0 ha forse anticipato
meccanismi tipici del Web 2.0: la presenza di parole
chiave in pubblicazioni, abstract, presentazioni è da
tempo utilizzata e da sempre caratterizza i curricula
dei ricercatori ed ora attraverso la pratica del tagging7
anche il mondo del web ne muta le funzionalità.
Alla fine si potrebbe affermare che la vera forza pro-
motrice della Scienza 2.0 è la capacità di sfruttare e
convogliare l’intelligenza collettiva degli utenti della
rete al fine di utilizzarla per la risoluzione dei proble-
mi o allo sviluppo di applicazioni innovative. Da qui
la nascita del fenomeno denominato crowdsourcing.
Le persone che collaborano lo fanno in genere volon-
tariamente, rispondendo a un invito a collaborare.
Questo modello di realizzazione dei progetti è in ge-
nere reso possibile da internet ed è molto più vicina
di quanto crediamo: basti pensare a Wikipedia stes-
sa, scritta dai propri lettori e basata su tale principio.
7 L’attività di tagging (dall’inglese tag per “contrassegno”, “eti-
chetta”) consiste nell’attribuzione di una o più parole chiave,
dette tag, che individuano l’argomento di cui si sta trattando, a
documenti o, più in generale, file su internet (https://it.wikipe-
dia.org/wiki/Tagging/).
124
usare i social media per la comunicazione scientifica
Un’altra forma di collaborazione è rappresentata dal
crowdfunding, termine derivato da crowdsourcing. In
tempi di risorse e finanziamenti sempre più risica-
ti e spesso mal distribuiti, la strategia di ricorrere al
mondo del web può risultare vincente. In questo caso
la collaborazione consiste nel raccogliere fondi, gene-
ralmente sul web e attraverso specifiche modalità di
pagamento, per sostenere le iniziative di determina-
te persone organizzazioni. Si possono così sviluppa-
re progetti di crowdfunding per vari scopi, dagli aiuti
umanitari, al finanziamento delle campagne elettorali
sino ai progetti di ricerca8 o di raccolta fondi per svi-
lupparli.
Tutto questo ha permesso di ampliare maggior-
mente i confini della conoscenza. Non sono più ne-
cessari ricercatori che lavorino all’interno dello stes-
so laboratorio o scienziati dello stesso dipartimento
o nazione per raggiungere determinati obiettivi, non
importa dove questi individui siano collocati geogra-
ficamente, l’unico requisito è che abbiano la possibi-
lità di collegarsi in rete e sfruttare una delle moltepli-
ci possibilità che il Web 2.0 offre loro.
2. Quando il social si fa scientifico
L’avvenire dell’informazione scientifica sta passan-
do attraverso il Web, e più precisamente nell’ambi-
to della vasta rete dei cosiddetti social network. Lo
scenario della comunicazione tra ricercatori e scien-
8 Un valido esempio attivato presso l’Università degli Studi di
Pavia, denominato Universitiamo, che ha presentato 13 campa-
gne, tutte legate a progetti di ricerca proposti da diversi diparti-
menti dell’Università di Pavia: http://www.crowdfundingbuzz.
it/il-crowdfunding-italiano-che-finanzia-la-ricerca-scientifica/
125
valeria scotti
ziati di vario genere si avvia verso un cambiamento.
L’informazione scientifica tradizionale, sempre più
colpita in gran parte dai tagli economici in periodi di
crisi come questo, può trarre un sicuro vantaggio dal-
le nuove forme di comunicazione in rete. Ma come
sottolineato da Bik e Goldstein, “Online social media
tools can be some of the most rewarding and informative
resources for scientists—IF you know how to use them”9.
In un sondaggio del 2013 il 70% dei cittadini euro-
pei10 ha dichiarato un forte interesse per gli sviluppi
della scienza e della tecnologia11 Gli europei ritengo-
no che i ricercatori e le ricercatrici delle università e
delle strutture pubbliche di ricerca siano i più qualifi-
cati per spiegare l’impatto della scienza sulla società.
L’investimento nella ricerca pubblica genera sem-
pre maggiori aspettative affinché tale investimento
si traduca in progresso economico e sociale. Que-
sto dovrebbe invitare a riflettere sull’importanza del
ruolo della comunicazione dei risultati della ricerca
scientifica. Allo scienziato, soprattutto se inserito in
un contesto pubblico di ricerca, viene di conseguen-
za sempre più richiesto di svolgere un ruolo attivo
nella divulgazione dei risultati del proprio lavoro. La
divulgazione dei risultati di ricerca di istituzioni pub-
bliche come le università, gli IRCCS pubblici, i centri
di ricerca legati a enti ministeriali o a enti locali, as-
9 Bik, H. M., & Goldstein, M. C., An Introduction to Social Media
for Scientists, in PLoS Biology; 2013; 11(4). doi:10.1371/journal.
pbio.1001535
10 Per maggiori informazioni Special Eurobarometer 401 riserva-
to alla Scienza: http://ec.europa.eu/public_opinion/archives/
ebs/ebs_401_en.pdf
11 Progetto denominato Responsible Research and Innovation
(RRI), Science and Technology htpps://ec.europa.eu/program-
mes/horizon2020/en/h2020-section/responsible-research-in-
novation
126
usare i social media per la comunicazione scientifica
sume perciò un forte significato etico, strettamente
connesso al fattore di rispondere dei finanziamenti
pubblici. Come abbiamo visto, oggi le informazio-
ni più rilevanti per la nostra società sono digitali e
viaggiano su Internet. Informazioni che mettono in
comunicazione miliardi di persone in tutto il mondo.
I social network sono piattaforme che permetto-
no l’aggregazione, la creazione di reti di contatti e la
condivisione di notizie e informazioni in più formati:
testi, immagini, materiale audio e video. Con questi
strumenti l’utente può creare un profilo con il quale
condividere informazioni, materiali, pubblicazioni e
discutere problemi rilevanti per la propria comunità
scientifica e per la propria crescita professionale.
Mentre i Social Media ne sono il braccio operativo
inteso come «un gruppo di applicazioni basate sul web
e costruite sui paradigmi (tecnologici ed ideologici) del
web 2.0 che permettono lo scambio e la creazione di con-
tenuti generati dagli utenti.» (Kaplan A., Heinlein M.)12
Vediamo quali sono le piattaforme più significanti
per i ricercatori e in generale per la divulgazione del
sapere scientifico.
2.1. Social networking
Una varietà di siti di social networking vengono
utilizzati per le comunicazioni scientifiche: da quelle
finalizzate al grande pubblico (ad esempio, Facebo-
ok, LinkedIn, Google+) ai siti destinati agli addetti
12 Kaplan, A. M., Haenlein M:, Users of the world, unite! The chal-
lenges and opportunities of Social Media; Business Horizon,;2010;
53( 1): 59-68.
127
valeria scotti
ai lavori (ad esempio, ResearchGate, Academia.edu,
VIVO)
Tra questi siti, Facebook è indubbiamente la piat-
taforma più utilizzata. Tale dato non deve sorpren-
dere in quanto ad oggi Facebook vanta 1.8 miliardi
di utenti attivi almeno una volta al mese13. LinkedIn
è un servizio web di rete sociale, gratuito (con servizi
opzionali a pagamento), impiegato principalmente
per lo sviluppo di contatti professionali ed è un altro
sito di social networking molto utilizzato per gli acca-
demici14. Fra i social network maggiormente utilizza-
ti, non può certo mancare una piattaforma come Sli-
deshare pensata per la condivisione di presentazioni
e documenti simili in cui ogni utente può caricare,
pubblicare e consultare slide e presentazioni profes-
sionali. Molti ricercatori e studiosi la utilizzano per
caricare le proprie presentazione ai convegni dando
modo anche a chi non vi era presente, o a chi sempli-
cemente vuole rivedersele con calma, di scaricare le
slides che spesso sono rilasciate sotto licenza Creati-
ve Commons con la possibilità di essere riutilizzate.15
Le motivazioni principali che spingono gli studiosi
ad utilizzare i siti di social networking sono fonda-
mentalmente il collegamento con altri ricercatori e
la possibilità di una maggiore diffusione della ricerca
13 Inoltre, è del 66,1% la percentuale di iscritti che accede a Fa-
cebook quotidianamente , mentre è di 21 milioni il numero
di utenti italiani che si connette a Facebook ogni giorno (dati
aggiornati al 2016). http://expandedramblings.com/index.php/
by-the-numbers-17-amazing-facebook-stats/
14 Haustein, S., Peters, I., Sugimoto, C. R., Thelwall, M., & La-
rivière, V. Tweeting biomedicine: An analysis of tweets and cita-
tions in the biomedical literature, in Journal of the Association for
Information Science and Technology; 2014;5(4); 656-669. doi:
10.1002/asi.2310
15 Per maggiori dettagli: https://www.slideshare.net/
128
usare i social media per la comunicazione scientifica
unita a quella di poter seguire i risultati di altri ricer-
catori.
Indubbiamente tra i social network pensati per il
mondo della ricerca spiccano ResearchGate ed Aca-
demia.edu.
a) Researchgate
ResearchGate.net16 viene definito come una piatta-
forma di rete dedicata a tutte le discipline scientifiche
che aiuta a cercare informazioni rilevanti in modo ef-
ficiente e veloce. Il progetto, lanciato nel 2008, nasce
da un gruppo di scienziati della Harvard University,
e presto si è inserito nel contesto della scienza colla-
borativa che sempre più si sta sviluppando. All’inter-
no di questo che è ormai divenuto un vero e proprio
social network, ricercatori e scienziati trovano i mez-
zi per caricare pubblicazioni, creare gruppi, costru-
ire un profilo personale, archiviare e condividere le
proprie pubblicazioni, trovare conferenze e offerte di
lavoro, partecipare a gruppi di discussione, fare do-
mande e ricerche
La piattaforma offre un accesso gratuito ad applica-
zioni Web 2.0, come ad esempio la ricerca semanti-
ca attraverso parole chiave, la condivisione di file, la
possibilità di rendere disponibili in rete i propri testi,
forum, discussioni di gruppo nei Topics. I membri
possono creare il proprio blog all’interno del network.
Attraverso Similar Abstract Search Engine (SASE) è
possibile cercare ricercatori, gruppi, riviste, pubbli-
cazioni, discussioni, conferenze e lavori correlati alla
parola chiave inserita. Il SASE è stato sviluppato per
analizzare una larga fascia di termini controllando
16 Per maggiori dettagli: https://www.researchgate.net/home
129
valeria scotti
interi abstract all’interno dei migliori database on-li-
ne compresi PubMed, CiteSeer, PubMed Central,
arXiv. I ricercatori possono inoltre pubblicare il rias-
sunto del proprio curriculum vitae e il network, ana-
lizzando le informazioni sul profilo di ogni utente, è
in grado di suggerire gruppi, altri membri e letture
riguardanti i campi d’interesse dell’utente. Sulla piat-
taforma i ricercatori possono inserire le proprie pub-
blicazioni, le proprie presentazioni, atti di convegni.
b) Academia.edu
Academia.edu17 è anch’esso un sito di social networ-
king gratuito volto alla collaborazione in tutti i campi
accademici e della ricerca. Lanciato nel settembre del
2008 è divenuto uno tra i più grandi siti di social
network per accademici. Ciascun utente deve costru-
ire il suo profilo descrivendo il proprio background
accademico e i progetti correnti. Al momento dell’i-
scrizione come identificazione è richiesto il settore
per poter meglio calibrare i successivi feed associati
al proprio campo di ricerca. Gli utenti ricevono una
notifica quando gli autori che seguono pubblicano
nuovi articoli sul sito; a loro volta, possono quindi
condividere tali articoli con altri ricercatori del pro-
prio settore. L’obiettivo del servizio è quello di con-
tribuire a mantenere i ricercatori collegati tra loro e
aiutarli a trovare il materiale maggiormente rilevante
per il loro campo di studio in modo da consentire
uno scambio di idee e dati che favorisca lo sviluppo e
la ricerca scientifica.
Il dominio di primo livello .edu è riservato in gene-
rale a enti che si occupano di istruzione e ricerca ed
17 Per maggiori dettagli: www.academia.edu
130
usare i social media per la comunicazione scientifica
è gestito dall’associazione noprofit EDUCAUSE. Per
poter utilizzare tale dominio è necessario la richie-
sta di accredito al Dipartimento dell’istruzione degli
USA; e in pratica è oggi usato con poche eccezioni
solo da enti statunitensi. Risulta quindi poco chiaro
come Academia possa utilizzare questo tipo di domi-
nio non potendo vantare tale status.
Academia consente a ogni accademico di avere
una pagina web semplice da gestire in cui possono
presentarsi e lasciare i propri recapiti, possono inol-
tre decidere di uploadare i propri articoli, abstract o
presentazioni. La sua vera utilità per un ricercatore
risiede nella possibilità di condividere la letteratura
secondaria: paper, poster o presentazioni di un con-
vegno, dispense didattiche, articoli pubblicati nei me-
dia, libri, tesi o capitoli di tesi.
Nonostante il suo dominio “.edu” possa tratte in
inganno, Academia (come d’altronde anche Resear-
chGate.net e altre piattaforme simili) rimangono pro-
getti a fini commerciali gestiti da aziende.
2.2 Social bookmarking and reference management
I social bookmarking e i siti di reference manager
consentono agli utenti di pubblicare salvare, organiz-
zare materiale bibliografico e al contempo di condi-
videre la ricerca con gli altri. Sotto il nome di social
bookmarking vanno tutte quelle piattaforme on line
che permettono a chiunque di crearsi un proprio ac-
count e rendere disponibili elenchi di segnalibri (bo-
okmark) creati dagli utenti. In pratica, ogni volta che
l’utente trova un sito interessante, cliccando sull’ico-
na del bookmark, memorizza la pagina e volendo può
segnalarla o condividerla con altri utenti della pro-
131
valeria scotti
pria comunità virtuale. Alcuni esempi, tra i più noti:
Delicious (https://del.icio.us/) e CiteULike (www.
citeulike.org). Tutti i tipi di outputs possono essere
gestiti, anche se gli articoli di riviste sono il tipo più
diffuso.18 I reference manager sono dei sistemi nati
per la gestione delle citazioni bibliografiche ma sono
anche dei sistemi attraverso cui è possibile organiz-
zare e condividere con altre persone o ricercatori le
citazioni bibliografiche estratte automaticamente da
ricerche sulle varie banche dati bibliografiche (ad es:
da PubMed, Embase, Web of Science). Questi sistemi
consentono, inoltre, di convertire le citazioni nello
stile richiesto dalle riviste in cui si scrive un articolo.
Gli utenti possono lasciare commenti, creare i pro-
pri tag e (in alcune piattaforme) citare le voci nei pro-
pri documenti. I reference manager spesso sono dota-
ti di componenti di social networking (come nel caso
di Mendeley) in cui gli utenti possono partecipare a
gruppi, condividere documenti e seguire altri utenti.
Queste piattaforme integrate sono state denominate
servizi di “social networking accademici”19 ,ovvero la
combinazione di sistemi di gestione di riferimento
socialmente orientati con i siti di social networking
scientificamente orientati. Piattaforme che vanno al
di là dei social media tradizionali, offrendo una gam-
ma di servizi che permettono di gestire tutto su un’u-
nica piattaforma.
18 Priem, J., & Hemminger, B., Scientometrics 2.0: New metrics
of scholarly impact on the social Web. First Monday; 2010;15(7).
doi:10.5210/fm.v15i7.2874
19 Jeng, W.; He, D. & Jiang, J., User participation in an academic
social networking service: A survey of open group users on Mendeley,
JASIST ; 2015; 66 (5); 890-904.
132
usare i social media per la comunicazione scientifica
2.3 Social Data Sharing: la condivisione di dati
La condivisione dei dati è diventata un requisito
sempre più richiesto sia dalle riviste che dai diversi
finanziatori pubblici al fine di una una maggiore ve-
rificabilità e riproducibilità dei risultati ottenuti. In
questo contesto, sono nate una serie di piattaforme
di condivisione di dati, molti dei quali si concentrano
su settori specifici o singole comunità scientifiche20.
Le piattaforme di condivisione di dati forniscono
un’infrastruttura per condividere vari tipi di outputs,
tra cui set di dati, codice software, figure, slide di pre-
sentazione, poster e video. La particolarità di tali por-
tali è che permettono agli utenti di interagire con tut-
ti questi output: ad esempio, commentare un poster,
segnalare come preferito un video oppure indicare
come si è riutilizzato un particolare software, o parte
di esso, per sviluppare la propria ricerca. Piattaforme
come Figshare e SlideShare permettono di diffonde-
re tra gli studiosi vari tipi di prodotti di ricerca, come
insiemi di dati, parametri, posters, documenti, video,
presentazioni e inoltre consentono di visualizzare
quante volte la pagina è stata visitatata o il numero
dei downloads da parte di altri utenti,
2.4 Video
Tra le varie piattaforme di condivisione video, You-
Tube, lanciato nel 2005, è di gran lunga il più popo-
lare. Anche se la piattaforma offre una vasta gamma
20 Costas, R., Meijer, I., Zahedi, Z., & Wouters, P. (2013). The value
of research data: Metrics for datasets from a cultural and technical
point of view. A Knowledge Exchange Report. Copenhagen, Den-
mark: Knowledge Exchange. Retrieved from http://www.know-
ledge-exchange.info/datametrics
133
valeria scotti
di contenuti, basta digitare la categoria Science & Te-
chnology per trovare filmati con migliaia di visualiz-
zazioni. Inoltre, non è inusuale vedere citati i video di
YouTube nella bibliografia di una ricerca pubblicata.
Un esempio indiscusso sono i video tratti da confe-
renze TED21 (TED Talks-video), eventi che si sono ri-
velati come una delle iniziative di maggior successo
di comunicazione scientifica contemporanea.
2.5 Blog
I blogs con connotazione accademica emersi du-
rante gli ultimi quindi anni hanno portato a coniare
veri e propri neologismi (ad esempio “blogademia”,
“blawgosphere”, “bloggership”) e sono stati consi-
derati il primo strumento in grado di cambiare la
struttura esclusiva di comunicazione scientifica.22 La
maggior parte dei blog degli studiosi hanno utilizza-
to un provider di servizi blog standard (ad esempio,
Live Journal, WordPress), mentre l’aggregazione dei
blog accademici su piattaforme specifiche o directory
è stata meno sistematica. Spesso i blog individuali
sono anche soggetti a cancellazioni e può passare
molto tempo tra un post e l’altro, rendendo instabi-
le la loro natura di strumenti di comunicazione. Per
21 TED (Technology Entertainment Design) è un marchio di con-
ferenze statunitensi, gestite dall’organizzazione privata no-pro-
fit The Sapling Foundation. TED, nato come evento singolo, si
è presto trasformato in una conferenza annuale, estendendo il
suo raggio di competenza dalla tecnologia e dal design, al mon-
do scientifico, culturale ed accademico. https://www.ted.com/
22 Mortensen, T, Walker, J. (2002 ). Blogging thoughts: personal pu-
blication as an online research tool, in A. Mortensen (Ed.) Resear-
ching ICTs in context. (pp.249- 279), InterMedia Report, Oslo.
134
usare i social media per la comunicazione scientifica
contro piattaforme web come Research Blogging23
permettono di aggregare i post dei blog che com-
mentano la ricerca scientifica e permette ai blogger
di citare le loro fonti in maniera appropriata. Questo
permette anche al pubblico, ai cittadini, ai pazienti,
di rimanere aggiornati sugli ultimi sviluppi della ri-
cerca in modo corretto e guidato, senza perdersi nel
vasto mondo della rete. Tra le altre cose, i blog de-
gli studiosi tendenzialmente riportano nei loro post
dei collegamenti alla letteratura più recente. Questo
fa si che spesso siano proprio i ricercatori i primi a
consultare i blog di altri colleghi in cerca di notizie
e articoli appena pubblicati favorendo il movimento
dell’Open Access e la diffusione della conoscenza.
Non a caso molti editori di letteratura scientifica (es:
Nature, Plos, Wired) hanno introdotto questo poten-
te strumento nei loro siti.
2.6 Microblogging
Il cosiddetto microblogging si è sviluppato da una
particolare pratica di blogging, in cui i blogger avreb-
bero potuto inviare piccoli messaggi, “micropost”,
o singoli file sul blog; successivamente, si sono svi-
luppate delle piattaforme separate per facilitare la
distinzione tra i blog tradizionali ed i nuovi servizi
derivanti da essi. Indubbiamente tra i servizi di mi-
croblogging più utilizzati vi sono Twitter (lanciato
nel 2006), Tumblr (lanciato nel 2007), Plurk (lancia-
to nel 2008)24. Attualmente su queste piattaforme la
lunghezza dei messaggi è limitata a poche decine di
23 Vedi http://www.researchblogging.org/.
24 Vedi: www.twitter.com; www.tumblr.com; http://www.plurk.
com/top/
135
valeria scotti
caratteri ed inoltre offrono diversi meccanismi per il
social networking e la condivisione di file multime-
diali.
Twitter è di gran lunga il più popolare. Il limite di
lunghezza dei “tweet” (che letteralmente significa
“cinguettìo”) è di 140 caratteri. Gli utenti possono se-
guire altri utenti, creare liste e gruppi di follower e
ricercare i tweet per parole chiave o hashtag in modo
semplice ed intuitivo. In un modo simile al blog-
ging, la maggior parte degli utenti di Twitter si iscri-
ve fornendo il proprio nome completo e si identifica
professionalmente nella breve descrizione messa a
disposizione della piattaforma. Questo permette di
poter gestire più profili e di scindere la parte ‘profes-
sionale’ da quella privata. In genere, i tweet degli stu-
diosi tendono a contenere i collegamenti ad articoli
recenti o appena pubblicati sulle riviste scientifiche,
oppure presentazioni, video, articoli da blog. I blog
sono anche frequentemente impiegati per articoli ad
accesso aperto15.
Un campo dove Twitter ha trovato una valida appli-
cazione sono i convegni, le conferenze ove assieme
alle password per connettersi a sistema wi-fi, vengo-
no forniti gli hastgat per twittare dai proprio account
in tempo reale cosa accade e cosa si dice durante
tali eventi anche a chi non è presente fisicamente.
Inoltre, relatori e partecipanti che twittano durante
la conferenza, possono incrementare i propri contatti
ed entrare in contatto con nuovi colleghi o fornire il
proprio account di twitter come biglietto da visita.
136
usare i social media per la comunicazione scientifica
2.7 Altri tipologie di social media
Vi sono tipologie non rientranti nelle categorie sino
ad ora viste e che si potrebbere riassumere in quei
siti che raccomandano, valutano articoli o altri pro-
dotti della ricerca. Si può immaginare questi social
come una sorta di ‘filtro’, di selezione, fornita da altri
ricercatori che dovrebbero aiutare a orientarsi nell’o-
ceano delle pubblicazioni. Anche se la funzione di
commento e discussione di piattaforme di social me-
dia può effettivamente servire come filtro, altri siste-
mi sono stati sviluppati appositamente per filtrare il
contenuto scientifico più rilevante attraverso suggeri-
menti e feedback.
Tra questi, F1000Prime25 (ex F1000) è il più po-
polare, concentrandosi su pubblicazioni in ambito
biologico e medico. In questo sistema, selezionati
esperti raccomandano e rivisionano gli articoli più
importanti nel loro campo di appartenenza15. Un
altro strumento similare che riprende ed estende il
modello precedente è Pubpeer26. In pratica si tratta
di un giornale online, che permette a qualsiasi utente
di commentare anonimamente documenti scientifici
con un DOI o arXiv id in una sorta di post-review
pubblica.
3. Social ma non Open
Fin qui abbiamo cercato di mostrare varie piattafor-
me social, le loro funzionalità e possibili applicazioni.
Tutto bene? Non proprio. I siti di social networking,
come ResearchGate e Academia.edu, come antici-
25 Vedi: http://f1000.com/prime
26 Vedi: https://pubpeer.com/
137
valeria scotti
pato, non sono propriamente associabili al concetto
di open access ma sono a tutti gli effetti dei servi-
zi commerciali i cui termini e condizioni possono
cambiare in qualsiasi momento. I siti stessi possono
anche scomparire senza preavviso e le aziende che
li gestiscono possono chiudere, fallire, essere acqui-
site, interrompendo così l’accesso ai documenti di ri-
cerca caricati. Ne consegue che il deposito su archivi
istituzionali (come ben illustrato in uno dei capitoli
precedenti) è l’unica soluzione in grado di garantire
l’accesso a lungo termine ai propri lavori di ricerca.
I repository Open Access sono di solito gestiti da
università, enti pubblici, associazioni senza scopo di
lucro, e ciò rappresenta una garanzia di lunga durata
dei repository. Inoltre, spesso si avvalgono di bibliote-
cari, archivisti ed esperti nel campo dei metadati che
si specializzano proprio nel garantire l’archiviazione
a lungo termine.
Molti editori, inoltre, vietano esplicitamente ai pro-
pri autori di depositare documenti su piattaforme
commerciali, ma permettono l’auto-archiviazione in
un repository istituzionale o a soggetti senza scopo di
lucro.27 Una strategia possibile, potrebbe essere quel-
la di depositare i propri articoli sia sulle piattaforme
social, sia nei repository istituzionali, ovviamente
sempre nel rispetto delle policy di copyright applicate
dai titolari dei diritti.
I siti di social networking nella maggior parte dei
casi non sono interoperabili, cioè non permettono
di esportare i propri dati e il riutilizzarli altrove. Al
contrario i dati e metadati caricati sui repository isti-
27 Per una panoramica complete sull’argomento: Fortney K.,
Gonder J., A social networking site is not an open access repo-
sitory, 2015, http://osc.universityofcalifornia.edu/2015/12/a-so-
cial-networking-site-is-not-an-open-access-repository/
138
usare i social media per la comunicazione scientifica
tuzionali sono, per antonomasia, aperti e riutilizza-
bili. Sulle piattaforme social il download da parte di
altri utenti, avviene solo quando un utente si registra
ed effettua il log in. Benché l’accesso alla piattaforma
permanga ancora libero, questa barriera è contraria
ai principi dell’Open Access che invece richiedono
che i contenuti siano visibili e scaricabili senza al-
cuna autenticazione. Vi sono poi dei termini e delle
condizioni particolari che in sostanza vietano anche
alle biblioteche stesse la possibilità di estrarre i dati
per conto dei propri ricercatori per poterli riutilizzare
nelle loro banche dati o nei propri repository. A com-
pletare il quadro, questi siti pongono anche dei limiti
al numero dei download di un utente registrato può
fare dal sito, e l’utilizzo di strumenti di data mining
può essere esplicitamente vietato, ostacolando ulte-
riori ricerche.
Un’importante differenza fra gli archivi ad accesso
aperto e i social media è la questione “privacy”. Tali
piattaforme incoraggiano gli utenti a invitare amici,
conoscenti, colleghi a connettersi alla propria rete in-
correndo a un invio di email a volte percepite come
invasive e non desiderate. Inoltre le piattaforme pro-
prietarie tendono a impadronirsi dei dati e dei con-
tatti personali dei ricercatori, inviando email che an-
nunciano nuove pubblicazioni o attività sia di utenti
tra loro in contatto sia di ‘potenziali’ collegamenti,
nonché a fare attività di profilazione degli utenti regi-
strati. D’altra parte, i repository di accesso aperti non
forniscono le possibilità di connessioni di un social
network. Sui repository gli utenti possono cercare
opere di un particolare autore, ma gli autori non pos-
sono costruire una rete di scambio diretto tra di essi,
139
valeria scotti
né possono crearsi una propria pagina personale con
i propri dati e contatti.
Come in più punti evidenziato uno delle differenze
di fondamentale importanza riguarda la gestione del
diritto d’autore. Spesso manca la consapevolezza da
parte di chi utilizza tali strumenti che pubblicando
i propri lavori sui social media, in alcuni casi, si au-
torizza le aziende che gestiscono le piattaforme ad
utilizzarli per produrre materiali e opere che derivi-
no da essi28. Questo potrebbe scatenare un’ulteriore
dinamica negativa nei confronti degli editori i quali
potrebbero rifiutarsi di pubblicare un lavoro non del
tutto esclusivo in quanto già apparso e pubblicato su
tali piattaforme
È quindi tutto da buttare? Assolutamente no. L’uso
delle piattaforme social, se fatto consapevolmente e
nel rispetto del diritto d’autore, può sicuramente ave-
re un ruolo fondamentale e preziosa nella dissemina-
zione del sapere scientifico.
Riassumendo quanto sino ad ora discusso, possia-
mo quindi elencare quali sono i più comuni effetti
dell’utilizzo dei social media da parte dei ricercatori
in un ottica di Science 2.0:
• comunicare con un pubblico più vasto;
• entrare in contatto con altri ricercatori del proprio set-
tore;
• avere maggior confronto e collaborazione;
• farsi conoscere a un pubblico più ampio;
• promuovere meglio progetti e idee;
• promuovere la scienza aperta e la condivisione dei dati;
28 Pievatolo M.C, ResearchGate e Academia.edu non sono archi-
vi ad accesso aperto, Bollettino telematico di filosofia politica
28 Gennaio 2016: http://btfp.sp.unipi.it/it/2016/01/research-
gate-e-academia-edu-non-sono-archivi-ad-accesso-aperto/
140
usare i social media per la comunicazione scientifica
• condividere i risultati delle ricerche svolte;
• diffondere la cultura della ricerca scientifica;
• informare i cittadini sulle sfide della società;
• trasmettere ai giovani la passione per la ricerca;
• aumentare il numero degli studenti iscritti ai corsi di lau-
rea scientifici;
• acquistare visibilità e migliorare la fiducia e la considera-
zione sociale per la ricerca universitaria;
• ottenere finanziamenti e consenso politico e istituziona-
le sui progetti di ricerca.
4. Come misurare il loro impatto? Altmetrics!
4.1 Valutare la ricerca
Fin dalla nascita dell’odierna editoria scientifica, il
problema di come misurare l’impatto scientifico e so-
ciale delle pubblicazioni di ricerca è stato di estremo
interesse per scienziati e studiosi. Impatto che può
influenzare l’ottenimento di un incarico a perfeziona-
re un progetto di ricerca, l’attrazione di investimenti
fondamentali per sé e il proprio dipartimento/grup-
po, la valutazione della propria attività professionale,
l’incremento delle prospettive di carriera. Dal punto
di vista di chi legge un articolo scientifico, inoltre, è
importante capire velocemente l’importanza dei con-
tenuti, vista la mancanza di tempo per leggere tutti i
documenti pubblicati su un dato argomento.
Ad oggi entrambi i problemi di valutazione e di se-
lezione qualitativa rimangono di difficile soluzione.
Le metriche bibliometriche “tradizionali” (Impact
Factor e indici citazionali) sono figlie di un sistema
in cui il web ancora non esisteva (l’Impact Factor è
141
valeria scotti
stato ideato nel 195529) o era ancora poco sviluppato
(H-Index nasce nel 200530); inoltre esse, assieme alla
peer-review, hanno mostrato dei limiti nella capacità
di valutazione della ricerca31.
L’evoluzione di strumenti web 2.0 ha di fatto por-
tato cambiamenti radicali nella nostra vita quotidia-
na. Tra questi, l’avvento dei social media ha facilitato
le connessioni e la condivisione di informazioni tra
le persone; di questo hanno beneficiato anche i ri-
cercatori. Negli ultimi dieci anni c’è stata una rapida
evoluzione nel mondo degli indicatori bibliometrici,
e stanno emergendo nuovi indicatori, basati sul Web
2.0. Recentemente, il termine Altmetrics ha guada-
gnato un crescente interesse nella comunità scienti-
fica, con sempre più scienziati preoccupati per l’im-
patto della propria ricerca non solo sulla comunità
scientifica, ma anche sulla società.
4.2 Altmetrics
Il termine “Altmetrics” è stato proposto per la pri-
ma volta nel 2010 con un tweet postato da Jason Pri-
em, dottorando presso la Scuola di Informazione e
Biblioteconomia presso la University of North Caro-
lina a Chapel Hill e successivamente co-fondatore di
ImpactStory: “I like the term #articlelevelmetrics, but it
29 Garfield E., Citation indexes for science: a new dimension in docu-
mentation through association of ideas, Science, 1955; 122 (3159);
p. 108–11.
30 Hirsch J.E., An index to quantify an individual’s scientific research
output, Proceedings of the National Academy of Sciences of the
United States of America; 2005;102 (46);16569-72.
31 Eugene to Altmetrics: A chase for virtual foot prints!, Niscair On-
line Periodicals Repository (NOPR), nopr.niscair.res.in/han-
dle/123456789/20172
142
usare i social media per la comunicazione scientifica
fails to imply *diversity* of measures. Lately, I’m liking
#altmetrics”32.
Il termine è stato poi ripreso in un vero e proprio
“Manifesto” da parte di Jason Priem, Taraborelli,
Groth e Neylon. Qui gli Altmetrics sono definiti come
“the creation and study of new metrics based on the So-
cial Web for analyzing and, information scholarship”33.
Inoltre, il termine offre una duplice lettura: può si-
gnificare da un lato “Article Level Metric” e dall’altro
“Alternative Metric”. Effettivamente “Altmetrics” po-
trebbe essere definito come “umbrella term for new
ways (both qualitative and quantitative) of measuring
different forms of impact” così come “article level metrics
has come to mean the altmetrics surrounding a scholarly
paper”34.
Pertanto, l’aspetto centrale di queste nuove metri-
che è il fatto che si affiancano, senza contrapporsi,
a termini ben noti come H-index o Impact Factor,
ponendo l’accento sul loro essere alternativi e quindi
intenzionati ad andare oltre gli strumenti tradiziona-
li. Con i ricercatori che pubblicano sempre più onli-
ne, la reale importanza degli Altmetrics risiede nella
loro capacità di filtrare, collegare e raccontare storie.
I dati su come le persone interagiscono con risultati
della ricerca può essere visto come un’altra forma di
revisione tra pari, e potrebbero essere utilizzati per il
filtraggio, la raccomandazione e la condivisone delle
informazioni.
32 Jason Priem, 28 settembre 2010, https://twitter.com/jasonpriem/
status/25844968813
33 Altmetrics: a manifesto: https://altmetrics.org/manifesto/
34 Liu J. Metrics and Beyond @ SpotOn London 2012; 21 No-
vember 2012; http://www.altmetric.com/blog/metrics-and-be-
yond-spoton-london-2012/
143
valeria scotti
4.3 Come funzionano
Gli Altmetrics misurano qualsiasi attività online
che si verifica attorno agli articoli scientifici e aggre-
gano dati provenienti da reti come ad esempio Face-
book, Twitter, Mendeley, Slideshare, visite alle pagi-
ne HTML, i PDF download e la conta delle citazioni
estratte da banche dati online come Scopus e Cros-
sRef, e molti altri (tra cui, a volte, i dati provenienti da
giornali, blog, forum, notizie). Inoltre, per gli output
della ricerca che non sono veri e propri articoli pub-
blicati su riviste scientifiche, ma che comunque in-
cludono risultati della ricerca, le statistiche, ai fini del
calcolo dei vari Altmetrics, vengono raccolte da repo-
sitoriy (ad esempio FigShare) e dalla piattaforma di
GitHub, la principale piattaforma per la condivisione
di codice sorgente e progetti software. Al momen-
to esistono alcuni portali che calcolano ognuno un
suo indicatore “alternativo”; i principali (attualmen-
te) sono PLoS-ALMP, PlumAnalytics, ImpactStory, e
Altmetrics.com. Le differenze sostanziali risiedono
nei singoli algoritmi di calcolo (Application Program-
ming Interface, in acronimo API) e nelle metriche di
uscita (ad esempio il donut di Altmetric.com o Plu-
mPrint di PlumAnalytics). Inoltre, benché prodotti
commerciali, piattaforme come Altmetric.com met-
tono a disposizione sia un bookmarklet, gratuito, che
consente di poter visualizzare sia l’indice altmetrico
di un singolo articolo, sia l’algoritmo di calcolo (API)
da poter sfruttare, ad esempio, nella pagina web del
singolo ricercatore. Oppure come Impact Story che
permette al singolo ricercatore di iscriversi gratuita-
mente alla piattaforma ed avere una visione globale
del proprio impatto.
144
usare i social media per la comunicazione scientifica
Indubbiamente, l’attenzione verso queste metriche
è crescente: Wiley, Elsevier, Wichtig, la National Aca-
demy of Sciences, Cochrane Library sono tra gli edi-
tori che attualmente mostrano il punteggio di uno o
più Altmetrics su alcuni o tutti i siti delle loro riviste,
a livello di singolo articolo.
I dati forniti dagli Altmetrics rivelano quello che
gli studiosi stanno usando per la ricerca e che tipo
di risultati vengono riutilizzati dagli altri ricercatori.
Sono ormai abbastanza numerosi gli studi che hanno
valutato la correlazione degli Altmetrics con gli indici
delle metriche tradizionali correntemente utilizzati
per valutare la ricerca; ad esempio è stata confermata
una buona correlazione tra gli Altmetrics e citazio-
ni35.
Inoltre, è stato dimostrato che riviste Open Access
ottengono punteggi più alti nelle nuove metriche,
rispetto a riviste tradizionali, dimostrando l’impatto
di una policy “open access” sulla diffusione dei ri-
sultati di una ricerca. Infatti, uno dei primi editori
a introdurre gli Altmetrics per gli articoli pubblicati
sulle proprie riviste è stata la Public Library of Scien-
ce (PLOS), editore Open Access, evidenziando una
stretta complementarietà (biunivoca) tra riviste Open
Access e metriche alternative36.
Altri studi rivelano una “vita propria” di tali me-
triche, applicate anche allo studio dell’uso dei social
media da parte dei destinatari finali (che poi ne sono
anche l’oggetto) della ricerca biomedica: i pazienti.
35 Scotti V, De Silvestri A, Scudeller L, Abele P, Topuz F, Curti M.
Novel bibliometric scores for evaluating research quality and output:
A correlation study with established indexes. Int J Biol Markers
2016; 31(4):e451-e455
36 Article Level Metrics PLOS Article-Level Metrics (ALM): measuring
the impact of research, http://article-level-metrics.plos.org/
145
valeria scotti
Chi di noi non ha mai utilizzato Google per ricercare
il significato clinico di un sintomo o letto i commenti
sui vari forum/blog di pazienti prima di andare dal
proprio medico? Quanto spesso in questi commenti
vi erano dei riferimenti ad articoli scientifici? Tutti
questi dati, che dimostrano l’impatto sugli stakehol-
ders non accademici, vengono raccolti dalle metriche
alternative ma non da quelle tradizionali. In altri ter-
mini, gli Almetrics ci raccontano una storia: ciò di cui
le persone nella società discutono.
4.4 Punti forti
Proprio in quanto raccolgono e integrano dati pro-
venienti da fonti diverse, gli Altmetrics offrono la
possibilità ai ricercatori di apprendere l’impatto reale
e immediato della propria ricerca: cercando dei pat-
tern in ciò che le persone leggono, condividono, di-
scutono e citano online, siamo in grado di capire che
tipo, o addirittura che “sapore” (in inglese “flavour”)37
di impatto sulla società sta ottenendo il risultato di
una ricerca, cosa che le sole citazioni tradizionali su
riviste scientifiche di altri accademici o ricercatori
non riescono a rivelare. Queste interazioni produ-
cono nuove forme di collaborazione, innovazione, e
conversazioni che non sarebbero possibili se ci si af-
fidasse solo alle metriche “tradizionali”.
Gli Altmetrics contribuiscono poi a implementa-
re un processo democratico di revisione pubblica;
infatti, gli output della ricerca vengono analizzati e
discussi da un gran numero di stakeholder: studenti,
37 Priem J, Piwowar HA. Altmetrics in the wild:using social media
to explore scholarly impact. 2012.: http://adsabs.harvard.edu/ab-
s/2012arXiv1203.4745P
146
usare i social media per la comunicazione scientifica
ricercatori, editori, policy marker, pazienti, decisori
e finanziatori. Inoltre, in particolare per la ricerca
finanziata con fondi pubblici, risulta estremamente
utile poter dimostrare come la ricerca sia rilevante
per il pubblico in generale38.
Infine, mentre le metriche tradizionali possono im-
piegare molto tempo per esprimere valori analizza-
bili, un aspetto estremamente positivo degli Altme-
trics è la capacità di aggregare tutti i dati citazionali
in tempo reale, con gran vantaggio per i “giovani ri-
cercatori” che hanno alle spalle un piccolo numero
di pubblicazioni, ma sono comunque sottoposti alla
pressione del “publish or perish”. Vantaggio che si
può tradurre nell’inserimento delle nuove metriche
nel proprio curriculum per cercare fondi o semplice-
mente nelle domande di lavoro.
4.5 Punti deboli
Di certo tali metriche portano con sé tutta una se-
rie di rischi e di limiti dati anche dalla loro giovane
età. Infatti, come per le citazioni tradizionali, non si
è ancora arrivati alla distinzione tra citazione positiva
e negativa: la cosiddetta “sentiment analysis”, meto-
dologia già ampiamente impiegata nel marketing o
in politica, ma non ancora integrata negli Altmetrics.
Tuttavia, tramite gli Altmetrics si può comunque ave-
re la percezione di quanto viene detto, apprezzato o
meno del lavoro prodotto con un semplice click sulle
singole componenti della metrica, i tweet o i com-
menti postati nei differenti social media.
38 Altmetrics and open access: a measure of public interest.Au-
stralian Open Access Support Group: http://aoasg.org.au/alt-
metrics-and-open-access-a-measure-of-public-interest/
147
valeria scotti
Inoltre, è sempre presente il rischio del “gaming”39
ossia il fenomeno per cui servizi commerciali “ven-
dono” messaggi di Facebook, Tweet o blog per favori-
re il proprio prodotto (in questo caso, la ricerca).
Ancora, una pesante critica è la mancanza di uno
standard definito, che invece le metriche tradiziona-
li hanno. Alla mancanza di uno standard sta prov-
vedendo la National Information Standards Organi-
zation (NISO), associazione non-profit che sviluppa
standard per la gestione dell’informazione in am-
biente digitale, la quale ha pubblicato nel Settembre
del 2016 un documento, denominato Outputs of the
NISO Alternative Assessment Metrics Project, che
sintetizza i risultati della seconda fase del un proget-
to (NISO Alternative Assessment Metrics Altmetrics
Project40) dedicato all’individuazione di standard e
prassi relativi agli Altmetrics. Il progetto prevede la
definizione del termine “altmetrics”, l’individuazione
di specifiche metodologie di calcolo adatte a ogni tipo
di prodotto della ricerca (software, poster, presen-
tazioni, blog, ecc.) e una sorta di codice di condotta
riportante una serie di raccomandazioni alle parti in-
teressate che operano in tale settore.
Infine, di tali metriche e al continuo sviluppo e
cambiamento nei social media, la definizione del
calcolo e dell’applicazione degli Altmetrics è ancora
in evoluzione e, soprattutto, non ancora pienamente
compresa dalla comunità scientifica.
39 Barbaro A, Rebuffi C. Altmetrics as new indicators of scientific im-
pact. JEAHIL 2014; 10: 3-6.
40 Per maggiori informazioni consultare: http://www.niso.org/to-
pics/tl/altmetrics_initiative/
148
usare i social media per la comunicazione scientifica
4.6 Qual è la reale applicazione di tali metriche?
In alcune nazioni, ove i social media sono una realtà
consolidata, da tempo la Wellcome Trust41 e altri finan-
ziatori della ricerca stanno esplorando il potenziale va-
lore degli Altmetrics per supportare l’apprendimento
organizzativo e come strategia di finanziamento. In-
fatti, la maggior parte dei finanziatori della ricerca as-
segna i finanziamenti non solo in base alla qualità di
un’idea e del relativo progetto, ma anche al track record
di un richiedente, di cui la storia di una pubblicazione
è tipicamente una parte importante. In questo ambito,
le metriche alternative possono contribuire a fornire
il “contesto” per comprendere l’influenza del lavoro
scientifico sia all’interno che all’esterno del mondo
accademico, senza richiedere l’assunzione che una ri-
cerca pubblicata in riviste “prestigiose” sia migliore e
soprattutto di maggiore impatto sulla società compo-
sta dai destinatari della ricerca stessa.
Alcune recenti esperienze dimostrano l’impiego di
metriche alternative in valutazione e gestione della
ricerca. L’Higher Education Funding Council for En-
gland (HEFCE) ha sviluppato, come parte di una più
ampia revisione dell’uso delle metriche nella valuta-
zione della ricerca, un progetto sull’impiego di que-
ste metriche nelle future iterazioni di ricerca di ec-
cellenza nel Regno Unito (REF- Research Excellence
Framework)42. Il messaggio di HEFCE alle istituzioni
che finanzia è chiaro: devono essere in grado di forni-
re la prova non solo di quale ricerca hanno prodotto,
41 Dinsmore A, Allen L, Dolby K. Alternative perspectives on impact:
the potential of ALMs and altmetrics to inform funders about rese-
arch impact. PLoS Biol 2014; 12; e1002003
42 Per maggiori informazioni consultare: http://www.hefce.ac.uk/
149
valeria scotti
ma anche di quanta influenza e quanti benefici real-
mente ha dato la ricerca ha espresso.
Analogamente, nell’esperienza australiana di Excel-
lence in Research for Australia (ERA), la valutazio-
ne delle richieste di finanziamento è strutturata in
modo che, accanto alle metriche tradizionali (analisi
citazionale, peer review) siano incluse altre misure
tendenti a dare una visione più ampia dell’impatto
della ricerca, come ad esempio i proventi della sua
eventuale commercializzazione43.
Ritornando nell’ambito europeo, come nei Paesi
Bassi ove si sperimenta un differente metodo per
valutare la ricerca includendovi il ‘Societal Impact’,
ovvero l’impatto sociale. Impatto sociale, inteso come
capacità di portare la scienza alla società, e che quin-
di deve essere misurato in modo diverso. A partire
dal 2015 un protocollo standard (Standard Evalua-
tion Protocol – SEP) per la valutazione della ricerca
è diventato effettivo nei Paesi Bassi. Tale protocollo
descrive i metodi utilizzati per valutare una ricerca
condotta presso università olandesi con una forte
componente di impatto sociale44.
4.7 Utilizzo nelle realtà di ricerca
Al momento attuale, più di cinquanta istituzioni
nel mondo (tra le quali University of Cambridge,
University of South Australia, World Bank Group)
utilizzano Explorer for Institution: il servizio messo
a punto da Altmetric.com per aggregare i dati a livello
43 HEFCE 2014: https://www.hefce.ac.uk/rsrch/metrics/; Excel-
lence in Research for Australia (ERA): http://www.arc.gov.au/
era/era_2015/2015_keydocs.htm
44 Vedi nota n. 35
150
usare i social media per la comunicazione scientifica
di istituzione anziché di ricercatore o di singolo arti-
colo. Molte altre utilizzano la piattaforma PlumX18,
la quale, oltre a fornire i dati altmetrici isitituzionali,
implementa al suo interno la possibilità di valutare
l’evoluzione dei grants dati e ricevuti ai propri ricer-
catori, e di cercare le opportunità di finanziamento
senza uscire dalla piattaforma.
Per rimanere in Italia, nel 2015 l’ANVUR (Agenzia
Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e
della Ricerca) ha finanziato un bando per un concor-
so pubblico di Idee di ricerca sui metodi di Valutazio-
ne della Ricerca volto all’analisi degli indicatori di im-
patto della ricerca alternativi al sistema tradizionale
basato sulle mere citazioni (Webometrics, Altmetrics
e altri).
Inoltre l’Università Tor Vergata ha acquistato la
piattaforma PlumX come risultato di una consape-
volezza che accomuna molti a livello istituzionale:
la scienza e la ricerca costituiscono un sistema com-
plesso che ha bisogno di un sistema altrettanto com-
plesso per permettere la loro comprensione e corret-
ta valutazione.
Non a caso molte Biblioteche, soprattutto all’estero,
forniscono servizi di supporto ai propri ricercatori in
tema di metriche alternative attraverso corsi, guide,
webinars oppure fornendo aiuto per la compilazione
di CV o per la partecipazione a grants internazionali.
Nelle istituzioni ove sono presenti dei repository per
gli articoli dei propri ricercatori, oltre alle metriche
tradizionali ora appaiono anche gli Altmetrics.
Un progetto interessante è quello portato avanti
presso la Galter Health Science Library della Scuola
di Medicina della Northwestern University di Chica-
go. Presso la Biblioteca è stato istituito un servizio
151
valeria scotti
denominato MIC (The Metrics an Impact Core)45 at-
traverso cui bibliotecari esperti in bibliometria e me-
triche alternative forniscono vari servizi per propri i
ricercatori: ad esempio sviluppare strategie editoriali
di successo, monitorare l’andamento delle pubblica-
zioni, comunicare l’impatto della ricerca al pubblico.
L’Università AALto in Finlandia ha lanciato nel
primo trimestre del 2016 una propria piattaforma
denominata CRIS (Current Research Information
Systems). CRIS è un portale web, chiamato Portale
della Ricerca46, con al suo interno tre diversi percorsi
da esplorare: persone, organizzazione e progetti. Al
suo interno il portale integra i dati da Altmetric.com.
In tal modo i dati sono immediatamente a disposizio-
ne del ricercatore ma anche dell’istituzione. Similar-
mente anche l’Università di Aalborgh in Danimarca
ha incorporato i dati altmetrici nel proprio portale
dedicato alla ricerca47.
La Biblioteca della Delft University of Tecnology,
con sede nei Paesi Bassi, attraverso il proprio Resear-
ch Support Portal48 sintetizza al meglio i servizi che
una Biblioteca può fornire ai propri utenti: dalla cre-
azione dell’idea, al finanziamento, alla sperimenta-
zione, alla pubblicazione ed infine alla diffusione dei
risultati della ricerca.
45 Galther Health Science Library: Metrics and Impact Core: ht-
tps://galter.northwestern.edu/request-services-and-materials/
metrics-and-impact-core-mic
46 Aalto University, Research Information portal: https://research.
aalto.fi/en/
47 Aalborg University, Research Portal: http://vbn.aau.dk/en/
48 Delft University of Tecnology, Evaluating Research Portal:
http://researchsupport.tudelft.nl/nl/publishing/publish-for-im-
pact/evaluating-research-impact/
152
usare i social media per la comunicazione scientifica
Non da ultima l’Unione Europea all’interno della
Directorate General for Research and Innovation ha
istituito nel 2016 un gruppo di esperti49 nel cambio
bibliometrico con il compito di valutare il ruolo di de-
gli altmetrics nello sviluppo della sua agenda per la
scienza e la ricerca aperta. ll gruppo di esperti ha rac-
colto un anno di lavoro in una relazione50 sulla neces-
sità di una nuova generazione di metriche nel conte-
sto della Open Science, fornendo chiare indicazioni
sulle linee politiche da seguire sulla via della scienza
aperta: promuovere l’Open Science, rimuovere gli
ostacoli culturali e cercare di creare infrastrutture in
grado sempre più di incorporare il concetto di scien-
za aperta nella società.
Sempre in ambito europeo, i bibliotecari biome-
dici afferenti all’EAHIL – European Association for
Health Information and Libraries hanno affrontato il
problema della valutazione dell’impatto della ricerca
e dello studio circa le nuove metriche, attraverso la
costituzione di un gruppo dedicato allo studio delle
metriche alternative denominato Evaluation and Me-
trics Group51.
5 Conclusioni
Una considerazione appare chiara: queste nuove
metriche dimostrano di avere un notevole potenziale
per affiancare, senza sostituire, le metriche tradizio-
49 Expert Group on Altmetrics: https://ec.europa.eu/research/
openscience/index.cfm?pg=altmetrics_eg
50 Next-generation metrics: Responsible metrics and evaluation
for open science https://ec.europa.eu/research/openscience/
pdf/report.pdf#view=fit&pagemode=none
51 Per maggiori informazion sul EAHIL Metrics Group: http://
eahil.eu/sig-2/special-interest-group-evaluation-metrics/
153
valeria scotti
nali nella valutazione degli outcome della ricerca, ma
appare altrettanto chiaro che necessitano di ulterio-
ri studi e approfondimenti per capire appieno qua-
le contributo e quali ‘storie’, spunti, aspetti possono
evidenziare. Come tutte le metriche hanno punti di
forza e punti deboli, come ad esempio la mancanza
di uno standard o il gaming dei social media; ma le
potenzialità future non si possono ignorare.
In particolare, le metriche alternative sono partico-
larmente pronte a soddisfare l’esigenza di compren-
dere una visione differente, più sfumata e a più voci
del concetto di “impatto della ricerca”. Queste metri-
che non solo ci raccontano una storia che va al di là
della solo dato citazionale, ma danno l’idea di poter
catturare e sintetizzare quanto del lavoro compiu-
to dai ricercatori è percepito dalla società ma anche
dalla propria comunità di ricerca attraverso l’utilizzo
dei social media o dei repository istituzionali. Inoltre
le piattaforme di condivisione (come ad esempio Fi-
gshare o Slideshare) hanno permesso una seconda
vita ai prodotti non primari della propria attività di
ricerca, come i posters, le presentazioni o i dataset i
quali sarebbero rimasti a giacere nei nostri cassetti e
che tramite le metriche alternative trovano spazio e
modo di essere valorizzate.
Un ulteriore fattore vantaggioso delle Altmetrics è
rappresentato dalla rapidità con cui esse si rendono
disponibili; entro pochi giorni, o addirittura poche
ore, un autore è in grado di sapere se un proprio con-
tributo è stato letto, discusso, commentato, apprezza-
to oppure criticato. La riflessione non deve riguarda-
re solo se tale dato porterà a future citazioni, ma cosa
tale dato vuole e può comunicarci. Probabilmente
qualcosa di differente che parte dall’attenzione che
154
usare i social media per la comunicazione scientifica
lo score altmetrico cattura nel mondo del web, al suo
riutilizzo e della valutazione nel mondo accademico.
Senza scendere nella percezione che un tweet pos-
sa valere una citazione vera e propria, gli Altmetrics
probabilmente ci raccontano una storia differente; a
noi la capacità di rimanere in ascolto.
155
Capitolo 6
L’editoria al servizio dell’accademia
Nicola Cavalli
Vorrei iniziare questo breve contributo con un’u-
sanza anglosassone, che apprezzo. Metto subito in
chiaro che sono editore con Ledizioni, che è anche
l’editore di questo volume. Qui scrivo però non in
qualità di Ledizioni, ma più genericamente come
editore ed osservatore del sistema editoriale accade-
mico.
Credo anche che sia opportuno mantenere il taglio
del contributo stesso su un piano molto concreto e
operativo, lasciando da parte molte speculazioni te-
oriche, che pure ho approfondito altrove1, così come
i discorsi di carattere più introduttivo e propedeutico
che sono già stati ben trattati in questo volume.
Uno dei punti fondamentali nel sistema editoria-
le Open Access è la gestione dei diritti della propria
opera. Una volta che l’autore non li trasferirà in toto
all’editore, potrà cedere la licenza all’editore per la
pubblicazione di determinati formati e per la com-
1 A partire dalla mia tesi di dottorato: Cavalli, Nicola Editoria
Scientifica: La transizione al digitale. Università, biblioteche e case
editrici di fronte ad un sistema in evoluzione, 2007, PhD Thesis
thesis, Università degli studi di Milano-Bicocca, http://eprints.
rclis.org/10144/.
nicola cavalli
mercializzazione degli stessi, mantenendo per sé,
e per la diffusione in Open Access, gli altri. Grazie
a questo passo, l’autore potrà porsi nei confronti
dell’editore in una dialettica di fornitura di servizi
e non più di passivo acquirente del prodotto-libro o
prodotto-articolo, spesso esclusivamente cartaceo.
L’autore che mantiene i diritti sulla propria opera po-
trà richiedere solamente i servizi di cui ha bisogno
alla casa editrice, ed essi potranno essere, ad esem-
pio, la correzione di bozze, la traduzione, l’impagi-
nazione, la creazione di indici, la produzione di de-
terminati formati (cartaceo, epub, PDF….) e la com-
mercializzazione degli stessi; ma anche molti altri,
dipendendo dal tipo di opera e da cosa la casa editrice
potrà offrire in modo più competitivo.
Si passerà quindi, dal punto di vista della casa edi-
trice, a offrire servizi di pubblicazione, piuttosto che a
vendere un prodotto (il libro), il cui acquirente erano
o l’autore stesso, o le biblioteche, dato che, nel caso
dell’editoria accademica e scientifica, il mercato del-
la libreria e degli acquirenti privati e individuali non
ha mai avuto molto peso. Questo passaggio dovrebbe
portare a una maggiore trasparenza nei rapporti fra
case editrici e autori, oltre ovviamente ad un sensibile
abbassamento, tendente all’azzeramento dei contri-
buti richiesti agli autori, sempre mantenendo come
caposaldo la pubblicazione in Open Access, che in
quest’ottica può essere visto come un servizio ulte-
riore che la casa editrice può offrire ai propri autori.
In quest’ottica, infatti, la decisione di diffondere in
Open Access alcuni formati di un’opera può essere
vista come un’opzione dai costi (relativamente) facil-
mente calcolabili per una casa editrice. Quante copie
digitali e cartacee venderò in meno diffondendo l’o-
158
l’editoria al servizio dell’accademia
pera in Open Access? La stima può essere alla base
della richiesta economica per la diffusione in Open
Access dell’opera. Se ovviamente i mancati incassi di
questa operazione non sono rilevanti, la diffusione
Open Access può anche essere offerta gratuitamente.
L’editore quindi che decide di superare la logica del-
la “scatola nera” del libro come prodotto inscindibile
e imperscrutabile da offrire ai suoi autori e ai suoi
lettori, si porrà in una dialettica che sarà propedeuti-
ca a spiegare e offrire i diversi servizi, necessari alla
buona riuscita dell’attività di pubblicazione.
Credo che questo sia un passaggio fondamentale
per far emergere un sistema di editoria scientifica
più efficace ed efficiente, che possa incorporare la
diffusione in Open Access in modo “nativo”; l’oscuri-
tà dei costi dell’attività di pubblicazione e diffusione
di contenuti accademici e scientifici, infatti, rimane
uno dei grossi ostacoli in vista di un’evoluzione del
sistema. Attualmente vi sono diversi editori che of-
frono delle opzioni di diffusione in Open Access di
articoli o monografie a prezzi non correlati ai servizi
effettivamente offerti. Stando infatti ai dati presenti
pubblicamente sui siti degli editori e a quelli raccol-
ti dal progetto “Open APC initiative” 2 vediamo ad
esempio che l’Università degli Studi di Milano ha
pagato mediamente 1544 Euro per diffondere gratu-
itamente un articolo pubblicato su una rivista Sprin-
ger, 2.204 Euro su una rivista Elsevier e 2.508 su una
di Oxford University Press. A questi costi è difficile
sostenere un sistema editoriale Open Access, a livel-
lo pratico ma anche teorico, oltre che etico. È infatti
2 I dati di questo progetto, gestito dell’Università di Bielefeld,
si possono consultare a questo indirizzo https://treemaps.in-
tact-project.org/
159
nicola cavalli
possibile fare Open Access con dei costi molto più
sostenibili, sempre che, appunto, ci sia chiarezza e
una visione condivisa dei compiti e dei lavori svolti da
autori ed editori, oltre che dei sistemi valutativi delle
università e dei ricercatori che permettano di pub-
blicare in sedi “alternative”, anche se non comprese
negli indici bibliometrici classici o, per il caso italia-
no, nelle classifiche di riviste di classe A. La breve
ricognizione dei principali modelli di pubblicazione
Open Access attualmente presenti sul mercato vuole
essere un contributo in questo senso: gettare le basi
di una maggiore conoscenza che possa essere foriera
di un cambiamento del sistema, in modo che possa
diffondersi maggiormente il sistema editoriale Open
Access e con esso – perché no – anche nuovi attori
del sistema editoriale scientifico.
1. I modelli economici della pubblicazione Open
Access
Se quindi si inizia a ragionare in un ottica di servi-
zio, risulterà chiaro che la presenza di una casa editri-
ce ha senso solo quando effettivamente offre dei ser-
vizi funzionali al buon andamento del sistema della
comunicazione scientifica, e – lasciatemi aggiungere
– quando la qualità dei suoi servizi è soddisfacente ed
offerta a prezzi competitivi. La dimostrazione è che ci
sono modelli, come alcuni di quelli che andremo ad
esaminare di seguito, che non prevedono la presenza
di una casa editrice, pur contribuendo in modo teori-
camente soddisfacente al processo di comunicazione
scientifica.
160
l’editoria al servizio dell’accademia
1.1 Community Publishing
Questo è un modello diffuso per riviste e mono-
grafie di settori di ricerca di nicchia, e in particolare
(ma non esclusivamente) nelle arti e nelle scienze
umane. Le riviste (o le monografie) vengono pro-
dotte interamente all’interno dell’accademia e pub-
blicate online gratuitamente, e, talvolta, anche a
stampa, con costi per gli acquirenti che servono a
coprire i costi di stampa e distribuzione. Si cerca di
ridurre al minimo i costi, utilizzando lavoro volon-
tario per tutti gli aspetti possibili: dalla peer-review,
all’editing e produzione. A volte il processo può es-
sere aiutato dall’utilizzo di sistemi di pubblicazione
che organizzano il flusso di lavoro e aiutano nel-
le diversi fasi del lavoro editoriale, come ad esem-
pio il software open source Open Journal Systems3.
Questo modello è una variante del modello della
“sovvenzione istituzionale” (di cui si parlerà a bre-
ve), poiché in quasi tutti i casi vengono utilizzati nel
processo di pubblicazione le strutture istituzionali, a
partire dall’utilizzo dei computer, dei software e della
connessione internet. Esempi italiani di community
publishing possono essere molte riviste che si trova-
no sulle piattaforme “riviste.unimi.it” dell’Università
Statale di Milano, “Sirio@Unito” dell’Università di
Torino, “ojs.uniroma1.it” dell’Università La Sapienza
di Roma.
1.2 Pubblicità e sponsorizzazioni
Un modello possibile è quello della pubblicità o del-
la sponsorizzazione. Ci sono ovviamente argomenti
3 https://pkp.sfu.ca/ojs/
161
nicola cavalli
e discipline che hanno una maggiore facilità a trova-
re pubblicità e sponsor, prima fra tutte la medicina,
dove è frequente trovare aziende farmaceutiche che
sponsorizzino un numero speciale di una rivista o
che mettano regolarmente pubblicità. Ma lo stesso
avviene anche in altri settori delle scienze e dell’in-
gegneria, si veda ad esempio la rivista “Ingegneria
dell’Ambiente”4 edita da Ledizioni.
È vero che pensare di sostenere una rivista scien-
tifica solamente con sponsorizzazione e pubblicità è
molto difficile; la stragrande maggioranza delle rivi-
ste non può sperare di attrarre abbastanza pubblicità
per sostenere le loro operazioni senza altre entrate:
tuttavia, se una rivista riesce a raggiungere il suo
pubblico e a crearsi spazio nella sua nicchia, la rac-
colta pubblicitaria può aiutare a supportare la pubbli-
cazione in Open Access. È più facile che la pubblicità
sia una soluzione parziale, in altre parole.
Un esempio di rivista di prestigio che pubblica (an-
che) in Open Access ed è aiutata da un flusso di in-
troiti pubblicitari è il British Medical Journal. Questa
rivista, che svolge anche un ruolo di “job posting” nel
Regno Unito, guadagna sia dalla pubblicità che dalla
vendita di abbonamenti, offrendo un tipico modello
misto, sempre più diffuso, anche se dai contorni non
sempre chiari.
1.3 Sovvenzione istituzionale
Ci sono poi i casi delle sovvenzioni istituzionali, da
sempre diffuse in Italia, anche se, purtroppo, spes-
so fornite in modo poco trasparente. Nel caso della
sovvenzione istituzionale ai fini di una pubblicazio-
4 Il sito della rivista è www.ingegneriadellambiente.org.
162
l’editoria al servizio dell’accademia
ne Open Access, prodotta dall’istituzione stessa o
in collaborazione con una casa editrice, il senso del
contributo è chiaramente di massimizzare la diffu-
sione della ricerca prodotta dall’istituzione stessa e
forse anche di avere un maggiore controllo sui costi.
Se andiamo a vedere la storia della comunicazione
scientifica, notiamo che la predominanza e la cen-
tralità di attori economici esterni all’accademia, non
è né necessaria né eterna. Il processo si può quindi
anche interpretare come un ritorno al passato. Grazie
a questo processo le biblioteche, i servizi di archivia-
zione digitale, così come quello delle piattaforme per
l’e-publishing (come le installazioni di OJS citate so-
pra), che ormai sono in possesso di molte istituzioni,
assumono una centralità significativa.
1.4 Vendita di copie cartacee
Come descritto in precedenza, il British Medical
Journal sostiene in parte il suo modello di pubblica-
zione aperta dalle vendite della versione di stampa.
Molte altre riviste Open Access vengono pubblica-
te utilizzando questo modello, e spesso quindi non
hanno necessità di richiedere un contributo agli au-
tori (cioè il modello APC illustrato nel prossimo pa-
ragrafo) per sostenere i costi del processo di pubbli-
cazione. MedKnow, una casa editrice medica india-
na, pubblica tutte le sue riviste su questa base. Tutti
i contenuti sono liberamente accessibili on-line, e le
biblioteche di tutto il mondo possono abbonarsi alla
versione cartacea5. In alcuni casi si può anche verifi-
care un incremento delle vendite del cartaceo, grazie
5 Anche diverse riviste da noi pubblicate sono finanziate, in par-
te, con questo modello. Si veda www.ledijournals.com
163
nicola cavalli
alla maggiore diffusione data dalla versione elettroni-
ca in Open Access6.
1.5 APC (Article Processing charge)
Si ritiene comunemente che tutte le riviste Open
Access impongano un pagamento per la pubbli-
cazione, che deve essere pagato da autori, dal-
le loro istituzioni o dai finanziatori della ricer-
ca. In realtà le cose non stanno così. Ci sono di-
versi studi che dimostrano che la maggior parte
delle riviste Open Access non applica un APC7.
Molte riviste, specialmente quelle degli editori com-
merciali, applicano un costo a fronte della pubblica-
zione dell’articolo che ha superato la peer-review. Si
tratta di un modello sostenibile se la comunità servita
dalla rivista ha fondi da utilizzare per questo scopo.
I fondi quasi sempre provengono dalla propria isti-
tuzione di appartenenza. Alcuni finanziatori della
ricerca impegnano fondi specifici per il pagamen-
to degli APC all’interno dei bandi di ricerca stessi.
Diciamo che questa pratica nasce da una prassi di
alcune discipline che hanno sempre avuto (anche
prima dell’Open Access e delle edizioni elettroniche)
un pagamento separato per avere le pagine a colori
o, appunto, altri servizi aggiuntivi. Editori commer-
6 Per approfondire rimando sempre al mio articolo: Cavalli,
Nicola. “Overlay Publications: a functional overview of the con-
cept.” In Rethinking Electronic Publishing: Innovation in Com-
munication Paradigms and Technologies - Proceedings of the 13th
International Conference on Electronic Publishing, 55-68. ELPUB.
Milano, Italy, 2009.
7 Si veda ad esempio qui, l’annuncio dello studio di Suber
e Sutton: http://legacy.earlham.edu/~peters/fos/newslet-
ter/11-02-07.htm#list
164
l’editoria al servizio dell’accademia
ciali esclusivamente Open Access, come BioMed
Central (ora proprietà di Springer), pubblicano an-
che una lista di fondazioni che sostengono la pubbli-
cazione aperta di accesso secondo questa modalità.
Un’altra fonte di fondi per il pagamento dei singoli
APC è l’istituzione dell’autore e il numero di istitu-
zioni che allocano fondi a questo scopo è in crescita,
anche in Italia.
1.6 Affiliazioni istituzionali
Alcuni editori Open Access hanno introdotto anche
un sistema di affiliazione istituzionale. Mentre que-
sto non può essere un modello di business adatto per
i piccoli editori, è possibile farlo con grandi editori
che pubblicano diverse opere di membri dell’istitu-
zione ogni anno. Due esempi sono BioMed Central
e Hindawi Publishing Corporation che fondamental-
mente offrono la possibilità alle istituzioni di paga-
re annualmente un forfait per un certo numero di
pubblicazioni in Open Access nelle proprie riviste da
parte dei membri della propria istituzione. Si tratta di
pacchetti di APC, offerti a un prezzo più conveniente
rispetto all’acquisito singolo.
1.7 Modelli di acquisto collaborativo
Sempre più diffusi, a partire dal primo esperimen-
to in tal senso, SCOAP3 (Sponsoring Consortium for
Open Access Publishing in Particle Physics)8 sono i
modelli in cui comunità coese, da un punto di vista
disciplinare o nazionale (si vedano i casi di contratta-
8 https://scoap3.org/
165
nicola cavalli
zione nazionale con Springer, ad esempio9) pagano
più o meno lo stesso ammontare richiesto dall’edi-
tore per l’accesso in abbonamento, ottenendo però
che quel contenuto venga diffuso in Open Access.
Nel caso di SCOAP3 tutte le riviste di quel particolare
settore (una decina) sono transitate al modello Open
Access, mentre nel caso delle contrattazioni nazio-
nali le riviste rimangono chiuse (in abbonamento),
ma la comunità nazionale ottiene la possibilità di dif-
fondere in Open Access i propri lavori pubblicati con
quell’editore, dando così vita agli Hybrid Journals,
riviste con alcuni articoli in Open Access ed altri in
abbonamento.
Sulla validità e percorribilità di questo modello i
dubbi sono diversi, ma non è questa la sede su cui
soffermarci10.
9 Si veda qui per approfondimenti: http://www.springer.com/
gp/open-access/springer-open-choice/springer-compact/for-
uk-authors-intro/731990
10 Per approfondire consiglio il recente “Making moves towards
the large-scale transition to Open Access . An opinion piece by
Ralf Schimmer, Max Planck Digital Library” (http://sparceuro-
pe.org/wp-content/uploads/2016/11/Schimmer_231016_Final.
pdf ) ed il precedente: Schimmer, R.; Geschuhn, K.K.; Vogler,
A. (2015): ‘Disrupting the subscription journals’ business mo-
del for the necessary large-scale transformation to open access’
(http://dx.doi.org/10.17617/1.3)
166
Appendice
Documenti e norme
Budapest Open Access Initiative – Dichiarazione di
Budapest per l’accesso aperto (2002)1
Un’antica tradizione e una nuova tecnologia sono
confluite per dar vita a un bene pubblico senza pre-
cedenti. L’antica tradizione è la scelta degli scienziati
e degli studiosi di pubblicare gratuitamente i frutti
delle loro ricerche in riviste scientifiche, per amore
della ricerca e della conoscenza. La nuova tecnologia
è Internet. Il bene pubblico che hanno reso possi-
bile è la diffusione mondiale in formato elettronico
della letteratura scientifica peer-reviewed e l’accesso
ad essa completamente gratuito e senza restrizioni
per tutti gli scienziati, studiosi, insegnanti, studenti,
e per ogni mente curiosa. Rimuovere le barriere di
accesso a tale letteratura produrrà accelerazione nel-
la ricerca, arricchirà l’istruzione, consentirà di con-
dividere la conoscenza del ricco con il povero e del
povero con il ricco, permetterà di utilizzare al meglio
i risultati e porrà le fondamenta per unire l’umanità
1 Testo tratto da www.budapestopenaccessinitiative.org/transla-
tions/italian-translation; traduzione di Paola Castellucci, Uni-
versità di Roma “La Sapienza”; l’opera è rilasciata sotto licenza
Creative Commons Attribution 3.0 unported (https://creative-
commons.org/licenses/by/3.0/).
appendice
in una conversazione intellettuale comune e in una
comune ricerca di conoscenza.
Per varie ragioni, tale disponibilità online, libera e
senza restrizioni – che chiameremo accesso aperto
– finora è rimasta circoscritta a piccole porzioni della
letteratura scientifica. Ma pur in questi casi limita-
ti, diverse iniziative hanno dimostrato che l’accesso
aperto è economicamente praticabile, offre ai lettori
un’eccezionale possibilità di recuperare e utilizzare
letteratura scientifica pertinente, e dà agli autori e ai
loro lavori visibilità, leggibilità e impatto in un modo
nuovo, ampio e misurabile. Per garantire a tutti que-
sti benefici, ci appelliamo a tutte le istituzioni e sin-
goli individui interessati affinché aiutino a rendere
accessibile anche il resto della letteratura scientifica
e rimuovano le barriere, specialmente le barriere di
prezzo, che ostacolano il cammino. Quanti più si
uniranno alla causa, tanto prima godremo tutti dei
benefici dell’accesso aperto.
La letteratura che dovrebbe essere liberamente ac-
cessibile online è quella che gli studiosi offrono al
mondo senza aspettarsi una ricompensa in denaro.
Nel novero entrano innanzitutto articoli di riviste pe-
er-reviewed, ma riguarda anche pre-print non ancora
sottoposti a giudizio e che gli autori desiderino met-
tere online per ottenere commenti o per informare
tempestivamente i colleghi su importanti risultati di
ricerca. Esistono diversi gradi e tipi di accesso, più
ampio e facile, a questo genere di letteratura. Per
“accesso aperto” a tale letteratura intendiamo la sua
disponibilità pubblica e gratuita in Internet, e la pos-
sibilità per ogni utente di leggere, scaricare, copiare,
diffondere, stampare, cercare, o linkare al testo com-
pleto degli articoli, di analizzarli e indicizzarli, di tra-
168
appendice
sferirne i dati in un software, o usarli per ogni altro
utilizzo legale, senza ulteriori barriere (legali, tecni-
che o finanziarie) se non quelle relative all’accesso a
Internet. L’unico vincolo riguardo la riproduzione e
la distribuzione, e l’unica funzione del copyright in
questo ambito, dovrebbe essere la tutela dell’integrità
del lavoro degli autori e il diritto di essere debitamen-
te riconosciuti e citati.
Mentre la letteratura peer-reviewed dovrebbe essere
accessibile online gratuitamente per i lettori, non è pri-
va di costi per chi la produce. Tuttavia, casi concreti di-
mostrano che i costi complessivi per fornire l’accesso
aperto a questa letteratura sono di gran lunga inferio-
ri ai costi delle tradizionali forme di disseminazione.
Una simile opportunità di risparmiare denaro e, allo
stesso tempo, di espandere il raggio della dissemina-
zione, costituisce ora un forte incentivo per associazio-
ni professionali, università, biblioteche, fondazioni, e
altri ancora, ad accogliere l’accesso aperto come mez-
zo per promuovere le proprie le proprie finalità isti-
tuzionali. Realizzare l’accesso aperto richiederà nuovi
modelli sia di recupero dei costi che di finanziamento,
ma la netta diminuzione dei costi generali di disse-
minazione dà motivo di ritenere possibile l’obiettivo e
non semplicemente preferibile o utopico.
Raccomandiamo due strategie complementari per
realizzare l’accesso aperto alla letteratura scientifica:
I. Auto-archiviazione: Innanzitutto gli studiosi
hanno bisogno di strumenti e assistenza per poter
depositare i propri articoli scientifici sottoposti a re-
feree in archivi elettronici aperti, una pratica comu-
nemente chiamata auto-archiviazione. Se tali archivi
sono conformi agli standard sviluppati da Open Ar-
chives Initiative, allora i motori di ricerca e altri stru-
169
appendice
menti possono trattare i diversi archivi come se fosse
un unico archivio. Gli utenti non avrebbero pertanto
necessità di conoscere i singoli archivi e gli indirizzi
per recuperare e utilizzarne i contenuti.
II. Riviste open access: Gli studiosi hanno poi bi-
sogno di mezzi sia per lanciare una nuova genera-
zione di riviste impegnate nell’accesso aperto sia per
aiutare le riviste già esistenti che hanno optato per
la transizione all’accesso aperto. Dato che gli articoli
scientifici dovrebbero essere disseminati nel modo
più ampio possibile, queste nuove riviste non invo-
cheranno più il copyright per restringere l’accesso e
l’uso dei materiali pubblicati. Semmai utilizzeranno
il copyright e altri strumenti per assicurare l’acces-
so aperto permanente a tutti gli articoli pubblicati.
Considerato che il prezzo è un ostacolo all’accesso,
le nuove riviste non richiederanno costi di abbona-
mento né di accesso e adotteranno altri metodi per
coprire le spese. A tal scopo esistono molte fonti di
finanziamento alternative: fondazioni e governi che
finanziano la ricerca, università e laboratori che as-
sumono i ricercatori, e ancora, sovvenzioni da asso-
ciazioni scientifiche disciplinari o da istituzioni, e
ancora, amici della causa dell’accesso aperto, profitti
derivanti dalla vendita di allegati ai testi principali,
tutti fondi resi disponibili a seguito della cessazione
o della cancellazione di riviste che richiedono il tradi-
zionale abbonamento o le quote di accesso o perfino
contributi da parte degli stessi ricercatori. Ciascun
Paese o area disciplinare non dovrà privilegiare una
di queste soluzioni rispetto alle altre, né smettere di
cercare altre possibili alternative.
L’accesso aperto alla letteratura prodotta da riviste
peer-reviewed è l’obiettivo. I modi per ottenere tale
170
appendice
obiettivo sono l’auto-archiviazione (I) e una nuova
generazione di riviste ad accesso aperto (II). Si tratta
di strumenti diretti ed efficaci per raggiungere lo sco-
po e, inoltre, sono già a disposizione dei ricercatori
e pertanto non comportano l’attesa di cambiamenti
prodotti dai mercati o dalla legislazione. Noi soste-
niamo le due strategie appena illustrate ma incorag-
giamo anche la sperimentazione di ulteriori modi
per realizzare la transizione dai metodi attuali di
disseminazione all’accesso aperto. Flessibilità, speri-
mentazione e adattamento a specifiche locali, sono le
vie migliori per garantire un successo rapido, sicuro
e duraturo nei diversi contesti.
Open Society Institute, il network della fondazione
creata dal filantropo George Soros, si impegna a for-
nire l’aiuto iniziale e il finanziamento per realizzare
tale obiettivo. La fondazione farà ricorso alle sue ri-
sorse e alla sua influenza per estendere e promuovere
l’auto-archiviazione istituzionale, per lanciare nuove
riviste ad accesso aperto e per aiutare il sistema delle
riviste ad accesso aperto a diventare economicamen-
te autosufficiente. Anche se l’impegno e le risorse di
Open Society Institute sono notevoli, l’iniziativa ha
davvero bisogno dell’impegno e delle risorse di altre
organizzazioni.
Invitiamo governi, università, biblioteche, direttori
di riviste, editori, fondazioni, associazioni scientifi-
che, associazioni professionali e singoli studiosi che
condividono la nostra prospettiva, a unirsi a noi nel
compito di rimuovere le barriere all’accesso aperto
e costruire un futuro in cui la ricerca e l’istruzione
possano prosperare più liberamente in ogni parte del
mondo.
171
appendice
Dichiarazione di Berlino sull’accesso aperto alla
letteratura scientifica (2003)2
Premessa
Internet ha radicalmente modificato le realtà pra-
tiche ed economiche della distribuzione del sapere
scientifico e del patrimonio culturale. Per la prima
volta nella storia, Internet offre oggi l’occasione di
costituire un’istanza globale ed interattiva della cono-
scenza umana e dell’eredità culturale e di offrire la
garanzia di un accesso universale.
Noi, i firmatari, ci impegniamo ad affrontare le sfi-
de di Internet come mezzo funzionale emergente
per la diffusione della conoscenza. Siamo certi che
questi sviluppi saranno in grado di incidere signifi-
cativamente tanto sulla natura delle pubblicazioni
scientifiche quanto sul sistema esistente di valutazio-
ne della qualità scientifica.
In accordo con lo spirito della Dichiarazione della
Budapest Open Access Initiative, la Carta di ECHO e
il Bethesda Statement sull’Open Access Publishing,
abbiamo redatto la Dichiarazione di Berlino per pro-
muovere Internet quale strumento funzionale alla
conoscenza scientifica generale di base e alla specu-
lazione umana e per indicare le misure che le figu-
re dominanti nelle politiche di ricerca, le istituzioni
scientifiche, i finanziatori, le biblioteche, gli archivi
ed i musei devono tenere in considerazione.
2 Testo tratto da https://it.wikisource.org/wiki/Dichiarazione_
di_Berlino. Traduzione di Susanna Mornati (CILEA, Segrate) e
Paola Gargiulo (CASPUR, Roma).
172
appendice
Obiettivi
La nostra missione di disseminazione della cono-
scenza è incompleta se l’informazione non è resa
largamente e prontamente disponibile alla società.
Occorre sostenere nuove possibilità di disseminazio-
ne della conoscenza, non solo attraverso le modalità
tradizionali ma anche e sempre più attraverso il pa-
radigma dell’accesso aperto via Internet. Definiamo
l’accesso aperto come una fonte estesa del sapere
umano e del patrimonio culturale che siano stati vali-
dati dalla comunità scientifica.
Per mettere in pratica la visione di un’istanza glo-
bale ed accessibile del sapere, il Web del futuro dovrà
essere sostenibile, interattivo e trasparente. I conte-
nuti ed i mezzi di fruizione dovranno essere compa-
tibili e ad accesso aperto.
Definizione di contributi ad accesso aperto
1. Accreditare l’accesso aperto quale procedura meritevole
richiede idealmente l’impegno attivo di ogni e ciascun
produttore individuale di conoscenza scientifica e di cia-
scun depositario del patrimonio culturale. I contributi ad
accesso aperto includono le pubblicazioni di risultati ori-
ginali della ricerca scientifica, i dati grezzi e i metadati, le
fonti, le rappresentazioni digitali grafiche e di immagini
e i materiali multimediali scientifici. Ciascun contributo
ad accesso aperto deve soddisfare due requisiti:
2. L’autore(i) ed il detentore(i) dei diritti relativi a tale con-
tributo garantiscono a tutti gli utilizzatori il diritto d’ac-
cesso gratuito, irrevocabile ed universale e l’autorizza-
zione a riprodurlo, utilizzarlo, distribuirlo, trasmetterlo
e mostrarlo pubblicamente e a produrre e distribuire
173
appendice
lavori da esso derivati in ogni formato digitale per ogni
scopo responsabile, soggetto all’attribuzione autentica
della paternità intellettuale (le pratiche della comunità
scientifica manterranno i meccanismi in uso per impor-
re una corretta attribuzione ed un uso responsabile dei
contributi resi pubblici come avviene attualmente), non-
ché il diritto di riprodurne una quantità limitata di copie
stampate per il proprio uso personale.
Una versione completa del contributo e di tutti i ma-
teriali che lo corredano, inclusa una copia della auto-
rizzazione come sopra indicato, in un formato elettro-
nico secondo uno standard appropriato, è depositata (e
dunque pubblicata) in almeno un archivio in linea che
impieghi standard tecnici adeguati (come le definizio-
ni degli Open Archives) e che sia supportato e mante-
nuto da un’istituzione accademica, una società scienti-
fica, un’agenzia governativa o ogni altra organizzazio-
ne riconosciuta che persegua gli obiettivi dell’accesso
aperto, della distribuzione illimitata, dell’interoperabi-
lità e dell’archiviazione a lungo termine.
Sostenere la transizione verso il paradigma
dell’accesso aperto elettronico
Le nostre organizzazioni sono interessate all’ulte-
riore promozione del nuovo paradigma dell’accesso
aperto per offrire il massimo beneficio alla scienza e
alla società. Perciò intendiamo favorirne il progresso:
• incoraggiando i nostri ricercatori e beneficiari di finan-
ziamenti per la ricerca a pubblicare i risultati del loro la-
voro secondo i principi dell’accesso aperto;
174
appendice
• incoraggiando i detentori del patrimonio culturale a sup-
portare l’accesso aperto mettendo a disposizione le pro-
prie risorse su Internet;
• sviluppando i mezzi e i modi per valutare i contributi ad
accesso aperto e le pubblicazioni in linea, così da pre-
servare gli standard qualitativi della validazione e della
buona pratica scientifica;
• difendendo il riconoscimento delle pubblicazioni ad ac-
cesso aperto ai fini delle valutazioni per le promozioni e
l’avanzamento delle carriere;
• difendendo il merito intrinseco dei contributi ad un’infra-
struttura ad accesso aperto attraverso lo sviluppo di stru-
menti di fruizione, la fornitura di contenuti, la creazione
di metadati o la pubblicazione di articoli individuali.
Noi riconosciamo che il passaggio all’accesso aper-
to modifica la disseminazione della conoscenza nei
suoi aspetti legali e finanziari. Le nostre organizza-
zioni mirano a trovare soluzioni che sostengano fu-
turi sviluppi degli attuali inquadramenti legali e fi-
nanziarie al fine di facilitare l’accesso e l’uso ottimale.
Documento italiano a sostegno della Dichiarazione di
Berlino sull’accesso aperto alla letteratura accademica
(Gruppo di lavoro Open Access della CRUI, 2004)3
I CONVENUTI
CONSIDERATA l’importanza fondamentale che la dif-
fusione universale delle conoscenze scientifiche riveste
nella crescita economica e culturale della società;
3 Documento noto anche come Dichiarazione di Messina. Testo
tratto da https://it.wikisource.org/wiki/Dichiarazione_di_Messina.
175
appendice
VISTA l’esigenza avvertita in seno alle comunità
accademiche internazionali e negli Atenei italiani
di individuare forme alternative di diffusione della
comunicazione scientifica che garantiscano la più
ampia disseminazione e il più alto impatto scientifi-
co dei prodotti culturali creati al loro interno;
CONSIDERATE le numerose iniziative intraprese a
livello internazionale che hanno ravvisato nell’«ac-
cesso aperto » alla letteratura scientifica lo strumen-
to basilare nella disseminazione del patrimonio cul-
turale delle comunità accademiche e di ricerca;
VISTA la Dichiarazione di Berlino che, in armonia
con lo spirito della Dichiarazione della Budapest
Open Access Initiative, la Carta di ECHO e il Bethe-
sda Statement sull’Open Access Publishing, persegue
tra i suoi obiettivi il sostegno a «nuove possibilità di
disseminazione della conoscenza non solo attraverso
le modalità tradizionali ma anche e sempre più attra-
verso il paradigma dell’accesso aperto via Internet»;
CONSIDERATA l’importanza dei principi enunciati
e condivisi dai convenuti e l’alto profilo a livello in-
ternazionale delle istituzioni accademiche, di cultu-
ra e di ricerca firmatarie;
DICHIARANO
di aderire alla Dichiarazione di Berlino, «Berlin
Declaration on Open Access to Knowledge in the
Sciences and Humanities», a sostegno dall’accesso
aperto alla letteratura scientifica, con l’auspicio che
176
appendice
questo gesto costituisca un primo ed importante
contributo dato dagli Atenei italiani ad una più am-
pia e rapida diffusione del sapere scientifico.
Open Definition – Definizione di Conoscenza Aperta
(versione 2.0)4
La Definizione di Conoscenza Aperta precisa il si-
gnificato di “aperto” (open) rispetto alla conoscenza,
promuove beni comuni (commons) robusti a cui
chiunque può partecipare, ed offre una interopera-
bilità efficace.
Sommario: La conoscenza è aperta quando chiun-
que ha libertà di accesso, uso, modifica e condivisio-
ne ad essa – avendo al massimo come limite misure
che ne preservino la provenienza e l’apertura.
Il significato essenziale corrisponde con quello
di “aperto” rispetto al software, come nel caso della
Open Source Definition, dove è sinonimo di “libe-
ro” secondo quanto descritto dalla Definition of Free
Cultural Works. La Definizione di Conoscenza Aper-
ta originariamente derivava dalla Open Source Defi-
nition che a sua volta eredita il concetto dalle linee
guida Debian Debian Free Software Guidelines.
Il termine opera sarà utilizzato per indicare l’ogget-
to o l’elemento di conoscenza che viene trasferito.
4 Testo tratto da http://opendefinition.org/od/2.0/it/; traduzione
di Veronica Lipella e Maurizio Napolitano basata sull’opera di
Primavera De Filippi, Andrea Glorioso e Juan Carlos De Mar-
tin per il NEXA Center for Internet & Society del Politecnico
di Torino; l’opera è rilasciata sotto licenza Creative Commons
Attribution 4.0 International (https://creativecommons.org/li-
censes/by/4.0/).
177
appendice
Il termine licenza si riferisce alla licenza in base alla
quale l’opera è resa disponibile. Nel caso in cui non sia
stata concessa alcuna licenza, ci si riferisce alle norma-
li condizioni giuridiche a cui il l’opera è soggetta (per
esempio il copyright o dominio pubblico).
1. Opera aperta
Un’ opera aperta deve soddisfare i seguenti requisi-
ti nella sua distribuzione:
1.1 Licenza aperta
L’ opera deve essere disponibile con una licenza
aperta (come definito nella Sezione 2). Qualsia-
si condizione aggiuntiva che accompagna l’opera
(come condizioni d’uso o brevetti del licenziatario)
non deve contraddire le condizioni della licenza.
1.2 Accesso
L’ opera deve essere disponibile nella sua interezza
ed a un costo di riproduzione ragionevole, preferi-
bilmente tramite il download gratuito via Internet.
Qualsiasi informazione aggiuntiva vincolata dalla
licenza (come i nomi dei contributori richiesti nel
caso del requisito di attribuzione) deve accompa-
gnare l’opera.
1.3 Formato aperto.
L’ opera deve essere fornita in un formato oppor-
tuno e modificabile che non ponga inutili ostacoli
tecnologici allo svolgimento dei permessi forniti
dalla licenza. Nello specifico, i dati devono essere
machine-readable (processabili da una macchina),
disponibili in massa (bulk) e messi a disposizione
in un formato aperto, vale a dire un formato le cui
178
appendice
specifiche siano pubblicamente e liberamente di-
sponibili e che non imponga nessuna restrizione
economica o di altro tipo al suo utilizzo o che alme-
no, come caso estremo, possa essere elaborato da
almeno un software libero.
2. Licenze aperte
Una licenza è aperta se i suoi termini soddisfano le
seguenti condizioni:
2.1 Autorizzazioni necessarie
La licenza deve irrevocabilmente permettere le se-
guenti condizioni:
2.1.1 Uso
La licenza deve permettere il libero uso dell’opera
licenziata.
2.1.2 Ridistribuzione
La licenza non deve imporre alcuna limitazione
alla vendita o all’offerta gratuita dell’opera singo-
larmente considerata o come parte di un pacchet-
to composto da opere provenienti da fonti diverse.
2.1.3 Modifiche
La licenza deve consentire la realizzazione di
modifiche e di opere derivate e deve consentire
la loro distribuzione agli stessi termini dell’opera
originaria.
2.1.4 Separazione
La licenza deve consentire a qualsiasi parte dell’o-
pera di essere liberamente usata, distribuita o
modificata separatamente da qualsiasi altra parte
dell’opera o da qualsiasi pacchetto di opere con
cui era originariamente distribuita. Tutte le per-
179
appendice
sone a cui il lavoro viene ridistribuito devono ave-
re gli stessi diritti concessi in congiunzione con il
pacchetto originario.
2.1.5 Compilazione
La licenza non deve imporre restrizioni su altre
opere distribuite insieme all’opera licenziata. Per
esempio, la licenza non deve insistere sul fatto
che tutte le altre opere distribuite sullo stesso
supporto siano aperte.
2.1.6 Non discriminazione
La licenza non deve discriminare alcuna persona
o gruppo di persone.
2.1.7 Distribuzione
I diritti relativi all’opera devono essere applicati a
tutti coloro a cui è ridistribuita senza la necessità
di accettare altri termini legali aggiuntivi.
2.1.8 Uso per qualsiasi scopo
La licenza deve permettere l’uso, la ridistribuzio-
ne, modifica e compilazione per qualsiasi scopo.
La licenza non deve impedire a nessuno di utiliz-
zare l’opera in un determinato settore d’attività.
2.1.9 Nessun addebito
La licenza non deve imporre nessuna spesa di atti-
vazione, royalty o altre compensazioni o remunera-
zioni monetarie, come parte delle sue condizioni.
2.2 Condizioni accettabili
La licenza non deve limitare, rendere insicuro o ri-
durre le autorizzazioni obbligatorie nelle Sezione
2.1 eccetto nelle seguenti condizioni:
2.2.1 Attribuzione
180
appendice
La licenza può richiedere nella distribuzione di
citare contributori, titolari dei diritti, sponsor e
creatori dell’opera purché tali obblighi non siano
onerosi.
2.2.2 Integrità
La licenza può richiedere, come condizione per-
ché l’opera venga distribuita in forma modificata,
che l’opera derivata abbia un nome o un numero
di versione diverso dall’opera originaria.
2.2.3 Condividi allo stesso modo
La licenza può richiede a chi genera contenuti da
un prodotto di rilasciare i derivati con le stesse
condizioni dell’originale.
2.2.4 Avviso
La licenza può richiedere il mantenimento delle
notifiche di (copyright) e l’identificazione della li-
cenza originale.
2.2.5 Sorgente
La licenza può richiedere che opere modificate
siano rese disponibili in un formato adatto per
future modifiche.
2.2.6 Assenza di restrizioni tecnologiche
La licenza può proibire la distribuzione dell’opera
quando ci sono condizioni tecnologiche che im-
pongo restrizioni all’esercizio dei diritti in altro
caso concessi.
2.2.7 Non aggressione
La licenza può richiedere modifiche che conce-
dano permessi pubblici aggiuntivi (per esempio,
brevetti di licenza) come richiesto per l’esercizio
dei diritti accompagnati dalla licenza. La licenza
può inoltre permettere autorizzazioni di non ag-
181
appendice
gressione contro i licenziatari rispetto all’esercita-
re qualsiasi altro diritto permesso (nuovamente,
ad esempio, contenziosi sui brevetti).
Le norme giuridiche italiane in materia di Open
Access
Riportiamo l’articolo “Accesso aperto in Italia: tra
sogno e realtà” di Antonella De Robbio pubblicato per
la prima volta su “Vedianche - Notiziario della Sezione
Ligure dell’Associazione Italiana Biblioteche” nel 2013.
L’articolo ci offre una completa ricostruzione del quadro
normativo italiano in materia di Open Access e lo com-
menta ponendolo a confronto con quello tedesco.5
Uno sguardo retrospettivo e la necessità di una norma
A distanza di nove anni dalla Dichiarazione di
Messina6 formulata per promuovere l’adesione delle
università italiane alla ”Dichiarazione di Berlino per
l’accesso aperto alla letteratura scientifica”7, l’Italia si
è finalmente dotata di una “Legge OA” sull’accesso
aperto alla ricerca. La Legge 7 ottobre 2013, n. 1128 –
5 La versione originale dell’articolo è disponibile all’indirizzoht-
tp://leo.cilea.it/index.php/vedianche/article/view/9418/8594;
l’opera è rilasciata sotto licenza Creative Commons Attribution
3.0 unported (https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/).
6 Sottoscritta nel novembre 2004 da un nucleo di atenei che nel
corso di questo decennio si è allargato fino a comprendere 71
atenei italiani e circa una ventina di centri di ricerca italiani.
7 Una versione italiana della Dichiarazione di Berlino per l’accesso
aperto alla letteratura scientifica si trova sul sito del Max-Planck In-
stitute http://openaccess.mpg.de/67682/BerlinDeclaration_it.pdf.
8 Testo del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (in Gazzetta Ufficia-
le - serie generale - n. 186 del 9 agosto 2013), coordinato con la
182
appendice
di conversione del Decreto Legge 9 agosto 2013 n. 91
“Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione
e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del tu-
rismo” – che introduce l’open access come percorso
“obbligato” nelle ricerche finanziate con fondi pub-
blici, è ormai una realtà e l’impatto in termini orga-
nizzativi che deriva dalla sua applicazione avrà riper-
cussioni di una certa rilevanza negli ambienti biblio-
tecari. Sebbene sia arduo definire “legge” il disposto
normativo in questione, si tratta comunque di una
novità piuttosto rilevante da accogliere con favore, sia
dal punto di vista formale sia da quello organizzativo.
Nel corso di questo decennio la comunità scientifica
accademica da più parti aveva in più modi riconosciu-
to l’importanza dell’accesso pieno e aperto alle infor-
mazioni e ai dati: tramite l’organizzazione di una serie
di iniziative che si sono collocate a vario livello entro le
istituzioni e attraverso l’attuazione di attività concrete
che hanno preso corpo entro gruppi di lavoro naziona-
li e locali. Tali attività in particolare hanno prodotto un
background tecnico di archivi aperti istituzionali (in-
stitutional repository IR)9 ben consolidati entro un’in-
frastruttura organizzativa che poggia sulle solide basi
dell’interoperabilità del protocollo OAI-PMH. A corre-
do in questi anni il gruppo Open Access della CRUI10
ha elaborato anche tutta quella documentazione – rac-
legge di conversione 7 ottobre 2013, n. 112 (in questa stessa Gaz-
zetta Ufficiale alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti per
la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivita’
culturali e del turismo.». (13A08109) (GU Serie Generale n.236
del 8-10-2013)
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglio-
Atto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2013-10-08&atto.
codiceRedazionale=13A08109&elenco30giorni=true.
9 Gli archivi aperti istituzionali in Italia sono circa 90.
10 http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=894.
183
appendice
comandazioni, linee guide, regolamenti, politiche e
piani di sviluppo – indispensabile ad una corretta con-
divisione di buone prassi al fine di ottimizzare tempi,
risorse e processi, generando tutto quel know-how uti-
le a creare un fervido movimento italiano in connes-
sione con l’Europa.
A questo punto c’era bisogno di una norma che una
volta per tutte sancisse – entro un quadro normativo
– la necessità di rendere disponibili in accesso aperto
i risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici.
Punti di forza e punti di debolezza della norma
In Italia la clausola è collocata entro un quadro nor-
mativo che si riferisce ai beni culturali. Il disposto
infatti è collocato entro l’art. 4 del cosiddetto Decreto
“valore-cultura” che è formalmente intitolato “Dispo-
sizioni urgenti per favorire lo sviluppo delle bibliote-
che e degli archivi e per la promozione della recita-
zione e della lettura”, come se l’accesso aperto possa
favorire l’accrescimento delle biblioteche piuttosto
che della ricerca. Semmai saranno le biblioteche che
attraverso gli strumenti e le vie dell’accesso aperto
possono favorire lo sviluppo della ricerca.
Articolo 4, commi 2, 3 e 4 (testo coordinato) legge 112/2013
2. I soggetti pubblici preposti all’erogazione o alla ge-
stione dei finanziamenti della ricerca scientifica adot-
tano, nella loro autonomia, le misure necessarie per la
promozione dell’accesso aperto ai risultati della ricerca
finanziata per una quota pari o superiore al 50 per cen-
to con fondi pubblici, quando documentati in articoli
pubblicati su periodici a carattere scientifico che abbiano
almeno due uscite annue. I predetti articoli devono inclu-
184
appendice
dere una scheda di progetto in cui siano menzionati tut-
ti i soggetti che hanno concorso alla realizzazione degli
stessi. L’accesso aperto si realizza:
a) tramite la pubblicazione da parte dell’editore, al
momento della prima pubblicazione, in modo tale che
l’articolo sia accessibile a titolo gratuito dal luogo e nel
momento scelti individualmente;
b) tramite la ripubblicazione senza fini di lucro in
archivi elettronici istituzionali o disciplinari, secondo le
stesse modalità, entro diciotto mesi dalla prima pubblica-
zione per le pubblicazioni delle aree disciplinari scienti-
fico-tecnico-mediche e ventiquattro mesi per le aree disci-
plinari umanistiche e delle scienze sociali.
2-bis. Le previsioni del comma 2 non si applicano quan-
do i diritti sui risultati delle attività di ricerca, sviluppo
e innovazione godono di protezione ai sensi del codice di
cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30;
3. Al fine di ottimizzare le risorse disponibili e di faci-
litare il reperimento e l’uso dell’informazione culturale e
scientifica, il Ministero dei beni e delle attività culturali
e del turismo e il Ministero dell’istruzione, dell’università
e della ricerca adottano strategie coordinate per l’unifi-
cazione delle banche dati rispettivamente gestite, quali
quelle riguardanti l’anagrafe nazionale della ricerca, il
deposito legale dei documenti digitali e la documentazio-
ne bibliografica
4. Dall’attuazione delle disposizioni contenute nel
presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica. Le pubbliche am-
ministrazioni interessate provvedono con le risorse uma-
ne, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione
vigente.
185
appendice
Certo sarebbe stato opportuno un richiamo alla leg-
ge sul diritto d’autore, norma di rango molto forte
in Europa e anche in Italia, collocata in alto entro la
gerarchia delle fonti normative. Meglio sarebbe stato
prevedere una specifica eccezione inserita nel capi-
tolo V della legge italiana sul diritto d’autore, che si
riferisce alle eccezioni, formulazioni obsolete che at-
tualmente lasciano poco spazio alla libera ricerca e
didattica.
Inoltre una norma sull’accesso aperto alla ricerca
avrebbe dovuto essere incardinata entro una legge
emanata dal ministero competente per la ricerca, il
MIUR, Ministero dell’Università e della Ricerca e non
collocata in un articolo – in modo piuttosto casuale –
che riguarda i beni museali. Se poi si considera che i
commi che riguardano l’OA sono posti in seguito ad
un primo comma che riguarda la lettura nelle biblio-
teche pubbliche delle opere letterarie, questo la dice
lunga sulla confusione concettuale di chi ha formula-
to l’intero articolo: lettura nelle biblioteche pubbliche
in parallelo con la possibilità di una “lettura pubblica”
di articoli scientifici. Chi volesse andare a vedere gli
emendamenti al Senato si accorgerebbe con sgomen-
to come l’idea di accesso aperto sia – in quella sede
– totalmente stravolta nel suo significato più profondo
e come in certi casi si siano approvati emendamen-
ti volti a cambiare il significato di termini tecnici che
avevano un loro specifico significato semantico a favo-
re di terminologie sui generis che comporteranno non
poche difficoltà in termini di applicazioni pratiche11.
11 Ci si riferisce al termine “unificazione” cambiato a seguito di un
emendamento votato dalla maggioranza. Al comma 3, sostituire
le parole: «la piena integrazione, interoperabilità e non duplica-
zione» con le seguenti: «l’unificazione».
186
appendice
In particolare le critiche sono sorte in riferimento
all’allungamento posto al periodo di embargo che nel
testo normativo è fissato in 18 mesi per le pubblica-
zioni delle aree scientifico-tecnico-mediche e 24 mesi
per le aree umanistiche e delle scienze sociali, un pe-
riodo molto distante dai 6/12 mesi richiesti dalle rac-
comandazioni europee del 12 luglio 201212. L’embar-
go è un periodo di tempo – stabilito dalle politiche di
ciascun editore e per ciascuna rivista - durante il qua-
le il lavoro depositato in un respository istituzionale
risulta secretato ed accessibile solo per la parte dei
metadati. Mantenere un embargo più lungo rispetto
ad altri Paesi comporterebbe un tasso di citazioni più
basso per le pubblicazioni degli autori italiani, una
restrizione che non gioverebbe di certo, in termini di
impatto, alla ricerca del nostro Paese, soprattutto in
vista dei recenti e futuri esercizi della ricerca in Italia.
Un altro punto debole sta nella mancanza di riser-
vare un finanziamento adeguato, criticità che deno-
ta la mancanza di una volontà politica che davvero
promuova e attui l’accesso aperto. La norma infatti
dispone che non ci debbano essere nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica.
Ma come ci dice Roberto Caso, giurista a Trento “il
confine della formalizzazione legislativa del princi-
pio è oramai varcato ed è possibile solo muoversi ol-
tre: applicando il dettato della legge” anche se la for-
mulazione finale non è la migliore possibile e quindi
anche la conseguente applicazione pratica potrebbe
comportare dubbi, incertezze, ambiguità in quanto il
disposto “costituisce un’applicazione molto parziale
12 Antonella De Robbio, Lo spazio aperto della conoscenza, Il Bo 3
ottobre 2012 http://www.unipd.it/ilbo/content/lo-spazio-aper-
to-della-conoscenza.
187
appendice
della politica europea in materia di Open Access e
mischia elementi (non i migliori) presi dai vari mo-
delli legislativi di riferimento”13.
Il confronto con la norma tedesca
In termini di confronto con la parallela norma te-
desca, va innanzi tutto osservata la semplice linearità
del disposto normativo tedesco – rispetto alla contor-
ta formulazione italiana - il quale, come sottolinea
Maria Chiara Pievatolo è volto alla piena tutela degli
autori contro i soprusi degli oligopoli. “Non obbliga
all’OA, ma libera gli autori, usando sottilmente il di-
ritto, originario, dell’autore contro quello, derivato,
dell’editore. Visto che la retorica dei sostenitori del
copyright si fonda sempre sui poveri autori e mai sui
ricchi editori, il legislatore tedesco spunta sottilmen-
te quest’arma: Der Teufel steckt im Detail :-)”14.
L’autore di un contributo scientifico che ha avuto
origine nell’ambito di un’attività di ricerca e insegna-
mento finanziata almeno per metà da fondi pubblici
ed è pubblicato in una collezione che esce periodica-
mente almeno due volte l’anno ha il diritto - anche
se ha concesso all’editore o al curatore un diritto d’u-
so esclusivo – di rendere pubblicamente accessibile,
dopo la scadenza di dodici mesi dalla prima pubbli-
cazione, il contributo nella versione del manoscritto
accettato, fin tanto che non serva a uno scopo com-
13 Roberto Caso, La legge italiana sull’Open Access. Uno sguardo
dall’interno, Il Bo 28 ottobre 2013 http://www.unipd.it/ilbo/con-
tent/la-legge-italiana-sullopen-access-uno-sguardo-dallinterno.
14 L’accesso aperto è legge – in Germania di Maria Chiara Pievatolo
http://minimacademica.wordpress.com/2013/09/20/lacces-
so-aperto-e-legge-in-germania/.
188
appendice
merciale. La fonte della prima pubblicazione deve
essere indicata. Un accordo divergente a detrimento
dell’autore è senza effetto.
In effetti la formulazione tedesca racchiude due nu-
clei ben congegnati tra loro:
responsabilizza gli autori che a questo punto - libe-
rati dai legacci di contratti editoriali che li obbligano
a cessioni dei diritti per i soliti noti motivi - hanno
il diritto di rendere pubblicamente accessibili i loro
lavori ... se non lo fanno non possono dire che è colpa
degli editori;
obbliga le istituzioni a dotarsi di un regolamento,
considerato che comunque un ateneo o un’istituzio-
ne di ricerca deve avere uno strumento regolamenta-
re in materia e in tale direzione potrebbe usare man-
dati anche forti con i propri afferenti, non solo sug-
gerendo o promuovendo ma anche citando la norma
governativa...
Oltre all’embargo più breve nella norma tedesca, c’è
anche l’affermazione esplicita della nullità dei patti
contrari, che rafforza il diritto dell’autore e questo
non è un dettaglio di poco conto considerata la forte
impronta europea del diritto morale entro il diritto
d’autore.
Dal punto di vista del campo di applicazione en-
trambe le norme si riferiscono ai soli articoli pubbli-
cati su periodici a carattere scientifico (non divulga-
tivi) “che abbiano almeno due uscite annue”. Le mo-
nografie restano pertanto escluse, per ora, dalla sfera
dell’Open Access, ma questa scelta può avere delle
valide ragioni riconducibili a vari fattori, tra i quali le
stesse finalità didattiche e non scientifiche dell’opera,
o il fatto che alcune monografie generano profitti per
gli autori o ancora il fatto che sussistono difformità
189
appendice
anche sensibili nei regolamenti per le pubblicazioni
scientifiche nei vari atenei che finanziano – tramite i
dipartimenti – monografie dei loro afferenti.
Cosa dovremo fare da ora in avanti
Raggiungere questo risultato non è stato facile. È
stata una battaglia durissima, decine di salti ad ostaco-
lo tra emendamenti posti da ogni schieramento poli-
tico - in sede di dibattito parlamentare al Senato - che
alla fine hanno comportato un testo che è stato molto
difficile poter raddrizzare. Quasi impossibile cercare
di portare a casa un risultato migliore come invece ha
fatto la Germania dove la clausola OA sta dentro una
legge emanata dal ministero della ricerca. Ma il risul-
tato va accolto positivamente e deve essere ricondotto
e riadattato entro un contesto tutto italiano che si è
evoluto seppur lentamente, in modo costante. Anche
perché per fortuna, all’ultimo momento – alla Came-
ra in fase di conversione del decreto – Ilaria Capua e
Stefano Quintarelli hanno sottoscritto una richiesta
di modifica, accettata come impegno del Governo15,
di riallineare la neonata norma italiana al periodo di
embargo suggerito dalle Raccomandazioni europee.
Il legislatore italiano, come quello tedesco, lascia
comunque libera scelta di usare una delle due vie
previste dall’Open Access, ma mentre nel disposto
tedesco usa un generico “rendere pubblicamente ac-
cessibile”, il legislatore italiano indica espressamente
le due vie (aurea e verde) come realizzazioni dell’ac-
cesso aperto:
• tramite la pubblicazione da parte dell’editore, al momen-
to della prima pubblicazione, in modo tale che l’articolo
15 Qui il testo della mozione Capua/Quintarelli
http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.
asp?highLight=0&idAtto=7498&stile=7.
190
appendice
sia accessibile a titolo gratuito dal luogo e nel momento
scelti individualmente;
• tramite la ripubblicazione senza fini di lucro in archivi
elettronici istituzionali o disciplinari, secondo le stesse
modalità.
Alla fine, una norma – anche se non perfetta – ser-
ve come richiamo a chi non vuol sentire, è una chiara
risposta a chi non vuole porsi domande sul perché – a
seguito di un finanziamento pubblico – i risultati del-
la sua ricerca non possano essere aperti e disponibili
ad essere testati da altri gruppi di ricerca, in modo
indipendente.
In particolare ci sarà da lavorare in modo trasparen-
te e coordinato a livello nazionale alla redazione di
policy e regolamenti entro le istituzioni che devono
essere emanati al più presto. Sarà necessario come
primo step prevedere degli obblighi di deposito di tut-
ti i risultati delle ricerche prodotti dai Programmi di
Ricerca Universitari di Interesse Nazionale (PRIN)16
e alle ricerche svolte grazie al Fondo per gli Investi-
menti della Ricerca di Base (FIRB)17 dotando gli ar-
chivi aperti dell’apposito modulo per il caricamento
dei paper entro i repository. Un altro aspetto fonda-
mentale è quello di nominare un referente tecnico
per l’Open Access in ogni istituzione di modo che vi
sia un collegamento pratico (e non solo di facciata) al
network nazionale che deve avere una struttura agile
e snella. La trasparenza nelle licenze deve essere po-
sta come una priorità, ma deve esserci una consape-
16 I PRIN hanno sostituito la forma di finanziamento della Ricerca
Universitaria, nota come MURST 40%.
17 Istituito dalla legge finanziaria 2001 (art. 104) con l’obiettivo di
rendere disponibile uno strumento di sostegno finanziario spe-
cificamente destinato alla ricerca di base.
191
appendice
volezza concreta ed efficace di quello che comporta
l’adozione di una licenza piuttosto che un’altra. Un
tema caldo, strettamente connesso, è quello dei dati
aperti alla ricerca, proprio perché nel contesto dell’O-
pen Access il libero accesso ai dati primari prodotti
nell’ambito della ricerca scientifica e finanziati da
fondi pubblici è innanzitutto un problema etico.
Altri documenti importanti di cui si consiglia la
lettura
• L’iniziativa di Budapest per l’accesso aperto, dieci anni
dopo (2012)18
• Free Cultural Works Definition – Definizione di Opere
Culturali Libere19
• Manifesto del Pubblico Dominio20
18 Documento disponibile in traduzione italiana all’indirizzo
www.budapestopenaccessinitiative.org/boai-10-translations/
italian-translation.
19 Documento disponibile in traduzione italiana all’indirizzo
http://freedomdefined.org/Definition/It.
20 Documento disponibile in traduzione italiana all’indirizzo
www.publicdomainmanifesto.org/italian.
192
Gli autori
Simone Aliprandi ha un dottorato in Società
dell’Informazione ed è un avvocato che si occupa
da circa quindici anni delle nuove frontiere per il
diritto d’autore e in generale delle nuove sfide per
il diritto nell’era digitale. Svolge regolarmente attiv-
ità di consulenza e formazione in questo settore e
ha all’attivo diverse pubblicazioni sui temi a lui più
cari, tutte diffuse con licenze open. Maggiori infor-
mazioni sul suo sito www.aliprandi.org.
Nicola Cavalli è dottore di ricerca in Società dell’In-
formazione, socio e amministratore di Ledi Inter-
national Bookseller, socio e direttore editoriale di
Ledizioni, senior member dell’Osservatorio sui
Nuovi Media dell’Università di Milano Bicocca,
presidente dell’associazione culturale Librinnovan-
do. Svolge attività di consulenza e formazione nel
settore editoriale e delle nuove tecnologie applicate
all’apprendimento.
Elena Giglia è responsabile dell’Unità di progetto
Open Access dell’Università di Torino. Svolge una
intensa attività di formazione e promozione su log-
iche e vantaggi dell’accesso aperto e sulla comu-
nicazione scientifica, temi sui quali ha pubblicato
numerosi contributi. È membro del Gruppo di la-
voro “Open Access” della CRUI e di AISA, l’Asso-
ciazione Italiana per la promozione della Scienza
Aperta. Partecipa a convegni nazionali e internazi-
onali e a workshop europei su Open Access e Open
Science.
Valeria Scotti ha una laurea in Scienze Politiche e
lavora presso il Centro di Documentazione Scienti-
fica dell’IRCCS San Matteo di Pavia. In questi anni
ha tenuto in diversi corsi sugli indicatori bibliomet-
rici, social media, e su vari argomenti in materia
di biomedicina. Appassionata delle metriche alter-
native dal 2015 è diventata Altmetrics Ambassador.
Partecipa attivamente in varie associazioni quali
BIBLIOSAN, GIDIF RBM, SBBL e EAHIL.
Ivana Truccolo ha una laurea in sociologia, con
perfezionamento in sociologia sanitaria, e una for-
mazione in biblioteconomia con master in gestione
e direzione di biblioteche. Opera nel settore dell’in-
formazione biomedica dal 1984 ed è responsabile
della biblioteca scientifica e per pazienti dell’IRCCS
Centro di Riferimento Oncologico di Aviano. E’
particolarmente interessata e appassionata ai vari
aspetti della ricerca in biomedicina, inclusa la valu-
tazione, e alla diffusione dell’informazione di qual-
ità a pazienti e cittadini. Fa parte attiva di associazi-
oni quali AIB, GIDIF RBM e EAHIL.