Plaintext
Il Fenomeno Open Data
INDICAZIONI E NORME PER
UN MONDO DI DATI APERTI
A CURA DI SIMONE ALIPRANDI
Ledizioni ● Milano
Questo libro è frutto del mash-up di articoli e documenti già pubblicati e rilasciati
con licenze di libera ridistribuzione. La scelta dei materiali e la loro rielaborazione
sotto forma di unico libro è stata curata da Simone Aliprandi. Ogni parte
utilizzata mantiene il suo status di copyright originario con la rispettiva licenza.
Dettagli in tal senso sono indicati nell’apposita sezione “Copyright e credits”.
ISBN cartaceo: 978-88-6705-168-7
ISBN versione ePub: 978-88-6705-167-0
Il volume è disponibile in Open Access ed acquistabile nelle versioni ePub e
cartacee a cura di Ledizioni
Sommario
Copyright e credits vii
Prefazione
di Morena Ragone 1
1. Open data: un'introduzione 5
2. Il particolare regime di tutela delle banche dati 25
3. I principali risvolti giuridici della public sector information
41
4. Il licensing di dati in modalità open 69
Appendice - Open Data Licensing (presentazione a slides) 83
Per approfondire 95
v
Copyright e credits
Questo libro è frutto del mash-up di articoli e documenti già
pubblicati e rilasciati con licenze di libera ridistribuzione.
La scelta dei materiali e la loro rielaborazione sotto forma di
unico libro è stata curata da Simone Aliprandi.
Si riportano di seguito le fonti originarie delle varie parti, con
i rispettivi link e dati sul copyright.
Il Capitolo 1 è tratto dal documento “Open Data Handbook”
redatto dalla Open Knowledge Foundation e disponibile in
versione italiana al sito http://opendatahandbook.org/it/. L’opera
originaria è rilasciata con licenza Creative Commons Attribution
3.0 (Unported).
Il Capitolo 2 è tratto dall’articolo “Open licensing e banche
dati” di Simone Aliprandi, pubblicato sulla rivista “Informatica
e diritto” (n. 1-2/2011) e disponibile al sito
http://aliprandi.blogspot.it/2013/02/open-licensing-e-banche-
dati.html. L’opera originaria è rilasciata con licenza Creative
Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.
Il Capitolo 3 è tratto principalmente dal documento “Analisi
delle policies di condivisione dei dati spaziali. Un inquadramento
giuridico del tema open (geo)data” redatto da Simone Aliprandi
e Carlo Piana per il Progetto FreeGIS.net e disponibile al sito
http://aliprandi.blogspot.it/2013/06/freegis-D51-inquadramento-
vii
viii Il Fenomeno Open Data
giuridico.html. Il documento originario è rilasciato con licenza
Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo
3.0 Italia. Il paragrafo 7 del Capitolo 3 è in parte tratto dal
vademecum “Open Data. Come rendere aperti i dati delle
pubbliche amministrazioni” curato da Formez PA e rilasciato
nell’ottobre 2011. La fonte originaria è disponibile al sito
http://focus.formez.it/content/vademecum-open-data-come-
rendere-aperti-dati-delle-pubbliche-amministrazioni ed è
rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi
allo stesso modo 3.0 Italia.
Il Capitolo 4 è tratto principalmente dal documento
“FreeGIS.net Data License. Indicazioni per la scelta e l’applicazione
della licenza più adatta al rilascio di dati spaziali (da parte di
enti pubblici)” redatto da Simone Aliprandi e Carlo Piana per
il Progetto FreeGIS.net e disponibile al sito
http://aliprandi.blogspot.it/2013/07/freegis-D52-D54-license-
it.html. Il documento originario è rilasciato con licenza Creative
Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.
L’immagine di copertina è stata tratta dall’account Flickr di
Michael Mandiberg ed è rilasciata con licenza Creative Commons
Attribution – Share Alike (vedi url originario: www.flickr.com/
photos/theredproject/3332644561/).
La pagina web ufficiale relativa a questo libro è
www.aliprandi.org/fenomeno-opendata.
Prefazione
di Morena Ragone
Sono stati anni importanti, questi ultimi, per il movimento open
data italiano.
A partire dalla data, simbolica, del 18 ottobre 2011, con
l’inaugurazione del portale italiano dei dati aperti – dati.gov.it –
passi avanti ne sono stati fatti tanti.
Un iter di poco più di due anni che ha visto, tra le tappe
miliari, la riforma degli articoli 52 e 68 del Codice
dell’amministrazione Digitale – con l’introduzione, nel nostro
ordinamento, del principio dell’”Open Data by default” sul
patrimonio informativo pubblico e di una definizione di “formato
di dati di tipo aperto”, perfettamente compiuta nei suoi tre
elementi giuridico, tecnico ed economico – la riforma della Public
Sector Information directive 2003/98/CE ad opera della direttiva
2013/37/UE – con la valorizzazione dell’enorme patrimonio
culturale europeo – ma, soprattutto ed al di là dei cambiamenti
normativi – che, da giurista, non posso fare a meno di notare
ed apprezzare – la nascita di una forte ed articolata community
attorno ai dati aperti.
Radicata su una serie di realtà ormai ben presenti sulla scena
nazionale e non solo – penso a Spaghetti Open Data (SOD), ma
anche al gruppo organizatore dell’Open Data Day italiano, alla
comunità di Open Street Map quanto alle nuove, piccole ed
1
2 Il Fenomeno Open Data
entusiaste realtà locali – la community è diventata il vero valore
aggiunto della scena open data italiana.
Ce ne siamo accorti già all’inizio del 2013, a Bologna, quando,
nell’ambito del primo raduno organizzato da SOD, l’hackathon
giuridico sulla revisione della PSI scoreboard – un questionario
tecnico giuridico che attribuisce un punteggio ai membri UE in
ragione di una pluralità di parametri valutativi dell’impatto e della
diffusione dei dati aperti all’interno del Paese – ci ha mostrato una
realtà fatta di studio, norme, riforme, ma, soprattutto, di attivismo
e di gruppi locali, di competenze in rete e di condivisione.
In una parola: openness, un substrato fortemente impiantato
sul territorio, quasi completamente misconosciuto, costituito da
tanti soggetti che finiscono, singolarmente presi, per fare da
insiders all’interno delle singole realtà in cui vivono e lavorano,
e che sono direttamente coinvolti da questo processo di
cambiamento.
Un cambiamento che è tecnico, giuridico, culturale e che,
come ogni cosa bella e plurisfaccettata richiede un processo lungo
e complesso.
Ovviamente, è un processo che, per definizione, può avere un
punto di partenza convenzionale, ma è privo di punto di arrivo, un
processo in fieri.
E visto che “non c’è cammino troppo lungo per chi cammina
lentamente, senza sforzarsi; non c’è meta troppo alta per chi vi si
prepara con la pazienza” (la citazione è di Jean de La Bruyère, I
caratteri, 1688), possiamo dire di essere sulla buona strada.
Ma veniamo alle note dolenti, che, se conosco bene l’autore di
questa pubblicazione, non mancheranno di essere evidenziate: non
più la penuria di dati – grazie, anche, al decreto “trasparenza” del
14 marzo 2013, n. 33, per diversi aspetti fuorviante nell’associare
trasparenza e dati aperti fino a renderli un binomio inscindibile,
come in più occasioni e sedi ho rilevato, ma sicuramente avente
Prefazione 3
l’indubbio pregio di obbligare le Pubbliche Amministrazioni a
pubblicare molti dataset in formato di dati di tipo aperto ai sensi
della nuova definizione del Codice – ma il loro scarso utilizzo per
le finalità specifiche cui è finalizzato l’open data. Non (solo e non
tanto) trasparenza, quindi, ma riutilizzo dei dati come vera chiave
di volta, al tempo stesso, dello sviluppo economico e sociale del
Paese.
Crescita, quindi, in tutte le accezioni possibili: la vera sfida
dei prossimi anni sarà sì quella di trasformare questa valanga
di dati in servizi, ma, soprattutto, quella di far crescere in tutti
gli attori coinvolti – pubblico, privati, profit, terzo settore – la
consapevolezza del valore di questi dati e della necessità della loro
condivisione finalizzata al riutilizzo.
Anche, ovviamente, al di là dei singoli obblighi normativi.
1. Open data:
un'introduzione
1. Introduzione
Conosci esattamente quanta parte delle tue tasse è destinata
all’illuminazione stradale o alla ricerca contro il cancro? Qual’è
l’itinerario più breve, sicuro e panoramico per raggiungere in bici
il tuo ufficio da casa? E cosa c’è nell’aria che respiri durante il
tragitto? Dove troverai le migliori opportunità di lavoro nella tua
regione, e dove il maggior numero di alberi da frutta pro-capite?
Quand’è che puoi influenzare attivamente le decisioni sui temi che
ti stanno più a cuore e con chi dovresti parlarne?
Le nuove tecnologie permettono di creare servizi per
rispondere automaticamente a queste domande. Molti dei dati
necessari a rispondere a queste questioni sono in effetti prodotti da
organismi pubblici. Tuttavia spesso tali dati non sono disponibili
in formati che li rendano facili da manipolare. Questo manuale
vuole proporre una via per estrarre il potenziale dei dati ufficiali
e di altre informazioni e rendere così possibili nuovi servizi,
5
6 Il Fenomeno Open Data
migliorare la vita dei cittadini e far funzionare più efficientemente
governi e società.
La nozione di dati aperti – open data, e più specificatamente
dati aperti del settore pubblico – open government data, intesa
come informazione, pubblica o no, accessibile e riutilizzabile da
chiunque e per qualunque fine, è utilizzata da diversi anni. L’uso
comune del concetto inizia nel 2009, quando diversi governi (come
gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito, il Canada e la Nuova
Zelanda) hanno annunciato nuove iniziative per l’apertura della
loro informazione pubblica.
Il presente manuale intende spiegare i concetti di base degli
‘open data’, specialmente in relazione ai governi. Si propone di
illustrare come i dati aperti possono creare valore e avere un
impatto positivo in molte aree. Oltre alle informazioni di base, il
manuale fornisce istruzioni pratiche su come produrre dati aperti.
2. Perché dati aperti (open data)?
Gli Open data, e in particolare gli open government data, sono una
immensa risorsa ancora in gran parte inutilizzata. Molte persone
e molte organizzazioni raccolgono, per svolgere i loro compiti,
una vasta gamma di dati diversi. Quello che fa il Governo è
particolarmente importante in questo senso, non solo per la
quantità e centralità dei dati raccolti, ma anche perché la maggior
parte dei dati governativi sono pubblici per legge, e quindi
dovrebbero essere resi aperti e disponibili all’uso per chiunque.
Perché questo ci interessa?
Ci sono molte circostanze in cui possiamo attenderci che
i dati aperti abbiano un valore rilevante e molti esempi in cui
questo già accade. Ci sono anche numerose categorie di soggetti
e organizzazioni che possono trarre beneficio dalla disponibilità
di dati aperti, inclusa la pubblica amministrazione. Allo stesso
Open data: un'introduzione 7
tempo non è possibile predire come e dove sarà creato valore. La
caratteristica dell’innovazione e delle novità è di arrivare da luoghi
inaspettati.
È già possibile indicare un vasto numero di aree dove i dati
pubblici aperti stanno creando valore. Tra di esse:
• Trasparenza e controllo democratico;
• Partecipazione;
• accrescimento della propria influenza nella discussione
pubblica;
• miglioramento o creazione di prodotti e servizi privati;
• Innovazione;
• Miglioramento dell’efficienza dei servizi pubblici;
• Miglioramento dell’efficacia dei servizi pubblici;
• Misurazione dell’impatto delle politiche pubbliche;
• Estrazione di nuova conoscenza dalla combinazione di
diverse fonti di dati e dall’identificazione di regolarità
che emergono dall’analisi di grandi masse di dati
Esistono già esempi per la maggior parte di queste aree.
Nell’ambito della trasparenza, progetti come il Finlandese ‘tax
tree’ (l’albero delle tasse) e il Britannico ‘where does my money
go’ (dove vanno i miei soldi) permettono di identificare come
i soldi delle tasse dei cittadini sono impiegati dal governo. In
Canada i dati aperti hanno fatto risparmiare 3.2 miliardi di dollari
in un caso di frode fiscale legato alla beneficenza. Molti siti, tra cui
il Danese Folketsting.dk e l’italiano Openparlamento.it, tracciano
le attività dei parlamenti e il processo di formazione delle leggi, in
modo da mostrare cosa succede esattamente e quali parlamentari
sono coinvolti nelle varie attività.
8 Il Fenomeno Open Data
I dati aperti governativi possono inoltre aiutare a prendere
decisioni migliori nella nostra vita privata, o renderci più attivi
nell’ambito della società civile. In Danimarca, una sviluppatrice
ha creato Findtoilet.dk che permette di accedere alla lista di tutti
i bagni pubblici del paese, così anche chi soffre di problemi di
incontinenza ora si sente più rassicurato dovendo uscire di casa. In
Olanda il servizio Vervuilingsalarm.nl ti avvisa quando la qualità
dell’aria del tuo quartiere raggiunge una soglia critica da te
definita. A New York puoi facilmente capire dove puoi portare a
spasso il tuo cane, così come trovare altre persone che usano il
tuo stesso parco. Servizi come ‘Mapumental’ nel Regno Unito e
‘Mapnificent’ in Germania ci fanno capire dove possiamo andare
ad abitare impostando i tempi massimi di percorrenza casa/ufficio,
i prezzi delle case e la bellezza del quartiere. Tutti questi esempi
utilizzano dati aperti rilasciati dai governi.
Anche dal punto di vista economico i dati aperti hanno
un’enorme importanza. Svariati studi hanno stimato il valore
economico dei dati aperti in diverse decine di miliardi di euro ogni
anno, nella sola Europa. Nuovi prodotti e nuove aziende stanno
ri-usando dati aperti. Il sito danese Husetsweb.dk aiuta a trovare
i modi migliori di risparmiare energia elettrica in casa, inclusa la
pianificazione finanziaria e la possibilità di contattare gli artigiani
che potranno eseguire il lavoro. Funziona grazie al riutilizzo di dati
catastali, a informazioni sugli incentivi governativi e al registro
delle imprese locali. Google Translate usa l’enorme volume di
documenti dell’Unione Europea, disponibili in tutte le lingue
d’Europa, per allenare gli algoritmi di traduzione automatica,
aumentando la precisione del servizio offerto.
Anche per il governo stesso i dati aperti hanno un grande
valore. Per esempio, possono aumentare l’efficienza. Il Ministero
olandese dell’Istruzione ha pubblicato on-line tutti i dati relativi al
sistema educativo consentendone il ri-uso. Da allora il numero di
Open data: un'introduzione 9
domande ricevute è sceso, riducendo il carico di lavoro e i costi,
e anche per i dipendenti pubblici è ora più facile rispondere alle
domande residue, perché ora è chiaro dove possono essere trovati
i dati che servono per rispondere. I dati aperti rendono anche il
governo più efficace, il che in ultima analisi riduce anche i costi. Il
dipartimento olandese per il patrimonio culturale sta attivamente
rilasciando i propri dati e sta collaborando con le società amatoriali
di storici e con gruppi come la Wikimedia Foundation per eseguire
i propri compiti in modo più efficace. Ciò si traduce non solo in
un miglioramento della qualità dei dati, ma anche in una riduzione
delle dimensioni del dipartimento.
Mentre ci sono numerosi esempi in cui i dati aperti stanno già
creando vantaggi economici e sociali, ancora non sappiamo quali
nuovi utilizzi saranno possibili in futuro. Nuove combinazioni di
dati possono creare nuova conoscenza e nuove intuizioni, che
possono portare a campi di applicazione inimmaginabili. Abbiamo
visto nel passato, ad esempio, quando il dottor Snow scoprì la
correlazione tra l’inquinamento dell’acqua potabile e il colera nella
Londra dell’800, combinando i dati sui morti per colera con quelli
sull’ubicazione dei pozzi. Il fatto portò alla costruzione del sistema
fognario a Londra, migliorando di molto le condizioni generali di
salute della popolazione. Probabilmente vedremo di nuovo nascere
intuizioni simili dalla combinazione di insiemi diversi di dati
aperti.
Questo potenziale non sfruttato può essere utilizzato se
facciamo diventare dati aperti i dati delle amministrazioni
pubbliche. Questo accade solo, tuttavia, se l’apertura è completa,
cioè se non ci sono limitazioni (giuridiche, finanziarie o
tecnologiche) al riutilizzo da parte di altri. Ogni restrizione
impedirà a qualcuno di ri-utilizzare i dati pubblici, e renderà più
difficile il trovare altri modi preziosi di farlo. Perché il potenziale
si realizzi, i dati pubblici devono essere aperti.
10 Il Fenomeno Open Data
3. Cosa sono i dati aperti (open data)?
Ma cosa sono questi open data di cui si occupa questo manuale?
In particolare, cos’è che rende aperti i dati e di quale tipo di dati
stiamo parlando?
Il presente manuale si occupa dei dati aperti, ma cosa sono
esattamente i dati aperti? Per i nostri fini i dati aperti sono quelli
che rientrano nella Open Definition:
I dati aperti sono dati che possono essere liberamente utilizzati,
riutilizzati e ridistribuiti da chiunque, soggetti eventualmente alla
necessità di citarne la fonte e di condividerli con lo stesso tipo di
licenza con cui sono stati originariamente rilasciati.
La full Open Definition spiega nei dettagli cosa questo significhi.
Gli aspetti più importanti sono:
• Disponibilità e accesso: i dati devono essere disponibili
nel loro complesso, per un prezzo non superiore ad un
ragionevole costo di riproduzione, preferibilmente
mediante scaricamento da Internet. I dati devono essere
disponibili in un formato utile e modificabile.
• Riutilizzo e ridistribuzione: i dati devono essere forniti a
condizioni tali da permetterne il riutilizzo e la
ridistribuzione. Ciò comprende la possibilità di
combinarli con altre basi di dati.
• Partecipazione universale: tutti devono essere in grado di
usare, riutilizzare e ridistribuire i dati. Non ci devono
essere discriminazioni né di ambito di iniziativa né
contro soggetti o gruppi. Ad esempio, la clausola ‘non
commerciale’, che vieta l’uso a fini commerciali o
Open data: un'introduzione 11
restringe l’utilizzo solo per determinati scopi (es. quello
educativo) non è ammessa.
La ragione fondamentale per cui è importante chiarire il
significato di “aperto” e del perché utilizzare proprio questa
definizione, può essere identificata in un termine: interoperabilità.
L’interoperabilità è la capacità di diversi sistemi e
organizzazioni di lavorare insieme (Inter-operare). In questo caso,
è la capacità di combinare una base di dati con altre.
L’interoperabilità è importante perché permette a
componenti diverse di lavorare insieme. L’abilità di rendere
ciascun dato un componente e di combinare insieme vari
componenti è essenziale per la costruzione di sistemi sofisticati.
In assenza di interoperabilità ciò diventa quasi impossibile – come
nel mito della Torre di Babele, in cui l’impossibilità di comunicare
(e quindi di Inter-operare) dà luogo a un fallimento sistemico della
costruzione della torre.
Nel caso dei dati ci troviamo in una situazione simile. Il
punto cruciale di un bacino di dati (o linee di codice) accessibili
e utilizzabili in modo condiviso è il fatto che potenzialmente
possono essere liberamente “mescolati” con dati provenienti da
fonti anch’esse aperte. L’interoperabilità è la chiave per realizzare
il principale vantaggio pratico dell’apertura: aumenta in modo
esponenziale la possibilità di combinare diverse basi di dati, e
quindi sviluppare nuovi e migliori prodotti e servizi (questo tipo di
vantaggi sono esaminati in dettaglio nella sezione sul ‘perché’ fare
open data)
Fornire una chiara definizione di apertura assicura che sia
possibile combinare dataset aperti provenienti da fonti diverse,
evitando una nostra “Torre di Babele”: molti dataset, ma senza la
possibilità di combinarli insieme in sistemi più ampi, dove si trova
il vero valore dell’operazione.
12 Il Fenomeno Open Data
Abbiamo già visto esempi di dati che sono stati o che possono
diventare aperti, e altri ne incontreremo in seguito. È comunque
utile delineare per sommi capi quali tipi di dati sono aperti, o
potrebbero diventarlo e, cosa altrettanto importante, quali non
sono adatti per essere aperti.
La questione centrale è che nel momento si decida di
rilasciare dati in formato aperto, ci si concentri su dati non
personali, quelli cioè che non contengono informazioni su singoli
individui.
Allo stesso modo altre categorie di dati pubblici non possono
essere aperte per ragioni di sicurezza nazionale.
4. Come aprire i dati
Questa sezione costituisce il nucleo centrale del manuale: fornisce
consigli concreti e dettagliati ai detentori di dati che intendano
aprirli. Sono esaminate le questioni fondamentali e i principali
rischi. Saranno infine discusse anche le problematiche più
complesse che si possono presentare.
Ci sono tre regole fondamentali che si consiglia di seguire
nell’apertura dei dati:
• Scegliere la semplicità. Cominciare con un progetto
piccolo, semplice e veloce. Non è necessario aprire tutti i
dati in una sola volta. Inizialmente va bene aprire anche
un solo dataset, o anche una sua parte – naturalmente,
più dati si aprono, meglio è.
• Da ricordare che è innovazione. Muoversi il più in fretta
possibile è bene, perché significa prendere slancio e
imparare dall’esperienza – innovare comporta successi
ed errori, e non tutte le banche dati saranno utili.
Open data: un'introduzione 13
• Coinvolgere gli utenti fin dall’inizio e coinvolgerli
spesso. Cercare presto e spesso il confronto con i
potenziali utilizzatori dei dati fra cittadini, imprese o
sviluppatori Ciò aumenterà la rilevanza dell’iniziativa
durante tutto il suo percorso.
È essenziale tenere presente che gran parte dei dati non
raggiungeranno gli utenti finali direttamente, ma tramite ‘info-
intermediari’. Queste sono le persone che prendono i dati e li
trasformano o li remixano per la presentazione. Ad esempio, la
maggior parte di noi non vuole o non ha bisogno di un grande
database di coordinate GPS, preferiamo decisamente una mappa.
Così coinvolgete da subito gli info-intermediari, in modo che essi
possano riutilizzare e riadattare i vostri dati.
Affrontare i timori e le incomprensioni diffuse. Questo è
importante soprattutto se lavori in o con grandi organizzazioni
come le istituzioni governative. Nell’aprire i dati sorgeranno molte
domande e timori. È importante (a) identificare le più rilevanti, e
(b) darvi una risposta il più presto possibile.
Ci sono quattro passi principali per rendere i dati aperti,
saranno tutte affrontate in dettaglio di seguito. Le abbiamo
elencate in un ordine molto approssimativo – molti passi possono
essere fatti contemporaneamente.
1. Scegliere i dataset. Scegliere ciò che si intende
rendere aperto, ricordando che si può (ovvero potrebbe
essere necessario), rivedere questo passaggio se si
incontrano problemi nelle fasi successive.
2. Utilizzare una licenza open. Determinare quali sono
i diritti di proprietà intellettuale che insistono sui dati e
applicare una adeguata licenza ‘open’ che copra tutti i
14 Il Fenomeno Open Data
diritti identificati, compatibile con la definizione di
apertura discussa nella precedente sezione ‘Cosa è Open
Data’. Nota: se ciò non è possibile, si ritorni al punto 1 e
riprovare con una banca dati diversa.
3. Rendere i dati disponibili, in gran quantità e in un
formato utile. Si possono prendere in considerazione
anche metodi alternativi come la distribuzione attraverso
API.
4. Pubblicare il tutto sul web e possibilmente
organizzare un catalogo centrale dove elencare l’insieme
dei dati aperti.
4.1. Scegliere le banche dati
La scelta dei dati che si prevede di rendere aperti è il primo passo
da compiere – anche se è bene ricordare che l’intero processo di
apertura dei dati è iterativo e pertanto rimane possibile tornare
indietro qualora si presentino problemi.
Se si ha già esattamente un’idea di quali dati si prevede di
aprire si può passare direttamente alla sezione successiva. In molti
casi, tuttavia, soprattutto nel caso delle grandi istituzioni, stabilire
con quale insieme di dati cominciare è sempre una sfida. Come si
dovrebbe procedere in questo caso?
Creare una lista potrebbe aiutare a velocizzare il processo di
identificazione dei dati con cui cominciare il processo di apertura.
In un momento successivo sarà possibile poi verificare nel
dettaglio se tutte le banche dati sono adatte allo scopo.
Non vi è alcun obbligo di creare un elenco completo dei
dataset. Il punto principale da considerare è se sia possibile
Open data: un'introduzione 15
pubblicare questi dati o meno (qualsiasi sia l’approccio scelto,
aperto o meno) – si veda la sezione.
Consultare la comunità
E’ consigliabile in primo luogo consultare la comunità. I soggetti
che accederanno ed utilizzeranno i dati sono infatti nella migliore
posizione per identificare quali dati siano di particolare valore.
Si può preparare un breve elenco di dataset potenziali su cui si
desidera avere un feedback. Non è indispensabile che questa lista
coincida con le vostre aspettative, l’intento principale è quello di
avere una prima idea delle esigenze. L’elenco potrebbe ad esempio
ispirarsi a cataloghi di open data di altri paesi.
Creare una richiesta per ottenere commenti
Pubblicizzare la richiesta di commenti in una pagina web e
assicurarsi che sia possibile accedere alla richiesta attraverso l’URL
indicato. In questo modo, in caso di condivisione attraverso social
media, la richiesta risulterà facilmente reperibile.
Le risposte devono poter essere inviate attraverso una
procedura semplice. É da evitare la richiesta di commenti previa
registrazione perché ciò riduce il numero di risposte.
Utilizzare mailing list, forum e soggetti rilevanti per far
condividere la richiesta attraverso un link diretto alla pagina web.
Si può organizzare uno speciale evento di consultazione. É
importante riuscire a trovare un orario conveniente per chi lavora
in ufficio, nell’area commerciale e per gli sviluppatori.
Chiedi a un politico di parlare per conto della tua agenzia.
Gli open data sono spesso parte di più ampie politiche dirette ad
aumentare l’accesso all’informazione governativa.
16 Il Fenomeno Open Data
Costi base
Quanti soldi spendono le agenzie per la raccolta e manutenzione
dei dati in loro possesso? Se passano molto tempo su un
particolare insieme di dati, allora è molto probabile che altri utenti
vorrebbero accedervi.
Questo discorso potrebbe certo suscitare timori di freeriding.
La domanda cui bisogna rispondere è: “Perché consentire ad altri
di ottenere nere gratuita ente informa tanto costose?”. La risposta
è che questo costo viene già sopportato dal settore pubblico, nello
svolgimento di una funzione particolare. E il costo di trasmettere
i dati a terzi, dopo averli raccolti, è all’incirca nullo. Perciò, non si
dovrebbe esigere nulla.
Facilità di rilascio
A volte, piuttosto che decidere quali dati sarebbero di maggior
valore, potrebbe essere utile controllare quali dati siano più
semplici da presentare al pubblico. Semplici rilasci di dati in
piccole quantità possono più facilmente cambiare i comportamenti
all’interno delle organizzazioni.
É comunque necessario usare cautela nell’applicare questo
approccio. Questi piccoli e veloci rilasci di dati potrebbero essere
di così scarso interesse che non permettano di costruire nulla di
utile. Se succede, il destino dell’intero progetto potrebbe essere
segnato.
Osserva i tuoi pari
Open data è un movimento in crescita. Probabilmente nella vostra
zona molte persone sanno cosa si sta facendo in altri settori. Fate
una lista sulla base di ciò che stanno facendo questi gruppi.
Open data: un'introduzione 17
4.2. Applicare una licenza aperta (apertura giuridica)
Nella maggior parte delle legislazioni nazionali ci sono diritti di
proprietà intellettuale che incidono sui dati e che quindi
impediscono a terzi l’uso, il riutilizzo e la ridistribuzione dei dati
senza un’autorizzazione esplicita. Anche nei casi in cui l’esistenza
di diritti è incerta, è importante applicare una licenza per motivi
di chiarezza. Così, se stai progettando di rendere i tuoi dati
disponibili, è opportuno preoccuparsi di applicarvi una licenza
d’uso; e se volete che i vostri dati siano “aperti”, questo è ancora
più importante.
Sull’aspetto del licensing si rimanda ad apposito capitolo di
questo libro e all’appendice.
4.3. Rendere i dati disponibili (Aspetti Tecnici)
Gli Open data devono essere aperti, sia dal punto di vista tecnico
che da quello legale. In particolare i dati devono essere disponibili
in grande quantità in un formato machine-readable.
Available
I dati dovrebbero essere disponibili ad una tariffa non superiore
al ragionevole costo per la loro riproduzione, e preferibilmente
come download gratuito da Internet. Questo modello di tariffa è
raggiunto qualora l’ente non sostenga alcun costo aggiuntivo nel
fornire dati da utilizzare.
In bulk
I dati dovrebbero essere disponibili come insieme completo. Se ad
esempio si dispone di un registro mantenuto per obblighi di legge,
allora l’intero registro dovrebbe essere disponibile per il download.
18 Il Fenomeno Open Data
Una API web o un servizio simile possono essere molto utili, ma
non possono sostituire l’accesso diretto ai dati.
In un formato aperto e machine-readable
Il ri-uso dei dati in possesso del settore pubblico non dovrebbe
essere soggetto a restrizioni di brevetto. E, ancora più importante,
fornire i dati in formato “machine-readable” consente un loro
maggior riutilizzo. Per chiarire ciò, si consideri il caso di statistiche
pubblicate come documenti PDF, spesso utilizzati per la stampa
di alta qualità. Anche se queste statistiche possono essere lette da
esseri umani, è molto difficile renderle utilizzabili dai computer
e questo limita pesantemente la capacità da parte di altri di
riutilizzare quei dati.
Di seguito una serie di politiche che possono essere di grande
beneficio:
• scegliere la semplicità,
• rilasciare velocemente ed
• essere concreti.
In particolare, è meglio rilasciare dati grezzi subito piuttosto che
dati perfetti dopo sei mesi.
Ci sono molti modi per rendere i dati disponibili per gli altri.
Il più naturale nell’era di Internet è la pubblicazione online. Ci
sono molte varianti a questo modello. Nella sua forma elementare,
gli enti pubblici rendono disponibili i loro dati attraverso i loro
siti web e un catalogo centrale convoglia i visitatori verso la fonte
appropriata. Tuttavia, esistono diverse alternative.
Quando la connettività è limitata o la dimensione dei dati
è enorme, può essere opportuno distribuire i dati in altri modi.
Questa sezione illustra le varie alternative disponibili, tenendo
conto della necessità di mantenere molto bassi i prezzi.
Open data: un'introduzione 19
Attraverso un sito web esistente
Il sistema più familiare per chi si occupa dei contenuti web di siti
istituzionali pre-esistenti, è fornire file da scaricare dalle pagine
web. Tali siti possono ospitare senza problemi i file di dati, visto
che già forniscono accesso a documenti di discussione.
Una problematicità di questa scelta consiste nella difficoltà
per un soggetto esterno al sito di reperire le informazioni
aggiornate. Questa opzione pone quindi un peso rilevante sulle
spalle di quanti sviluppino strumenti con i dati offerti.
Attraverso siti di terze parti
Molti repository (archivi online) sono diventati luoghi di raccolta
di dati relativi a particolari settori. Per esempio, pachube.com
è progettato per connettere soggetti interessati ai dati generati
tramite dispositivi e applicazioni dotati di sensori in ambienti
interattivi. Siti come Infochimps.com e Talis.com consentono agli
enti del settore pubblico di immagazzinare gratuitamente una
enorme quantità di dati .
I siti di terze parti possono risultare molto utili. Ciò per
la principale ragione che già sono contemporaneamente un
riferimento per una comunità di soggetti interessati e un punto di
raccolta per altri insiemi di dati. Qualora i dati del sito istituzionale
entrassero a far parte di tali piattaforme, si crea un tipo di
integrazione positiva.
Piattaforme per l’offerta in massa di dati già costituiscono
un’infrastruttura in grado di supportare la potenziale domanda.
Spesso forniscono strumenti di analisi e informazioni sul tipo di
uso. Per gli enti del settore pubblico, inoltre, sono generalmente
gratuite.
Tali piattaforme possono avere due costi. Il primo è
l’indipendenza. L’ente deve essere in grado di cedere il controllo
20 Il Fenomeno Open Data
ad altri attori. Questo è spesso politicamente, legalmente o
operativamente difficile. Il secondo tipo di costo riguarda
l’apertura. Bisogna assicurarsi che la piattaforma scelta per
depositare i dati sia neutrale rispetto a chi può accedervi. Gli
sviluppatori di software e i ricercatori usano diversi sistemi
operativi, dagli smartphone ai supercomputer. Tutti dovrebbero
essere in grado di accedere ai dati.
Attraverso server FTP
Un metodo meno alla moda per fornire accesso ai file avviene
tramite il File Transfer Protocol (FTP). Tale approccio può essere
adatto se il pubblico è tecnico, come nel caso di sviluppatori di
software e ricercatori. Il sistema FTP funziona in sostituzione del
protocollo HTTP, ed è specificamente progettato per supportare il
trasferimento di file.
FTP è caduto in disuso. Non è visualizzabile come un sito web,
ma l’accesso ad un server FTP è molto simile alla navigazione delle
risorse e cartelle su un computer. Pertanto, anche se idoneo allo
scopo, non offre molte possibilità per sviluppare visualizzazioni
personalizzate per l’accesso ai dati.
Come file torrent
BitTorrent è un sistema divenuto familiare ai politici a causa della
sua associazione con il concetto di violazione del diritto d’autore.
BitTorrent utilizza dei file chiamati torrent, e funziona ripartendo
la distribuzione di un file tra tutte le persone che lo stanno
scaricando al momento. Invece di sovraccaricare i server,
all’aumentare della domanda cresce anche l’offerta. Questa è la
ragione del successo di questo sistema per la condivisione di film.
Si tratta infatti di una soluzione meravigliosamente efficiente per
distribuire grandi volumi di dati.
Open data: un'introduzione 21
Attraverso una API
I dati possono essere pubblicati attraverso una API (Application
Programming Interface). Queste interfacce sono diventate molto
popolari. Permettono ai programmatori di selezionare specifiche
porzioni di dati, piuttosto che fornire tutti i dati in massa sotto
forma di grandi file. Le API sono tipicamente collegate ad un
database aggiornato in tempo reale. Ciò significa che rendere le
informazioni disponibili tramite una API permette di garantire
l’accesso a dati sempre aggiornati.
Pubblicare dati grezzi in massa dovrebbe essere l’interesse
principale di tutte le iniziative open data. Ci sono una serie di costi
nel fornire una API:
Il prezzo. Le API richiedono più sforzo di sviluppo e
manutenzione rispetto all’offerta di semplici file.
Le aspettative. Al fine di promuovere una comunità di utenti
nell’ambito del sistema, è importante garantirne la sicurezza. Nel
caso di problemi, si dovranno sostenere i costi per risolverli.
L’accesso in massa ai dati assicura i seguenti aspetti:
- nessuna dipendenza dal fornitore originale dei dati, vale
a dire che i dati rimangono disponibili, anche in presenza di
ristrutturazioni o tagli di bilancio;
- chiunque può ottenere una copia e ridistribuirli. Ciò riduce
e sposta i costi di distribuzione dall’ente di provenienza sorgenti e
implica che non si crei un punto unico di fallimento;
- altri soggetti possono sviluppare i propri servizi utilizzando
i dati, perché hanno la certezza che i dati non saranno loro tolti.
L’offerta in massa di dati permette ad altri soggetti di
utilizzare i dati al di là del loro scopo originale. Ad esempio,
possono essere convertiti in un nuovo formato, o collegati con
altre risorse oppure offerti in versioni diverse o archiviati in più
luoghi. Mentre la versione corrente dei dati sarà resa disponibile
22 Il Fenomeno Open Data
attraverso API, i dati grezzi dovrebbero essere resi disponibili in
massa a intervalli regolari.
Ad esempio, il servizio statistico Eurostat ha un servizio che
permette di scaricare oltre 4000 file di dati. È aggiornato due volte
al giorno, offre dati in formato valori separati da tabulatore (TSV),
e include documentazione sulle modalità di download e sui dati.
Un altro esempio è il `Catalogo dati del distretto di
Columbia`, che consente di scaricare i dati in formato CSV ed XLS
in aggiunta ad un feed in tempo reale dei dati.
4.4. Rendere i dati individuabili
Open data senza utenti è nulla. Si deve garantire che il pubblico
possa rinvenire il materiale. Questa sezione vuole offrire diversi
approcci in tal senso.
La cosa più importante è fornire uno spazio neutrale in grado
di superare sia le diverse politiche dei vari enti sia i futuri cicli
di bilancio. Conflitti di competenza, sia settoriali che geografici,
possono rendere difficile la cooperazione. Tuttavia, ci sono
vantaggi significativi nell’unire le forze. Se sarà più facile per gli
esterni scoprire i dati, più velocemente saranno costruiti nuovi
strumenti utili.
Strumenti esistenti
Esistono una serie di strumenti già presenti sul web che sono
specificamente progettati per rendere i dati facilmente trovabili.
Uno di quelli di maggior successo è DataHub ed è un catalogo
e deposito di dati di dataset provenienti da ogni parte del mondo.
Il sito rende facile, per singole persone ed organizzazioni il modo
di pubblicare il materiale e agli utenti di trovare i dati che a loro
servono.
Open data: un'introduzione 23
In aggiunta, ci sono decine di cataloghi specializzati per
settori e luoghi differenti. Molte comunità scientifiche hanno
creato un sistema di catalogo per i loro campi, visto che spesso è
obbligatorio pubblicare i dati delle loro ricerche.
Per le istituzioni di governo
È diventata comune la pratica di avere un’ente capofila che crei un
catalogo dei dati pubblici. Durante la creazione di questo catalogo,
è opportuno creare una qualche struttura che consenta ai vari
Dipartimenti di mantenere aggiornate le loro informazioni.
Resistete alla tentazione di costruire il software per
supportare il catalogo da zero. Ci sono soluzioni di software libero
open source (come ad esempio CKAN) che sono state scelte da
molti governi. Per tale motivo, investire in un’altra piattaforma
potrebbe essere non necessario.
Ci sono molte cose che mancano nella maggior parte dei
cataloghi open data. La piattaforma da implementare dovrebbe
considerare quanto segue:
• Offrire la possibilità ai privati o comunità di aggiungere i
propri dati. Può essere utile pensare al catalogo come il
catalogo della regione, piuttosto che del Governo della
Regione.
• Facilitando il miglioramento dei dati permettendo
derivati dei dataset da catalogare. Per esempio, qualcuno
potrebbe geocodificare gli indirizzi e probabilmente voler
condividere questo risultati con altri. Se si permettono
versioni singoli di dataset, questi miglioramenti
rimarranno nascosti.
24 Il Fenomeno Open Data
• Essere tolleranti se i dati appaiono altrove. Questo vuol
dire che il contenuto probabilmente si troverà duplicato
nelle comunità di interesse. Se si dispone di dati sul
monitoraggio dei livelli de fiume, è probabile che i dati
appariranno in un catalogo per idrologi.
• Garantire un accesso equo. Evitare di creare un livello
privilegiato di accesso per funzionari pubblici o
ricercatori di ruolo questo potrebbe mettere in difficoltà
la partecipazione e la crescita della comunità.
Per la società civile
Bisogna considerare l’opportunità di creare un catalogo
supplementare con dati non-ufficiali. È molto raro che i governi
si associno a fonti non ufficiali o non autorevoli. I funzionari
sostengono spesso spese considerevoli per essere sicuri di evitare
l’imbarazzo politico o altri danni causati da un uso improprio o
sovrastimato dei dati.
Inoltre, è improbabile che i governi siano disposti a sostenere
attività che mescolano le proprie informazioni con quelle
provenienti da ambiti commerciali. I governi sono giustamente
scettici sui moventi legati al profitto. Pertanto, un catalogo
indipendente per i gruppi relativi a comunità, imprese e altri
soggetti potrebbe essere giustificato.
2. Il particolare
regime di tutela
delle banche dati
1. Introduzione: dati e banche dati
Come sappiamo, le tecnologie digitali permettono di gestire,
archiviare e processare quantità enormi di informazioni. Ciò che
pochi anni fa necessitava il contributo di molte persone può essere
fatto da un semplice software automatizzato; ciò che pochi anni fa
richiedeva intere stanze per la sua archiviazione, oggi può essere
memorizzato in un supporto USB di pochi centimetri; ciò che
pochi anni fa richiedeva intere giornate di lavoro oggi è facilmente
risolvibile in pochi minuti. Tempo, spazio e fatica sono stati
estremamente ridotti, a vantaggio di una sempre crescente
disponibilità di dati e sempre più numerose possibilità di gestione
degli stessi.
Ma che cosa si intende di preciso per “dato”? Il vocabolario
online Treccani fornisce una definizione alquanto efficace: “ciò che
25
26 Il Fenomeno Open Data
è immediatamente presente alla conoscenza, prima di ogni forma
di elaborazione”.1
Faccio una precisazione che a qualcuno potrà sembrare
banale ma che ritengo importante per evitare pericolosi
fraintendimenti. Il linguaggio comunemente usato in campo
informatico spesso induce a creare confusione sul reale significato
di “dati”. C’è infatti la tendenza a parlare genericamente di “dati”
in riferimento a tutto il materiale memorizzabile su un disco fisso o
su altro supporto digitale, indipendentemente che si tratti di film,
brani musicali, documenti, immagini…
Dal punto di vista del linguaggio giuridico (di cui è necessario
tenere conto in una riflessione come questa) “dati” ha una portata
semantica più ristretta e si riferisce appunto solo alle singole e
isolate informazioni, non organizzate e non elaborate dall’ingegno
umano. Queste, in quanto singole informazioni deducibili dalla
natura delle cose, non sono sottoposte ad alcuna tutela e privativa
diretta. Dunque la proprietà intellettuale non si occupa tanto di
dati quanto piuttosto di banche dati (o di database nell’accezione
inglese), ed è molto importante tenere sempre presente questa
distinzione.
Un’altra definizione può tornare utile, ovvero quella di
database che si trova su Wikipedia: “in informatica, il termine
database, banca dati o base di dati, indica un insieme di archivi
collegati secondo un particolare modello logico (relazionale,
gerarchico o reticolare) e in modo tale da consentire la gestione dei
dati stessi (inserimento, ricerca, cancellazione ed aggiornamento)
da parte di particolari applicazioni software dedicate”.2
1. Cfr. http://www.treccani.it/vocabolario/dato/. Più avanti la definizione riporta
anche: “Con uso più generico, elemento, in quanto offerto o acquisito o risultante da
indagini e utilizzato a determinati scopi”.
2. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Database.
Il particolare regime di tutela delle banche dati 27
Pur trattandosi di una definizione rivolta al mondo
informatico più che giuridico, essa è sufficiente a darci conferma
che “dati” e “banca dati” sono effettivamente due concetti non
sovrapponibili. Di conseguenza possiamo affermare che i “dati”
sono oggetto di regolamentazione e tutela da parte del diritto della
proprietà intellettuale solo quando si presentano come sistemi
organizzati.3
Come vedremo più avanti, in Europa con l’avvento negli anni
90 di una normativa ad hoc per la tutela dei database, il concetto
di database è stato ulteriormente precisato e approfondito da parte
della scienza giuridica.4 Ovviamente non è casuale che l’esigenza
di interrogarsi sull’opportunità di un particolare trattamento
legale per i database sia emersa solo negli ultimi decenni: ciò è
appunto strettamente connesso alle nuove possibilità di raccolta,
organizzazione e fruizione di grandi quantità di dati derivanti dalle
tecnologie digitali e alle opportunità commerciali basate su questo
tipo di attività.
2. Il particolare trattamento legale per i database
in Europa
La tutela delle banche dati rappresenta uno degli aspetti di
maggior disallineamento tra il sistema giuridico americano e
quello europeo. Nel 1996 infatti una direttiva CE ha introdotto
un particolare tipo di diritto non assimilabile né al concetto di
copyright né a quello di diritto d’autore, e proprio per questo
3. Restano però sempre applicabili le tutele più strettamente relative all’ambito del
segreto industriale e della concorrenza sleale.
4. Si veda a tal proposito la definizione fornita all’art. 1.2. dalla Direttiva 96/9/CE: “Ai
fini della presente direttiva per ‘banca di dati’ si intende una raccolta di opere, dati o
altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed
individualmente accessibili grazie a mezzi elettronici o in altro modo”.
28 Il Fenomeno Open Data
denominato dalla dottrina “diritto sui generis”. Tale diritto crea
particolari problemi di gestione ed enforcement e permette agli
operatori europei di vantare una tutela più forte sulle banche dati
(e di riflesso quindi anche sui dati in esse contenuti) rispetto agli
operatori statunitensi.
Da ciò deriva anche il fatto che il dibattito sull’open data ha
avuto origine ed è stato più sentito in Europa rispetto ad altri
paesi.
2.1. Prima della direttiva del 1996 sui database
La banca dati può essere in un certo senso equiparata alle opere
collettive, categoria già nota al diritto d’autore prima ancora delle
riforme degli anni novanta. In generale infatti la Convenzione di
Berna e tutte le normative nazionali ad essa ispirate includono fra
le tipologie di opere tutelate dal nostro ordinamento anche quelle
realizzate attraverso la raccolta di altre opere autonome dall’opera
collettiva.
Questo è infatti il testo dell’art. 2(5) della Convenzione di
Berna: “Le raccolte di opere letterarie o artistiche come le
enciclopedie e le antologie che, per la scelta o la disposizione della
materia, abbiano carattere di creazioni intellettuali sono protette
come tali, senza pregiudizio del diritto d’autore su ciascuna delle
opere che fanno parte delle raccolte stesse”.5
5. Cfr. http://www.interlex.it/testi/convberna.htm. A tal proposito si veda anche l’art.
5 del WIPO Copyright Treaty del 1996: “Compilations of Data (Databases) –
Compilations of data or other material, in any form, which by reason of the selection or
arrangement of their contents constitute intellectual creations, are protected as such.
This protection does not extend to the data or the material itself and is without
prejudice to any copyright subsisting in the data or material contained in the
compilation”.
Il particolare regime di tutela delle banche dati 29
Colui che effettua la selezione, la raccolta e la disposizione
secondo specifici criteri creativi detiene quindi un diritto d’autore
a sé stante rispetto a quello delle singole opere raccolte.
Con l’avvento delle nuove modalità di memorizzazione e di
gestione tecnologica delle informazioni, i database sono diventati
una parte fondamentale dell’attività di produzione culturale e
tecnica. Dunque il mondo del diritto ha iniziato ad interrogarsi
se fosse necessario prevedere specifiche forme di tutela di questa
nuova categoria di creazioni, o se al contrario fosse sufficiente
applicarvi (in maniera estensiva) le categorie e i principi già
esistenti nel diritto d’autore.
2.2. L’inadeguatezza della tutela di diritto d’autore in senso
stretto
Già da una prima lettura della norma si può afferrare agevolmente
che la definizione di opere collettive (nel senso di collezioni di
opere) si riferisce
a fenomeni non sempre equiparabili ad una banca dati. Non
tutte le banche dati possiedono il requisito della scelta e della
disposizione del materiale secondo criteri creativi; “non in
particolare quelle che, proponendosi di fornire tutte le
informazioni disponibili su un dato argomento, non attuano
alcuna selezione e che presentano le informazioni stesse secondo
un ordine banale o imposto da esigenze informative”.6
Inoltre esiste un altro “tallone di Achille” del diritto d’autore
nella sua applicazione ad opere atipiche come le banche dati: il
principio per cui il diritto d’autore copre solo la forma espressiva
di un’opera, cioè il modo con cui l’autore ha espresso la sua idea
e non l’idea in sé. Dunque specialmente in questo caso, sulla base
6. P. AUTERI, Diritto d’autore, in AA.VV., “Diritto industriale. Proprietà intellettuale e
concorrenza”, Torino, Giappichelli, 2005, parte VI, pp. 505-508.
30 Il Fenomeno Open Data
del solo diritto d’autore, un altro soggetto potrebbe utilizzare i
contenuti della banca dati modificandone il criterio di disposizione
e organizzazione, realizzando a tutti gli effetti un’opera diversa
dal punto di vista giuridico, ma ripetitiva e “parassitaria” nella
sostanza.
Con la sola applicazione del diritto d’autore un’ampia fetta
di banche dati rimarrebbe priva di tutela giuridica; rimarrebbe
solo la tutela derivante dai principi della concorrenza sleale o
l’eventuale applicazione di sistemi tecnologici di protezione. Ciò è
stato considerato insufficiente da parte del legislatore comunitario,
il quale, dopo un acceso dibattito sull’opportunità di questa scelta,
ha deciso di attivarsi con un’apposita direttiva.
Tale scelta è stata sostenuta dall’idea secondo cui certi tipi
di banche dati, che per loro natura sarebbero escluse dal campo
d’azione del diritto d’autore, richiedono comunque un grande
investimento da parte di soggetti specializzati e quindi questo
investimento rimane di per sé meritevole di essere tutelato e di
conseguenza incentivato.7
2.3. Un duplice livello di tutela: la direttiva del 1996 e il
diritto sui generis
Dunque il legislatore europeo nel 1996 ha deciso di delineare
un particolare modello di tutela, secondo il quale le banche dati
devono essere sottoposte a un duplice livello di protezione. Con
la Direttiva n. 96/9/EC, da un lato le banche dati sono state
7. Si leggano a tal proposito i Considerando 7 e 12 della Direttiva: (7) considerando
che per poter creare una banca di dati è necessario investire considerevoli risorse
umane, tecniche e finanziarie, mentre è possibile copiarle o accedervi ad un costo molto
più basso rispetto a quello richiesto per crearle autonomamente; (12) considerando che
tale investimento nei moderni sistemi di memorizzazione e gestione delle informazioni
non sarà effettuato all’interno della Comunità a meno che non venga introdotta una
tutela giuridica stabile ed uniforme per tutelare i costitutori di banche di dati.
Il particolare regime di tutela delle banche dati 31
formalmente inserite tra le categorie di opere dell’ingegno tutelate
da diritto d’autore previste dalla normativa comunitaria; dall’altro
lato sono stati creati appositi diritti per il costitutore della banca
dati. Come fa notare Paolo Auteri “la prima tutela [copyright] ha
ad oggetto la ‘forma espressiva’ e cioè il modo in cui il materiale
informativo è selezionato e disposto; la seconda invece ha ad
oggetto il contenuto informativo, o meglio l’insieme delle
informazioni nella misura in cui la ricerca, la verifica e la
presentazione abbia richiesto un investimento rilevante”.8
Il testo della direttiva consta in sedici articoli suddivisi in
quattro Capitoli. Il Capitolo II è dedicato appunto alla protezione
delle banche dati intese come creazione dell’ingegno propria del
loro autore9 e da tutelare quindi con copyright. Fin qui la direttiva
non fa altro che chiarire e sancire formalmente ciò che era
facilmente già deducibile dai principi del copyright.
La parte davvero innovativa (e anche la più criticata) della
direttiva è invece il Capitolo III nel quale vengono istituiti nuovi
diritti per la tutela delle banche dati prive di carattere creativo
e quindi non considerate a pieno titolo opere dell’ingegno. Tali
diritti (generalmente denominati con la locuzione latina “diritto sui
generis”, proprio ad indicare la loro peculiarità rispetto ai diritti
d’autore e ai diritti connessi) sono diritti esclusivi che sorgono in
capo ad un soggetto definito dalla norma “costitutore della banca
dati”, si riferiscono all’investimento sostenuto per la realizzazione
del database (e non all’apporto creativo come nel caso dei diritti
d’autore e dei diritti connessi) e durano 15 anni dalla costituzione
della banca dati.10 I principi della direttiva sono poi stati recepiti
dagli stati membri della UE e sono divenuti parte integrante nelle
8. P. AUTERI, Diritto d’autore, cit.
9. Art. 3.1: “A norma della presente direttiva, le banche di dati che per la scelta o la
disposizione del materiale costituiscono una creazione dell’ingegno propria del loro
autore sono tutelate in quanto tali dal diritto d’autore. Per stabilire se alle banche dati
possa essere riconosciuta tale tutela non si applicano altri criteri”.
32 Il Fenomeno Open Data
normative nazionali, rendendo così l’assetto normativo di tutta
l’Unione europea abbastanza uniforme.
Nel Capitolo III dedicato al diritto sui generis sono descritte
due fondamentali attività di competenza del “costitutore” e sulle
quali appunto vengono esercitati questi diritti: la estrazione dei
dati dal database (intesa come “il trasferimento permanente o
temporaneo della totalità o di una parte sostanziale del contenuto
di una banca di dati su un altro supporto con qualsiasi mezzo
o in qualsivoglia forma”) e il re-impiego dei dati (inteso invece
come “qualsiasi forma di messa a disposizione del pubblico della
totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca di dati
mediante distribuzione di copie, noleggio, trasmissione in linea o
in altre forme”).11
In altri termini, il costitutore ha il diritto esclusivo di
controllare per 15 anni queste attività sul database (o su una
sua parte sostanziale) da lui realizzato e messo a disposizione
del pubblico. Ciò – appunto – avviene anche quando si tratti
di un database senza carattere creativo, ma che abbia comunque
richiesto un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o
quantitativo.
2.4. Struttura e contenuti principali della direttiva del 1996
Riprendiamo in questa sede solo i suoi fondamenti come descritti
dalla direttiva 96/9/CE che lo ha istituito.
Il testo della direttiva consta di sedici articoli suddivisi in
quattro capitoli. Il Capitolo II è dedicato appunto alla protezione
delle banche dati intese come opera dell’ingegno di carattere
10. Per la precisione, l’art. 10.1 della direttiva recita: “Il diritto di cui all’articolo 7
produce i propri effetti non appena completata la costituzione della banca di dati. Esso
si estingue trascorsi quindici anni dal 1° gennaio dell’anno successivo alla data del
completamento”.
11. Si veda art. 7 – Oggetto della tutela.
Il particolare regime di tutela delle banche dati 33
creativo e da tutelare quindi con copyright. Fin qui la Direttiva non
fa altro che chiarire e sancire formalmente ciò che era facilmente
già deducibile dai principi del copyright.
Nel Capitolo III vengono invece istituiti nuovi diritti per la
tutela delle banche dati prive di carattere creativo e quindi non
considerate a pieno titolo opere dell’ingegno. Tali diritti (appunto
denominati generalmente con la locuzione latina “diritto sui
generis”, proprio ad indicare la loro peculiarità rispetto ai diritti
d’autore e ai diritti connessi) sono diritti esclusivi che sorgono in
capo ad un soggetto definito dalla norma “costitutore della banca
dati”, si riferiscono all’investimento sostenuto per la realizzazione
del database (e non all’apporto creativo come nel caso dei diritti
d’autore e dei diritti connessi) e durano 15 anni dalla costituzione
della banca dati. I principi della direttiva sono poi stati recepiti
dagli stati membri della UE e sono divenuti parte integrante nelle
normative nazionali, rendendo così l’assetto normativo di tutta
l’Unione europea abbastanza uniforme.
Sempre nel Capitolo III sono descritte due fondamentali
attività riservate al “costitutore” e sulle quali appunto vengono
esercitati questi diritti: l’estrazione dei dati dal database (intesa
come “il trasferimento permanente o temporaneo della totalità o
di una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati su un
altro supporto con qualsiasi mezzo o in qualsivoglia forma”) e il
re-impiego dei dati (inteso invece come “qualsiasi forma di messa
a disposizione del pubblico della totalità o di una parte sostanziale
del contenuto della banca di dati mediante distribuzione di copie,
noleggio, trasmissione in linea o in altre forme”).
In altri termini, il costitutore ha il diritto esclusivo di
controllare per 15 anni queste attività sul database (o su una
sua parte sostanziale) da lui realizzato e messo a disposizione
del pubblico. Ciò – appunto – avviene anche quando si tratti
di un database senza carattere creativo, ma che abbia comunque
34 Il Fenomeno Open Data
richiesto un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o
quantitativo.
Spostando il punto di vista dalla parte dell’utente della banca
dati, la direttiva precisa che “il costitutore non può impedire
all’utente legittimo della stessa di estrarre e reimpiegare parti
non sostanziali, valutate in termini qualitativi o quantitativi, del
contenuto di tale banca di dati per qualsivoglia fine.” Dal canto
suo, l’utente legittimo non può eseguire operazioni che siano in
contrasto con la normale gestione della banca di dati o che
arrechino un eccessivo pregiudizio ai legittimi interessi del
costitutore della stessa.
2.5. Categorie di database secondo i livelli di tutela
Per effetto dei principi posti dalla direttiva e quindi dei diversi casi
di sovrapposizione fra i due livelli di tutela, possiamo delineare
queste categorie di database tutelati dalla normativa europea:
Tipo 1. Database con carattere creativo contenente opere creative
• protetto da copyright su due livelli indipendenti
l’autore del database detiene i diritti d’autore in
merito alla sua strutturazione e alla particolare
organizzazione dei contenuti; gli autori dei
singoli contenuti detengono il diritto d’autore
sui singoli contenuti in modo totalmente
indipendente.
Tipo 2. Database con carattere creativo contenente semplici dati
• protetto su due livelli diversi (diritto d’autore e diritto sui
generis)
Il particolare regime di tutela delle banche dati 35
l’autore del database detiene i diritti d’autore in
merito alla sua strutturazione e alla particolare
organizzazione dei contenuti; lo stesso autore
veste anche il ruolo di costitutore e detiene il
diritto sui generis per quanto riguarda
l’estrazione e il reimpiego di parti sostanziali
del database.
Tipo 3. Database senza carattere creativo contenente semplici
dati, ma che comunque ha richiesto un investimento rilevante
• tutelato solo dal diritto sui generis
il costitutore del database detiene il diritto sui
generis per quanto riguarda l’estrazione e il
reimpiego di parti sostanziali di dati.12
Da questa schematizzazione si coglie quanto sia importante aver
sempre ben presenti i due livelli di tutela, specialmente quando
ci si deve occupare del licenziamento di un database. Dovremo
quindi avere le idee molto chiare su quali diritti e quali oggetti
intendiamo licenziare; nello stesso tempo dovremo cercare di
comunicare con la massima chiarezza le nostre intenzioni ai
licenziatari, specificando espressamente se ci stiamo riferendo al
database in sé, ai suoi contenuti, o ad entrambi.
Il fattore determinante per la suddivisione in queste tre
tipologie è – come spesso accade nel diritto d’autore – la presenza
del carattere creativo. Non è possibile procedere a un
approfondimento in questa sede; si rimanda quindi alla lettura
12. Potrebbero inoltre verificarsi casi ancor più complessi di database con
caratteristiche ibride in cui ad esempio esso sia l’ensemble di altri database a sé stanti,
oppure in cui al suo interno si trovino sia opere coperte da copyright che in pubblico
dominio.
36 Il Fenomeno Open Data
di fonti più specialistiche e allo studio della giurisprudenza in
materia di tutela dei database.13
3. Banche dati e pubblico dominio
L’art. 10 della direttiva sancisce che il diritto sui generis “produce i
propri effetti non appena completata la costituzione della banca di
dati e si estingue trascorsi quindici anni dal 1° gennaio dell’anno
successivo alla data del completamento.” Trascorso questo termine,
la banca dati cade nel pubblico dominio e non vi è più alcuno
strumento giuridico di tutela che possa impedirne la
ridistribuzione e l’estrazione dei dati. Questo principio viene
scaltramente eluso dalle aziende che producono banche dati con
il rilascio periodico di versioni aggiornate del database, in cui la
parte aggiornata è spesso irrisoria (anche se l’art. 102-bis comma
8 Legge diritto d’autore richiede che per godere di un autonomo
ulteriore periodo di protezione occorra che si siano operati
sostanziali investimenti, simili a quelli effettuati in sede di prima
costituzione); tuttavia, essendo essa integrata nel corpus del
database e difficilmente scindibile, consente la ripartenza del
periodo di tutelabilità. Ciò è facilmente attuabile con i database
rilasciati online, che appunto vengono periodicamente aggiornati
rendendoli di fatto costantemente lontani dalla caduta in pubblico
dominio.
Resta però il fatto che, qualora fossimo in possesso di una
copia (sia essa fisica o digitale) di un database rilasciato più di
15 anni fa, essa sarebbe indiscutibilmente di pubblico dominio
ed utilizzabile liberamente da chiunque liberamente, salvo non
13. “Questo carattere può essere ricercato alternativamente o cumulativamente nella
scelta o nella disposizione dei materiali”. L.C. UBERTAZZI (a cura di), Diritto d’autore,
estratto da “Commentario breve alle leggi su Proprietà Intellettuale e Concorrenza”, IV
ed., Padova, Cedam, 2009, p. 185.
Il particolare regime di tutela delle banche dati 37
eccedere in comportamenti stigmatizzabili come concorrenza
sleale (ex art. 2598 c.c.). Ovviamente, l’interesse che può destare
un database di età così avanzata è sicuramente marginale; tuttavia
in alcuni casi esso può risultare un utile punto di partenza per
fare confronti, integrazioni, rielaborazioni e analisi incrociate. E
vi sono poi casi in cui la realtà fotografata dal database non è
cambiata in modo rilevante nell’arco di 15 anni; si pensi proprio
ai dati geo-referenziati, come nel caso ipotetico di un database
contenente le altitudini delle principali vette delle Alpi, o le
lunghezze dei fiumi… ma anche alle coordinate geografiche che
descrivono i centri delle città italiane (che nella maggior parte dei
casi non subiscono variazioni dal XIX secolo).
In tema di pubblico dominio non si può non fare un cenno al
principio fissato dall’art. 5 della legge italiana sul diritto d’autore
(legge n. 633 del 1941) che esclude l’applicazione di forme di
privativa sui testi degli atti ufficiali dello stato e delle pubbliche
amministrazioni. Su questo tema, per il quale non si registrano
opinioni unanimi nell’ambito della dottrina giuridica, torneremo
più avanti in apposito paragrafo.
4. I soggetti in gioco: alcune considerazioni
preliminari sul licensing dei database
Abbiamo dunque visto che sulla base del diritto vigente in materia
di tutela industriale delle banche dati, da un lato vi è il titolare
dei diritti di tutela (chiamato “costitutore”, o “maker” in accezione
inglese) e dall’altro lato vi è l’utente della banca dati.
Il rapporto tipico sottostante alla pratica normale dei diritti di
privativa vorrebbe che tra costitutore e utente vi sia un rapporto
uno-a-uno, di licenza d’uso di una copia. Tuttavia il titolare dei
diritti può concedere diritti d’uso e sfruttamento più ampi di quelli
38 Il Fenomeno Open Data
normalmente previsti dalla normativa. In particolare, è possibile
che il titolare offra termini di licenza a una pluralità indistinta
di soggetti (“licenza pubblica”), senza richiedere né compensi, né
formalità di accettazione. Tale meccanismo prende il nome di
“licenza aperta” o “licenza libera” e viene correntemente definito
“open licensing”, mutuando la nomenclatura usata nell’ambito del
software (“open source”).
Nell’open licensing, i due soggetti assumono sempre il ruolo
rispettivamente di licenziante (ovvero colui che, detenendo i diritti
sull’opera, vi applica la licenza) e di licenziatario (ovvero colui che,
ricevendo l’opera, la utilizza sulla base dei permessi e nel rispetto
delle eventuali condizioni espressi dalla licenza).
Ai fini della realizzazione di best practices nell’ambito del
licenziamento e riuso di dati è importante da un lato aver chiara
la dicotomia tra questi due ruoli (licenziante e licenziatario),
dall’altro essere consapevoli delle possibilità e degli oneri giuridici
attinenti ad entrambi i ruoli. Questo perché, nell’attuale società
dell’informazione, è molto frequente che un soggetto attivo nella
produzione o implementazione di servizi informativi si trovi in
situazioni ibride, in cui è da un lato produttore di servizi e quindi
licenziante e dall’altro riutilizzatore di servizi e quindi
licenziatario. Ciò è del tutto naturale nell’open licensing in quanto
i diritti conferiti vanno solitamente al di là del mero utilizzo, ma
si estendono al reimpiego, alla redistribuzione e allo sfruttamento
economico (in molti casi) del bene giuridico oggetto di privativa,
nella sua forma originale o a seguito di modifiche (estensioni,
estrazioni, combinazioni, eccetera).
Comunemente, con la locuzione anglosassone “database
licensing” si indica proprio l’attività con cui i titolari dei diritti di
privativa sulle banche dati rilasciano al pubblico i loro prodotti con
applicazione di licenze pubbliche. Questa pratica richiede alcune
particolari cautele dovute alla singolarità del diritto sui generis.
Il particolare regime di tutela delle banche dati 39
Ad esempio, al contrario di quanto accade nelle opere dell’ingegno
tutelate dal diritto d’autore classico, per le quali si parla spesso di
“derivazioni”, “elaborazioni creative” e “opere derivate”, è dubbio
che si possa applicare la categoria della derivazione ai database
tutelati da mero diritto sui generis. Ciò è dovuto al fatto che
tra i diritti esclusivi del costitutore di banca dati non vengono
annoverati i diritti relativi alla derivazione tipici delle opere
creative (come ad esempio la traduzione, il riassunto,
l’adattamento ad altro media, il riarrangiamento musicale); bensì,
più propriamente, viene annoverato solo un diritto di impedire
attività di estrazione di dati dal database (e per la precisione di
parti sostanziali di dati).
Questi aspetti rendono sdrucciolevole il terreno per tutte le
licenze contenenti clausole espressamente dedicate al concetto di
“derivazione” tipico delle opere sotto diritto d’autore/copyright.
Approfondiremo meglio questo specifico aspetto nei paragrafi
seguenti.
5. Il caso specifico dei dati geografici
Parlando del rapporto fra banche dati e open licensing, spendiamo
qualche parola a proposito dell’ambito dei dati georeferenziati,
anche denominati più semplicemente dati geografici. Essi
rappresentano una categoria di non facile qualificazione giuridica,
poiché toccano varie forme di creatività o di rappresentazione
della realtà.
Possiamo avere a che fare con dati “semplici”, come ad
esempio le coordinate spaziali (longitudine, latitudine, altitudine,
distanza rispetto a punti di interesse, etc.); e in questo caso il
singolo dato non può certo ricadere sotto la tutela del diritto
d’autore, poiché non sarebbe altro che un “fatto” naturale, una
rilevazione della realtà, senza alcuna mediazione da parte
40 Il Fenomeno Open Data
dell’ingegno umano. Come già spiegato, dati di questo tipo
possono ricevere una tutela solo in quanto “sistema organizzato di
dati”, attraverso il diritto sui generis.
Se invece abbiamo a che fare con qualcosa di più elaborato
e, soprattutto, che abbia richiesto un certo apporto creativo, la
situazione si fa più complessa. In questo caso, per valutare quale
grado di tutela attribuire a questi contenuti, bisogna di volta in
volta verificare a quale tipo di opere dell’ingegno (fra quelle
contemplate dai principi del diritto d’autore) il dato geografico
rielaborato ed eventualmente rappresentato possa essere
assimilato. Non è un’analisi sempre agevole da compiere, dato che
questi contenuti a volte si presentano sotto forma di fotografie
aeree o satellitari (tutelate da un diritto connesso); altre volte (ed
è il caso attualmente più frequente) non si tratta di vere e proprie
fotografie, ma di ricostruzioni grafiche vettoriali della realtà
geografica (bidimensionali o tridimensionali), dunque assimilabili
più verosimilmente ad opere di natura architettonica e
ingegneristica (disegni, progetti, etc.) e perciò anch’esse tutelate da
un diritto connesso.
C’è anche chi ha puntualizzato che una rappresentazione
cartografica contenente informazioni georeferenziate (ad esempio
l’altitudine, le temperature medie, la frequenza di precipitazioni,
la consistenza del terreno, etc.) rappresenti implicitamente anche
un database su cui agisce anche un diritto sui generis. Acuta
osservazione che però complica non poco il lavoro di
qualificazione giuridica della cartografia.
3. I principali risvolti
giuridici della public
sector information
Oltre all’ottica privatistica della titolarità dei diritti di proprietà
intellettuale sulle banche dati e della relativa gestione dei diritti
a mezzo di licenze (aspetto che verrà per altro approfondito nel
capitolo successivo), è importante fornire un quadro delle norme
sia nazionali sia transnazionali che si sono occupate del tema della
gestione dei dati pubblici, ed in particolar modo dei dati pubblici
territoriali e ambientali.
1. La direttiva PSI del 2003 e il decreto di
attuazione del 2006
La direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo dell’informazione del
settore pubblico (“Public Sector Information”, “PSI”)1 rappresenta
un’importante pietra miliare che inaugura una serie di
provvedimenti normativi da parte dell’Unione Europea e degli
41
42 Il Fenomeno Open Data
stati membri in materia di raccolta, gestione e rilascio di dati da
parte degli enti pubblici.
La direttiva è stata emessa con il precipuo scopo di
incentivare il rilascio di informazioni in formato digitale da parte
degli enti pubblici degli Stati Membri, per permettere così di
riflesso lo sviluppo di servizi innovativi a vantaggio dei cittadini e
in generale promuovere nuove forme di imprenditorialità e lavoro.
Ciò emerge dal Considerando n. 5 della direttiva:
Le informazioni del settore pubblico sono un’importante
materia prima per i prodotti e i servizi imperniati sui
contenuti digitali. Esse diventeranno una risorsa
contenutistica ancora più importante con lo sviluppo dei
servizi di contenuti via comunicazioni mobili. In tale
contesto sarà fondamentale anche un’ampia copertura
geografica oltre i confini nazionali. Più ampie possibilità
di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico
dovrebbero, tra l’altro, consentire alle imprese europee di
sfruttarne il potenziale e contribuire alla crescita
economica e alla creazione di posti di lavoro.
Come spesso accade, a spingere l’Unione Europea ad attivarsi con
una direttiva è stata una crescente necessità di armonizzazione
tra le legislazioni dei vari stati membri, che all’inizio degli anni
2000 si stavano sviluppando senza una direzione comune. Nel
Considerando n. 6 si legge infatti:
Le normative e le prassi seguite negli Stati membri in
relazione allo sfruttamento delle risorse di informazione
del settore pubblico sono caratterizzate da notevoli
1. Il testo integrale della direttiva 2003/98/CE è disponibile online all'indirizzo
http://ec.europa.eu/information_society/policy/psi/docs/pdfs/directive/
psi_directive_it.pdf.
I principali risvolti giuridici della public sector information 43
differenze costituenti delle barriere che impediscono a
queste risorse essenziali di esprimere appieno il proprio
potenziale economico. [...] Sarebbe opportuno quindi
avviare un’armonizzazione minima delle normative e
delle prassi nazionali relative al riutilizzo dei documenti
del settore pubblico.
Come corollario di tale esigenza di armonizzazione normativa,
si pone la necessità innanzitutto di dirigersi definitivamente e
inevitabilmente verso tecnologie digitali; ed inoltre di adottare
standard tecnici di livello sovranazionale che garantiscano il più
possibile l’interoperabilità dei sistemi informativi e dei servizi ad
essi connessi.2
A scanso di pericolosi fraintendimenti, ovvero per evitare
che i principi di condivisione e riutilizzo sanciti dalla Direttiva
venissero interpretati come una sorta di riduzione delle privative
di diritto industriale esistenti nelle legislazioni europee, è stata
inserita una puntuale precisazione (che per altro ritroveremo quasi
identica nella direttiva INSPIRE) con il Considerando n. 22:
La presente direttiva non incide sui diritti di proprietà
intellettuale dei terzi. Per evitare equivoci, con i termini
“diritti di proprietà intellettuale” si indicano
esclusivamente il diritto d’autore e i diritti connessi
(comprese le forme di protezione sui generis). La presente
direttiva non si applica ai documenti soggetti a diritti
di proprietà industriale, quali brevetti, disegni e modelli
registrati e marchi. La direttiva lascia impregiudicate
2. Nel Considerando n. 13 troviamo: «Le possibilità di riutilizzo possono essere
migliorate riducendo la necessità di digitalizzare documenti cartacei oppure di
manipolare documenti elettronici per renderli compatibili fra loro. Pertanto, gli enti
pubblici dovrebbero mettere a disposizione i documenti in qualsiasi lingua o formato
preesistente, ove possibile e opportuno per via elettronica.»
44 Il Fenomeno Open Data
l’esistenza o la titolarità di diritti di proprietà intellettuale
da parte degli enti pubblici e non limita in alcun modo
l’esercizio dei diritti al di là di quanto da essa stabilito.
Gli obblighi di cui alla presente direttiva si dovrebbero
applicare soltanto nella misura in cui siano compatibili
con le disposizioni degli accordi internazionali sulla
protezione dei diritti di proprietà intellettuale, in
particolare la convenzione di Berna per la protezione delle
opere letterarie e artistiche (la convenzione di Berna) e
l’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale
attinenti al commercio (l’accordo TRIPS). Gli enti pubblici
dovrebbero comunque esercitare il proprio diritto di autore
in maniera tale da agevolare il riutilizzo dei documenti.
La direttiva PSI ha anche una importante funzione definitoria,
dato che in essa all’articolo 2 si cristallizzano alcune importanti
definizioni che poi ritroveremo nelle direttive successive in
materie affini e, com’è prevedibile, negli atti normativi di
attuazione adottati dagli stati membri.
La prima di queste definizioni è quella di “documento”, inteso
nello specifico senso dell’ambito di azione della direttiva. Il
concetto di «documento» qui delineato comprende: a) qualsiasi
contenuto, a prescindere dal suo supporto (testo su supporto
cartaceo o elettronico, registrazione sonora, visiva o audiovisiva);
b) qualsiasi parte di tale contenuto.
La seconda definizione è invece quella di “riutilizzo”, definito
dalla direttiva come «l’uso di documenti in possesso di enti
pubblici da parte di persone fisiche o giuridiche a fini commerciali
o non commerciali diversi dallo scopo iniziale nell’ambito dei
compiti di servizio pubblico per i quali i documenti sono stati
prodotti.»3
I principali risvolti giuridici della public sector information 45
Altro articolo degno di nota (specie in un’analisi come la
nostra mirata all’individuazione di modelli di licenziamento
ottimali) è l’articolo 8, dedicato appunto alle “Licenze”. Leggendo
con attenzione il testo di tale norma4, possiamo notare che, se
da un lato la direttiva vuole incoraggiare l’adozione di licenze
standard per il rilascio dei contenuti, dall’altro rimane su un piano
molto generico e non fornisce indicazioni specifiche sul modello di
licenziamento da adottare.
Su questo tema l’Unione Europea sembra preferire la scelta di
passare la palla ai legislatori degli Stati Membri. E’ dunque utile
confrontare come viene trattato l’aspetto del licensing da parte del
Decreto legislativo n. 36 del 31 gennaio 2006 con cui appunto il
Parlamento italiano ha recepito la direttiva.5
Emerge che il sistema di licenziamento delineato dall’art. 5
del decreto (articolo intitolato non a caso “Richiesta di riutilizzo di
documenti”) è abbastanza lontano dal concetto di open licensing
illustrato nei paragrafi precedenti e risulta macchinoso e quasi
contraddittorio.6 Dapprima al comma 1 si stabilisce che «il titolare
3. L'articolo prosegue precisando che «lo scambio di documenti tra enti pubblici
esclusivamente in adempimento dei loro compiti di servizio pubblico non costituisce
riutilizzo».
4. Il testo integrale dell'art. 8 è: «Gli enti pubblici possono autorizzare il riutilizzo
incondizionato di documenti o imporre condizioni, ove opportuno attraverso una
licenza, che trattino le questioni pertinenti. Tali condizioni non limitano in maniera
inutile le possibilità di riutilizzo dei documenti e non sono sfruttate per limitare la
concorrenza. Negli Stati membri in cui si fa uso della licenza, gli Stati membri
provvedono affinché le licenze standard per il riutilizzo di documenti del settore
pubblico, che possono essere adattate per soddisfare particolari richieste di licenza,
siano disponibili in formato digitale e possano essere elaborate elettronicamente. Gli
Stati membri incoraggiano tutti gli enti pubblici a ricorrere alle licenze standard.»
5. Il testo integrale del Decreto legislativo n. 36 del 31 gennaio 2006 è disponibile
online all'indirizzo http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/06036dl.htm.
6. Si riporta il testo integrale dell'articolo 5 del d.lgs. 36/2006: 1. Il titolare del dato
predispone le licenze standard per il riutilizzo e le rende disponibili, ove possibile in
forma elettronica, sui propri siti istituzionali. 2. I soggetti che intendono riutilizzare dati
delle pubbliche amministrazioni o degli organismi di diritto pubblico presentano
46 Il Fenomeno Open Data
del dato predispone le licenze standard per il riutilizzo e le rende
disponibili sui propri siti istituzionali». Successivamente ai commi
2 e 3 si parla di un procedimento di richiesta dei dati secondo
cui i soggetti interessati a riutilizzare i dati pubblici devono farne
«apposita richiesta secondo le modalità stabilite dal titolare del
dato con proprio provvedimento; da parte sua, il titolare del dato
esamina le richieste e rende disponibili i documenti al richiedente
[…] entro il termine di trenta giorni, prorogabile di ulteriori trenta
giorni nel caso in cui le richieste siano numerose o complesse».
Si può quindi dedurre che le licenze trattate dal comma 1 sono
concepite unicamente con un ruolo di atto regolamentare della
pubblica amministrazione, cioè come semplice dichiarazione delle
condizioni d’uso applicate qualora la richiesta effettuata ex commi
2 e 3 venga accolta. Una prospettiva di certo inversa rispetto
all’idea di libera disponibilità di dati e contenuti concessa a priori
con il metodo dell’open licensing.
Questa interpretazione restrittiva del concetto di “riutilizzo
dei documenti” è confermata dal chiarissimo testo del comma 2
dell’art. 1 dello stesso d. lgs. 36/2006, che recita:
Le pubbliche amministrazioni e gli organismi di diritto
pubblico non hanno l’obbligo di consentire il riutilizzo dei
documenti di cui al comma 1. La decisione di consentire
o meno tale riutilizzo spetta all’amministrazione o
apposita richiesta secondo le modalità stabilite dal titolare del dato con proprio
provvedimento. 3. Il titolare del dato esamina le richieste e rende disponibili i
documenti al richiedente, ove possibile in forma elettronica, entro il termine di trenta
giorni, prorogabile di ulteriori trenta giorni nel caso in cui le richieste siano numerose o
complesse. Il titolare del dato non ha l'obbligo di produrre o di continuare a produrre
documenti al solo fine di permetterne il riutilizzo da parte di un soggetto privato o
pubblico. 4. I poteri e le facoltà connessi al riutilizzo spettano unicamente al titolare del
dato.
I principali risvolti giuridici della public sector information 47
all’organismo interessato, salvo diversa previsione di legge
o di regolamento.
Come vedremo più avanti, questo sistema (a nostro avviso
inutilmente complicato e burocratizzato) è stato superato solo di
recente con le nuove riforme in materia di “Agenda digitale”.
Solo un’ultima annotazione: il recepimento della Direttiva
non è stato privo di problemi. La Commissione Europea nel marzo
del 2009 ha infatti avviato una procedura di infrazione nei
confronti dell’Italia per incompleto e scorretto recepimento. Come
si legge nel comunicato stampa7 diffuso sul sito dell’Unione
Europea, «la Commissione ha deciso di inviare una lettera di
messa in mora (prima fase di una procedura d’infrazione a norma
del trattato CE) all’Italia che non ha ancora recepito nella
normativa nazionale tutte le disposizioni della direttiva PSI. Uno
dei punti controversi è costituito dall’esclusione dei dati catastali
e ipotecari – una preziosa fonte di informazioni riutilizzabili –
dall’ambito di applicazione della direttiva». Simili procedure erano
state avviate in precedenza contro Polonia e Svezia.
Infine si segnala che la Commissione ha proceduto nel
periodo giugno 2008 – 15 settembre 2008 a una consultazione on-
line (IP/08/1017). Dai risultati ottenuti si evince che la direttiva
PSI ha migliorato le condizioni in cui gli enti pubblici divulgano
i rispettivi dati, li condividono e ne consentono il riutilizzo, e ha
creato nuove opportunità per l’industria dei contenuti in Europa
(cfr. la relazione concernente la consultazione degli Stati membri
e la relazione relativa alla consultazione delle parti interessate).8
Tuttavia, esistono ancora barriere che impediscono un maggiore
7. Il testo integrale del comunicato è disponibile al sito http://europa.eu/rapid/press-
release_IP-09-425_it.htm.
8. Si vedano la relazione concernente la consultazione degli Stati Membri e la
relazione relativa alla consultazione delle parti interessate al sito http://ec.europa.eu/
digital-agenda/public-sector-information-raw-data-new-services-and-products.
48 Il Fenomeno Open Data
riutilizzo transfrontaliero delle informazioni detenute dal settore
pubblico.
2. La direttiva INSPIRE del 2007
Nel 2004 in seno alla Commissione Europea viene avanzata una
proposta di direttiva che prosegua nel solco già tracciato dalla
precedente direttiva PSI ma che sia più specificamente dedicata
all’ambito delle informazioni di carattere ambientale e territoriale.
La proposta di direttiva e la direttiva stessa verranno fin
da subito identificate con l’acronimo INSPIRE che sta per
Infrastructure for Spatial Information in Europe, cioè
Infrastruttura per l’Informazione Territoriale in Europa.
Il senso di tale iniziativa è ottimamente esplicato dalla
relazione introduttiva alla proposta di direttiva9, che al paragrafo 2
recita:
Tra gli obiettivi principali dell’iniziativa INSPIRE figura
la possibilità di rendere disponibile una quantità di dati
maggiore e di qualità più elevata ai fini dell’elaborazione
delle politiche comunitarie e della loro attuazione negli
Stati membri a qualsiasi livello. INSPIRE è incentrata in
particolare sulla politica ambientale, ma è aperta o potrà
essere estesa ad altri settori come l’agricoltura, i trasporti
e l’energia.
La proposta tratta in modo specifico i dati necessari
per monitorare e migliorare lo stato dell’ambiente, e in
particolare l’aria, l’acqua, il suolo e il paesaggio naturale.
Gran parte di tali informazioni ha bisogno di essere
sostenuta da dati territoriali “multiuso”. Nell’ambito di
9. Il testo della proposta di direttiva (con la relazione introduttiva)
http://ec.europa.eu/information_society/policy/psi/docs/pdfs/inspire/it.pdf.
I principali risvolti giuridici della public sector information 49
un’infrastruttura per l’informazione territoriale non tutte
le categorie di dati devono essere armonizzate allo stesso
modo, né è d’altronde necessario integrarle
nell’infrastruttura alla stessa velocità.
Ai fini di un’analisi più strettamente giuridica è utile invece
soffermarsi sul paragrafo 7.1 della relazione, il quale appunto
chiarisce quale sia la base giuridica di un intervento direttivo come
INSPIRE.
L’articolo 175, paragrafo 1 del trattato CE rappresenta
la base giuridica adeguata, visto che i dati territoriali
di cui tratta la proposta servono per la formulazione,
l’attuazione, il monitoraggio e la valutazione delle
politiche ambientali al fine di garantire un livello elevato
di protezione dell’ambiente. L’articolo 174 impone inoltre
alla Comunità di tener conto dei dati tecnici e scientifici
disponibili. INSPIRE contribuisce all’osservanza di
quest’obbligo aiutando la Comunità ad avere accesso e a
utilizzare i dati territoriali disponibili.
Alcuni dei dati territoriali in questione sono necessari
anche nel contesto di altre politiche nazionali e
comunitarie, ad esempio quella agricola, dei trasporti o
la politica regionale. La scelta della base giuridica è in
sintonia con la necessità di integrare le considerazioni
ambientali nelle altre politiche citate al fine di promuovere
lo sviluppo sostenibile.
Dopo il compimento dell’ordinario iter di discussione e
approvazione, la direttiva è entrata in vigore il 15 maggio del 2007
come Direttiva 2007/2/CE.10
50 Il Fenomeno Open Data
Innanzitutto è il caso di rilevare che i contenuti di questa
direttiva, rispetto alla precedente direttiva PSI del 2003, appaiono
di carattere più tecnico-informatico che amministrativo-
burocratico. Quello che preme di più al legislatore europeo non
sembra tanto essere sottolineare e ribadire principi giuridici e
amministrativi già fissati con la direttiva del 2003, quanto fissare
degli standard tecnici per l’effettiva implementazione di un
virtuoso sistema informativo-territoriale in tutta l’Unione
Europea, con un dichiarato intento di incentivo
dell’interoperabilità e condivisione reciproca delle informazioni
tra gli enti pubblici degli stati membri. Si tenga presente che
INSPIRE mira espressamente alla realizzazione di un’infrastruttura
pubblica in materia di dati territoriali e ambientali, dunque
l’obbiettivo principale di questa iniziativa non è quello di
promuovere il rilascio ai cittadini dei dati territoriali, ma più
precisamente quello di porre le condizioni affinché gli enti pubblici
dei paesi UE possano scambiarsi correttamente ed efficacemente
tali informazioni.
Entrando più specificamente nei contenuti della Direttiva,
notiamo innanzitutto che, per quanto riguarda l’aspetto della
tutela e gestione dei diritti di privativa sui dati, all’art. 2 torna –
come già accennato – la classica formula presente nella direttiva
precedente: «la presente direttiva lascia impregiudicati l’esistenza
o il possesso di diritti di proprietà intellettuale da parte di autorità
pubbliche.»
Inoltre, nucleo fondamentale della Direttiva è l’articolo 11 che
definisce e descrive quali servizi a rete gli Stati Membri sono tenuti
ad istituire e gestire a norma della direttiva. I successivi articoli 12,
13, 14 e 17 forniscono invece indicazioni puntuali sulle modalità
con cui devono essere realizzati e su quali di questi servizi devono
10. Il testo integrale è disponibile all'indirizzo web http://eur-lex.europa.eu/
LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2007:108:0001:0014:IT:PDF.
I principali risvolti giuridici della public sector information 51
essere rilasciati al pubblico liberamente e quali invece devono
essere disponibili su richiesta e dietro versamento di tariffa.
INSPIRE è stata poi recepita ed attuata in Italia dal Decreto
legislativo 27 gennaio 2010 n. 32, il quale ne ha riprodotto quasi
pedissequamente i dettami.
3. Le riforme del Governo Monti: la legge 135/2012
Il Governo Monti (Novembre 2011 – Marzo 2013) si è fatto carico
di una intensa attività di riforma dei meccanismi di funzionamento
dell’apparato statale italiano, in una prospettiva di
ammodernamento e di innovazione tecnologica. Alcuni di questi
interventi hanno riguardato proprio l’ambito degli open data.
Seguendo un ordine cronologico, il primo intervento che
merita un commento è quello comunemente denominato come
“spending review” (decreto legge 95/2012 convertito nella legge n.
135 del 7 agosto 2012); il suo campo d’azione è proprio quello dei
dati territoriali.
Il decreto ha inserito nel nostro ordinamento un principio
da tempo atteso dai promotori degli open geodata, lasciando però
ancora alcuni punti oscuri. Leggiamo il testo della norma in
questione, ovvero il comma 12-quaterdecies dell’Articolo 23
(Fruibilità di dati geospaziali acquisiti con risorse pubbliche):
Per sostenere lo sviluppo delle applicazioni e dei servizi
basati su dati geospaziali e per sviluppare le tecnologie
dell’osservazione della terra anche a fini di tutela
ambientale, di mitigazione dei rischi e per attività di
ricerca scientifica, tutti i dati e le informazioni, acquisiti
dal suolo, da aerei e da piattaforme satellitari nell’ambito
di attività finanziate con risorse pubbliche, sono resi
disponibili per tutti i potenziali utilizzatori nazionali,
52 Il Fenomeno Open Data
anche privati, nei limiti imposti da ragioni di tutela della
sicurezza nazionale.
A tale fine, la catalogazione e la raccolta dei dati
geografici, territoriali ed ambientali generati da tutte le
attività sostenute da risorse pubbliche è curata da ISPRA,
che vi provvede con le risorse umane, strumentali e
finanziarie disponibili a legislazione vigente. Con decreto
del Presidente della Repubblica, sulla base di una intesa tra
Presidenza del Consiglio – Dipartimento della protezione
civile, Ministero della difesa, Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio e del mare, Ministero
dell’istruzione, dell’università e della ricerca e regioni,
adottata dalla Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, sono definite le modalità per la gestione della
piattaforma e per l’accesso, l’interoperatività e la
condivisione, anche in tempo reale, dei dati e delle
informazioni in essa conservati, e gli obblighi di
comunicazione e disponibilità dei dati acquisiti da parte
di tutti i soggetti che svolgono tale attività con il sostegno
pubblico, anche parziale. Dall’attuazione delle
disposizioni del presente comma non devono derivare
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il primo paragrafo è abbastanza limpido e fissa un principio in sé
rivoluzionario, che va ben oltre quanto previsto dagli interventi
legislativi che abbiano presentato sin qui. Semplificando, tutti i
dati territoriali di origine pubblica (rectius: provenienti da
iniziative finanziate con risorse pubbliche) sono resi disponibili
pubblicamente a tutti i potenziali utilizzatori nazionali.
Leggendo il paragrafo con un occhio più attento possiamo
notare che la sua formulazione poteva essere più precisa.
I principali risvolti giuridici della public sector information 53
Innanzitutto si fa riferimento a dati “acquisiti dal suolo, da aerei e
da piattaforme satellitari” e inspiegabilmente non si contemplano
invece tutti i dati provenienti dal mare e dalle coste e raccolti dalle
imbarcazioni. Inoltre l’ultima frase (“nei limiti imposti da ragioni
di tutela della sicurezza nazionale”) appare piuttosto criptica e non
si percepisce con chiarezza la portata di questi limiti.
Passando invece al secondo paragrafo, si trovano espressioni
ancor meno cristalline a livello interpretativo. Infatti, nonostante
gli ottimi richiami a concetti accessibilità, interoperabilità e
massima possibilità di condivisione dei dati, ci sono alcune
espressioni che attenuano pesantemente l’effettività del primo
paragrafo della norma. Ad esempio compare un espresso
riferimento alle competenze e agli obblighi formali di ISPRA
(Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), che
sono definite in altra indipendente fonte normativa; e si precisa
tra l’altro che ISPRA debba provvedere «con le risorse umane,
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente». Il
dubbio che legittimamente sorge è che questa previsione possa
rischiare di trasformarsi presto in un “alibi” a non svolgere
adeguatamente questa attività.
Si passa poi ad un elenco di istituzioni pubbliche che
dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) raggiungere un’intesa per
definire (in un altro successivo decreto) le modalità di gestione e di
accesso ai servizi descritti dalla norma. Ci si chiede a questo punto
da un lato se tali enti riusciranno davvero a raggiungere questa
intesa, e dall’altro che cosa succederà qualora questa intesa non
venisse raggiunta mai.
Infine, vi è la frase che più di tutte è foriera di incertezza
e indeterminatezza sull’effettività di questa norma. Se
dall’introduzione di questi innovativi servizi non devono derivare
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il sospetto che
legittimamente sorge è che i vari enti coinvolti utilizzino la
54 Il Fenomeno Open Data
mancanza di risorse economiche come pretesto per sentirsi
autorizzate a non adeguarsi. D’altronde, è cosa nota che avviare
nuovi servizi e adottare nuove procedure comporti sempre un
investimento iniziale, ad esempio in termini di formazione,
adeguamento degli organici e aggiornamento dei sistemi
informativi.
In conclusione, una norma concepita con uno slancio
innovativo rischia – come spesso accade – di rimanere lettera
morta per il prevalere di pretesti e di giustificazioni.
4. La riforma del CAD operata col decreto
Crescita 2.0 e il principio “open by default” su dati
e documenti
Il Decreto Legislativo 80 del 2005 (anche noto come Codice
dell’amministrazione digitale, o più brevemente CAD) è il testo
normativo cardine su cui si fondano i principi di digitalizzazione
dell’apparato pubblico italiano. Si tratta di un testo molto completo
e opportunamente proiettato al futuro fin dalla sua adozione;
tuttavia soffre di una diffusa disapplicazione di buona parte dei
suoi precetti, sia per una cultura giuridica italiana resistente alle
evoluzioni, sia per la mancanza di norme di attuazione ben precise
e soprattutto di sanzioni specifiche per i funzionari della PA non
zelanti. Trattandosi di un atto legislativo adottato nel 2005, il CAD
già tiene conto, anche se solo a livello di principi generali e
definizioni, delle indicazioni fornite dalla direttiva 2003/98/CE,
nonostante appunto il recepimento formale della direttiva sia
avvenuto per l’Italia nel 2006.
Nel campo d’analisi che ci interessa, sono due le norme del
CAD che meritano un focus specifico: l’articolo 52 (intitolato
“Accesso telematico e riutilizzo dei dati delle pubbliche
I principali risvolti giuridici della public sector information 55
amministrazioni”) e l’articolo 68, il quale da un lato si preoccupa
di sottolineare l’importanza del concetto di interoperabilità (sia
a livello di software sia a livello di dati), dall’altro chiarisce la
definizione di “dato aperto”. Queste due norme sono state
modificate in tal senso dal cosiddetto decreto “Crescita 2.0”
(contenente le norme della tanto discussa “Agenda digitale”), in
vigore dal 19 ottobre 2012 e convertito in legge il 13 dicembre 2012.
L’art. 52, nella sua nuova formulazione, si pone come una
norma davvero rivoluzionaria e di portata davvero ampia. In
sostanza viene fissato il principio di una sorta di “dati aperti di
default” secondo cui tutti i dati e documenti prodotti dalle
pubbliche amministrazioni, qualora non rilasciati con specifici
termini d’uso, vengono considerati alla stregua di dati licenziati in
modalità aperta. Riportiamo i commi 2, 3 e 4 della norma.
1. L’accesso telematico a dati, documenti e procedimenti e
il riutilizzo dei dati e documenti e’ disciplinato dai soggetti
di cui all’articolo 2, comma 2, secondo le disposizioni del
presente codice e nel rispetto della normativa vigente. Le
pubbliche amministrazioni pubblicano nel proprio sito
web, all’interno della sezione “Trasparenza, valutazione e
merito”, il catalogo dei dati, dei metadati e delle relative
banche dati in loro possesso ed i regolamenti che ne
disciplinano l’esercizio della facoltà di accesso telematico
e il riutilizzo, fatti salvi i dati presenti in Anagrafe
tributaria.
2. I dati e i documenti che le amministrazioni titolari
pubblicano, con qualsiasi modalità, senza l’espressa
adozione di una licenza di cui all’articolo 2, comma 1,
lettera h), del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36,
si intendono rilasciati come dati di tipo aperto ai sensi
all’articolo 68, comma 3, del presente Codice. L’eventuale
56 Il Fenomeno Open Data
adozione di una licenza di cui al citato articolo 2, comma
1, lettera h), è motivata ai sensi delle linee guida nazionali
di cui al comma 7.
3. Nella definizione dei capitolati o degli schemi dei
contratti di appalto relativi a prodotti e servizi che
comportino la raccolta e la gestione di dati pubblici, le
pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 2, comma 2,
prevedono clausole idonee a consentire l’accesso telematico
e il riutilizzo, da parte di persone fisiche e giuridiche, di
tali dati, dei metadati, degli schemi delle strutture di dati
e delle relative banche dati.
4. Le attività volte a garantire l’accesso telematico
e il riutilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni
rientrano tra i parametri di valutazione della performance
dirigenziale ai sensi dell’articolo 11, comma 9, del decreto
legislativo 27 ottobre 2009, n. 150.
[omissis]
Il nuovo testo della norma è da leggere in visione coordinata con
quello dell’articolo 68, comma 3 del CAD anch’esso novellato dal
decreto Crescita 2.0. Nel nuovo comma 3 si trova, oltre ad una
nuova e finalmente completa definizione di “formato aperto”, una
definizione ex lege di “dati di tipo aperto”.
Agli effetti del presente decreto legislativo si intende per:
a) formato dei dati di tipo aperto, un formato di
dati reso pubblico, documentato esaustivamente e neutro
rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la
fruizione dei dati stessi;
b) dati di tipo aperto, i dati che presentano le seguenti
caratteristiche:
I principali risvolti giuridici della public sector information 57
1) sono disponibili secondo i termini di una licenza
che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per
finalità commerciali, in formato disaggregato;
2) sono accessibili attraverso le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le
reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti ai
sensi della lettera a), sono adatti all’utilizzo automatico
da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei
relativi metadati;
3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le
tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ivi
comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure
sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro
riproduzione e divulgazione. L’Agenzia per l’Italia digitale
può stabilire, con propria deliberazione, i casi eccezionali,
individuati secondo criteri oggettivi, trasparenti e
verificabili, in cui essi sono resi disponibili a tariffe
superiori ai costi marginali.
Questo determinante intervento normativo richiede qualche
puntuale considerazione.
L’impianto normativo è abbastanza complesso, dato che,
come detto, si basa su un riferimento incrociato tra due norme
lunghe e dense di precetti e definizioni non sempre lineari. Si noti
ad esempio che una parla di “dati e documenti” (art. 52) mentre
l’altra parla unicamente di “dati” (art. 68). Inoltre, si introduce il
concetto di “formato disaggregato” che sembra sovrapporsi al già
citato concetto di formato aperto (ex lett. a) e che necessiterebbe
una più chiara definizione. Infine il riferimento al concetto di “costi
marginali” appare passibile di un’interpretazione troppo flessibile.
Tuttavia, la ratio complessiva della norma risulta piuttosto
chiara.
58 Il Fenomeno Open Data
Sostanzialmente si inverte la situazione rispetto a quanto
previsto nelle norme precedenti (cioè le due direttive citate e i
relativi decreti di recepimento): l’opzione standard è che i dati
vengano resi disponibili gratuitamente o ai costi marginali
sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione; per eccezioni a
questa opzione standard è necessaria una specifica deliberazione
di Agenzia per l’Italia digitale.
Il coordinato dettato di queste due norme (art. 52 e art. 68
CAD) va sostanzialmente ed indirettamente ad incidere anche sui
principi della legge italiana sul diritto d’autore in materia di diritti
di privativa da parte degli enti pubblici (art. 5 e art. 11 della legge
sul diritto d’autore). Di certo sarebbe stato auspicabile anche una
modifica diretta della legge sul diritto d’autore, ma pare che ciò
non rientri attualmente nelle intenzioni del legislatore.
5. Il cosiddetto Decreto Trasparenza: l’istituto
della “pubblicazione obbligatoria” e il
rafforzamento del principio “open by default”
Dal 20 aprile 2013 è in vigore anche un’ulteriore testo normativo
che influisce sull’ambito della disponibilità e fruibilità dei dati
pubblici: il decreto legislativo n. 33 del 14 marzo 2013, anche noto
come “Decreto Trasparenza”. Passiamo in rassegna le norme del
decreto che risultano rilevanti per la nostra analisi.
Innanzitutto, con l’articolo 2 viene introdotto e definito
l’istituto giuridico della pubblicazione obbligatoria. Il che completa
il quadro lasciato incompleto dalla modifica dell’Art. 68 CAD, il
quale si occupava di cosa accade quando i dati sono pubblicati e
non vi è applicata una licenza. L’articolo 2 del Decreto Trasparenza
detta le regole di quali dati vanno pubblicati e come.
I principali risvolti giuridici della public sector information 59
Le disposizioni del presente decreto individuano gli
obblighi di trasparenza concernenti l’organizzazione e
l’attività delle pubbliche amministrazioni e le modalità
per la sua realizzazione.
Ai fini del presente decreto, per pubblicazione si
intende la pubblicazione [...] nei siti istituzionali delle
pubbliche amministrazioni dei documenti, delle
informazioni e dei dati concernenti l’organizzazione e
l’attività delle pubbliche amministrazioni, cui corrisponde
il diritto di chiunque di accedere ai siti direttamente ed
immediatamente, senza autenticazione ed identificazione.
Dunque, con questo decreto, il legislatore pone a carico delle PA
un espresso ed inequivocabile obbligo di messa a disposizione
del pubblico “delle informazioni e dei dati concernenti
l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni”.
A completamento di ciò, l’articolo 3 stabilisce chiaramente
anche un diritto di conoscibilità dei dati oggetto di pubblicazione
obbligatoria:
Tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di
pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa
vigente sono pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli,
di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai
sensi dell’articolo 7.
Infine, con l’articolo 7, viene ribadito e rafforzato il principio “open
by default” (descritto nei paragrafi precedenti), tra l’altro con un
espresso richiamo alle norme sul riuso dell’informazione nel
settore pubblico e sul trattamento dei dati personali:
I documenti, le informazioni e i dati oggetto di
pubblicazione obbligatoria ai sensi della normativa
60 Il Fenomeno Open Data
vigente, resi disponibili anche a seguito dell’accesso civico
di cui all’articolo 5, sono pubblicati in formato di tipo
aperto ai sensi dell’articolo 68 del Codice
dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo
7 marzo 2005, n. 82, e sono riutilizzabili ai sensi del decreto
legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, del decreto legislativo
7 marzo 2005, n. 82, e del decreto legislativo 30 giugno
2003, n. 196, senza ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo
di citare la fonte e di rispettarne l’integrità.
Un’importante annotazione merita la frase finale di questo
articolo, nella quale il legislatore fornisce un’indicazione più
precisa sui termini d’uso (quindi sul modello di licenza) applicabili
ai dati pubblici. Devono quindi essere escluse licenze che
impongano eccessive restrizioni; uniche restrizioni ammesse sono
la richiesta di citazione della fonte e quella di rispettare l’integrità
del dataset. Tale deve a nostro parere essere interpretata la
notazione “senza ulteriori restrizioni diverse”: non significa, di
tutta apparenza, che le ulteriori restrizioni debbano essere imposte
o che quello sia il modello di licenziamento che vada preferito, ma
che ogni restrizione diversa da quelle consentite debba ritenersi
vietata.
6. L’ipotesi del “danno erariale” in caso di rilascio
di dati in maniera gratuita: alcune precisazioni
Sovente è capitato, discutendo della necessità di un ente pubblico
di rilasciare “open data” con una licenza che consentisse il
riutilizzo dei dati per finalità commerciali, di sentirsi opporre
l’obiezione che se un dirigente avesse seguito tale parere sarebbe
incorso in responsabilità amministrativa. Il ragionamento,
I principali risvolti giuridici della public sector information 61
indicativo di una mentalità non al passo con i tempi, era che,
siccome l’amministrazione pubblica aveva investito per
raccogliere tali dati, consentire ad altri di ricavare benefici
commerciali senza remunerare gli investimenti costituiva un
indebito arricchimento altrui con corrispondente impoverimento
dell’amministrazione.
A tale posizione si contrapponevano vari argomenti. Intanto
la raccolta dei dati in questione era effettuata sì con dispendio di
risorse pubbliche, ma in esecuzione di obblighi giuridici precisi
dell’amministrazione stessa per fini propri e direttamente inerenti
allo, o addirittura imprescindibilmente richiesti dallo, svolgimento
dei propri fini istituzionali. Pertanto, l’attività di raccolta e
archiviazione non era connessa e funzionale alla pubblicazione
di dati o alla commercializzazione dei dati, dunque tale attività
non costituiva un impoverimento, in quanto il ritorno
dell’investimento era appunto nel consentire l’attività
istituzionale. Per quanto riguarda invece l’arricchimento altrui, era
ancora tutto da dimostrare che si trattasse di un arricchimento
indebito, anche e soprattutto in quanto i dati sarebbero stati forniti
su base paritaria a tutti coloro che ne avessero fatto richiesta
(eventualmente accollandosi la spesa di estrazione e fissazione su
un supporto).
Taglia la testa al toro il nuovo assetto normativo, prevedendo
che i dati resi pubblici siano di principio resi anche disponibili
come dati aperti, espressamente vincolando tale apertura alla
possibilità di sfruttamento economico senza ulteriori richieste da
parte dell’ente. La valutazione di meritevolezza dell’interesse a fare
ciò è quindi svolta una volta per tutte dal legislatore nazionale. Se
vi era un’incertezza, ora tale incertezza è del tutto risolta. Anzi,
comportarsi diversamente dal rilasciare i dati pubblicati secondo
condizioni più restrittive comporta, nel caso tale restrizione sia
ingiustificata, una possibile reprimenda amministrativa.
62 Il Fenomeno Open Data
Addirittura, nei campi previsti dal Decreto Trasparenza, il
solo ritardo nel rendere disponibili i dati potrebbe essere
considerato fonte di responsabilità amministrativa. Sono indicativi
a tal proposito la possibilità di ottenere l’accesso civico (simile
all’accesso amministrativo previsto dalla Legge 241/1990) ma
senza formalità o necessità di allegare un interesse legittimo.
Anche se tale obbligo è limitato a particolari categorie di dati, esse
sono decisamente ampie e generali (“l’organizzazione e l’attività
delle pubbliche amministrazioni”). Deve comunque ritenersi che
sebbene gli obblighi siano da individuarsi tramite norme
secondarie, tale puntualizzazione rappresenta il “minimum set”
oggetto di trasparenza, mentre ogni sforzo in più è da premiarsi,
sicuramente non da punire.
7. Open data e tutela dei dati personali
Nello studio del fenomeno open data, non si può tralasciare di
tenere in debita considerazione l’aspetto della tutela della privacy
e delle norme in materia di trattamento dei dati personali. E’
importante tener presente che i principi per la tutela giuridica
delle banche dati dal punto di vista della proprietà intellettuale e i
principi per la tutela della privacy (trattamento dei dati personali)
viaggiano su binari separati; e il secondo dei due aspetti emerge
solo nel momento in cui la banca dati contiene effettivamente dati
personali e vi è un trattamento di tali dati, secondo le definizioni
presenti nella normativa ad hoc (cioè principalmente il Decreto
Legislativo n. 196 del 2003, Codice in materia di protezione dei dati
personali).
Fatta questa importante premessa, possiamo procedere
segnalando che il rispetto della riservatezza degli individui e delle
imprese è una condizione per assicurare l’approvazione da parte
dei cittadini per le operazioni di apertura dei dati pubblici, oltre
I principali risvolti giuridici della public sector information 63
che presupposto per conservare la fiducia degli individui nei
confronti delle istituzioni.
In materia di privacy, numerosi ed importanti principi che
possono guidare le Amministrazioni nella definizione delle
soluzioni e delle modalità con cui procedere alla pubblicazione
sono contenuti in una Deliberazione dell’Autorità Garante per la
protezione dei dati personali con le quali sono state adottate le
“Linee guida in materia di trattamento di dati personali contenuti
anche in atti e documenti amministrativi, effettuato da soggetti
pubblici per finalità di pubblicazione e diffusione sul Web”
(Deliberazione n. 88/2011).11
La Deliberazione n. 88/2011 ha lo scopo di definire un primo
quadro unitario di misure e accorgimenti finalizzati a individuare
opportune cautele che i soggetti pubblici sono tenuti ad applicare
in relazione alle ipotesi di pubblicazione dei propri dati sul Web;
come noto, questo documento indica tutti gli accorgimenti idonei
ad assicurare che la pubblicazione delle informazioni sia conforme
alla normativa dettata in materia di protezione dei dati personali.
Tuttavia, la privacy non deve essere vissuta come un ostacolo
insormontabile nel processo di apertura delle informazioni del
settore pubblico. Infatti, la gran parte dei dati pubblici (basti
pensare alle cartografie, oppure alle informazioni relative
all’inquinamento) non possono essere classificati come personali,
in quanto – cioè – non riconducibili ad un soggetto. In tutti gli altri
casi, la privacy può essere efficacemente tutelata pubblicando i dati
in forma anonima o comunque adottando tutte le cautele idonee a
evitare che i soggetti cui i dati si riferiscono (siano essi individui,
imprese, associazioni e Enti) possano essere identificati.
Tale impostazione è confermata da quanto affermato dal
Garante Privacy nel provvedimento n. 88/2011 nel quale è
11. Il testo integrale del documento è disponibile sul sito del Garante all'indirizzo
www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1793203.
64 Il Fenomeno Open Data
confermato che il perseguimento della finalità di trasparenza
dell’attività delle Pubbliche Amministrazioni può avvenire anche
senza l’utilizzo di dati personali.
Secondo il Garante, infatti,
“non si ravvisa la necessità di adottare alcuna specifica
cautela qualora le pubbliche amministrazioni ritengano
di pubblicare sul sito web informazioni non riconducibili
a persone identificate o identificabili (ad esempio dati
quantitativi aggregati per uffici riguardanti i livelli
retributivi ed accessori risultanti dai contratti collettivi o
da atti interni di organizzazione; tassi di assenza e di
maggiore presenza del personale; informazioni relative
alla performance dell’amministrazione; obiettivi assegnati
agli uffici insieme ai relativi indicatori e ai risultati
complessivi raggiunti; l’ammontare complessivo dei premi
collegati alla performance stanziati e di quelli
effettivamente distribuiti; dati relativi al grado di
differenziazione nell’utilizzo della premialità,
informazioni concernenti la dimensione della qualità dei
servizi erogati, notizie circa la gestione dei pagamenti e le
buone prassi)”.
Di conseguenza, è opportuno che le Amministrazioni –
nell’attività di apertura dei dati che detengono – valutino quali
accorgimenti porre in essere al fine di evitare la diffusione di
dati personali non consentita dalla legislazione vigente, senza
pregiudicare le finalità di trasparenza e di comunicazione alla base
dell’Open Data.
Nel caso dei dati territoriali intesi in senso neutro (e quindi
non collegati né collegabili a situazioni personali), il problema
della tutela della riservatezza e del trattamento di dati personali
I principali risvolti giuridici della public sector information 65
tendenzialmente non sussiste, dato che i dati territoriali (come
definiti dalla Direttiva INSPIRE) non rientrano nella definizione
di “dato personale” fornita dal D. Lgs. 196/2003 all’art. 4 e ancor
prima dalla Direttiva 95/46/CE. Solo qualora il dato territoriale
compaia in una forma più complessa che gli permette di essere
ricollegato in modo concreto ad una persona fisica sarebbe
necessario porsi il problema del rispetto dei parametri in materia
di trattamento dei dati personali. Ciò è ancor più vero ora che i
dati relativi alle persone giuridiche non rientrano più nel novero
dei dati personali, e quindi anche i dati relativi ad esempio alle
localizzazioni di insediamenti produttivi, pur essendo in larga
parte già pubblici, non sono, in radice, più rilevanti. I dati relativi
ad esempio alla residenza degli individui, anche se pubblici (es:
anagrafe) sono comunque soggetti alla normativa sulla privacy e
quindi di regola non vanno diffusi in blocco, essendo tale tipo di
trattamento fonte di possibili rischi (facilitando il data mining) e
dunque potranno essere trattati e diffusi solo in forma anonima e/
o aggregata.
8) La nuova direttiva Open PSI (2013)
Il 13 giugno 2013 il Parlamento europeo ha approvato la direttiva
2013/37/EU relativa alla revisione delle norme sull’utilizzo del
patrimonio informativo del settore pubblico di cui alla direttiva
2003/98/CE12. Essa va a rafforzare e aggiornare i principi già
stabiliti dalla precedente direttiva, in virtù delle evoluzioni
legislative e tecnologiche avvenute nell’arco del decennio.
La direttiva, che dovrà essere recepita dagli stati membri
entro il 18 luglio 2015, ridefinisce e rafforza alcuni concetti chiave
in materia di riuso dei dati pubblici, come ad esempio: il principio
12. Il testo definitivo della direttiva è disponibile all'indirizzo http://eur-lex.europa.eu/
LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2013:175:0001:0008:EN:PDF.
66 Il Fenomeno Open Data
del riutilizzo, quale valore aggiunto per qualsiasi utilizzatore finale
(considerando 3); la necessità di liberare grandi quantità di dati
da parte tutti i paesi, con previsione di standard normativi che
rendano più facile la gestione transfrontaliera (considerando 6);
l’opportunità che la Commissione Europea assista gli Stati membri
nell’attuazione della direttiva, fornendo orientamenti sulle licenze
raccomandate, le tipologie di dati de i corrispettivi in denaro
imposti per il riutilizzo di documenti (considerando 36).
Gli elementi centrali della nuova direttiva, sono i seguenti.
All’articolo 3 viene sancito un generale principio di
riutilizzabilità dei dati pubblici, nel caso essi non ricadano in una
delle eccezioni previste dalla direttiva o risultino indisponibili ai
sensi delle normative nazionali sul diritto di accesso.
L’articolo 5 introduce un principio di disponibilità dei dati e
documenti di matrice pubblica, al di là del formato o della lingua
con cui sono stati redatti.
L’articolo 6 prevede poi una disciplina per il contenimento
dei cosiddetti costi marginali imposti in alcune legislazioni per
la messa a disposizione e il riutilizzo dei dati, indicando
esplicitamente i casi eccezionali. Ne consegue così per gli enti
pubblici un obbligo a rendere trasparenti le regole e le metodologie
di calcolo di tali costi; resta comunque la possibilità da parte degli
Stati membri di non imporre alcun costo;
Interessante appare la disposizione del comma 2 dell’articolo
3 che estende le norme sulla public sector information al
patrimonio culturale di biblioteche, musei ed archivi: una
disposizione dirompente e innovativa che non mancherà di
generare dibattito scientifico e politico, vista l’estrema importanza
e ricchezza del patrimonio culturale basato in Europa. A questo
tema la direttiva dedica gli interi considerando da 14 a 18, dai quali
emerge la consapevolezza da parte dell’UE del potenziale di tale
patrimonio.13
I principali risvolti giuridici della public sector information 67
13. Sul tema cfr. Ragone, Dati aperti: l’Unione europea alla prova della nuova direttiva
sul riutilizzo delle informazioni del settore pubblico, disponibile online sul sito
MySolution Post (http://www.mysolutionpost.it/archivio/fisco-e-società/dati-pubblici-
aperti.aspx)
4. Il licensing di dati
in modalità open
1. Introduzione
Chiarita la complessità del sistema di tutela previsto per le banche
dati, possiamo procedere a riflettere sulle problematiche che
emergono quando il detentore dei diritti su una banca dati decida
di regolamentarne l’uso attraverso l’applicazione di una licenza di
libera distribuzione o copyleft.
Citiamo gli esempi più noti di licenze ai fini di maggiore
incisività della nostra analisi: la GNU General Public License –
GPL, normalmente utilizzata per opere software e licenza
capostipite del software libero e open source; la GNU Free
Documentation License – FDL, licenza “cugina” della GPL e
pensata principalmente per opere testuali e di documentazione;
le licenze Creative Commons – CC, ormai diffusissimo strumento
utilizzato per applicare il modello “alcuni diritti riservati” ad opere
creative di qualsiasi natura (al di fuori del software).1
69
70 Il Fenomeno Open Data
Come più volte sottolineato, tutte queste licenze “vivono” e
funzionano all’interno dei confini del diritto d’autore. Non sempre
ciò implica che esse contemplino il diritto sui generis che si
allontana in alcuni aspetti dal diritto d’autore in senso stretto.
Dunque il loro utilizzo nel campo delle banche dati in ambito
europeo rischia di lasciare scoperta la parte relativa al diritto sui
generis.
Cerchiamo di intenderci meglio. La funzione di queste licenze
è quella di autorizzare, consentire, appunto “licenziare”, alcuni
usi liberi dell’opera a cui la licenza è riferita; e per farlo il testo
delle licenze fa esplicito riferimento ai singoli diritti coinvolti nella
cessione. Ma non tutte queste licenze prendono in considerazione
espressamente il cosiddetto diritto sui generis.
C’è un motivo per tutto questo: gran parte di queste licenze,
pur essendo state presto “esportate” in Europa, sono state
concepite in seno all’ordinamento giuridico statunitense, nel quale
non esiste questo duplice livello di tutela per le banche dati.2
Bisogna quindi riflettere su quale sia il modo più efficiente di
gestire questa particolare tipologia di diritti e sostanzialmente ci
troviamo ad una duplice via d’uscita: o si opta per una rinuncia
all’esercizio di questi diritti, oppure si opta per un loro
licenziamento specifico.
Una precisazione fondamentale: le considerazioni esposte da
qui in poi si riferiscono esclusivamente al licensing di database
1. Non si tratta di un’unica licenza, bensì di un set di licenze basato su quattro
clausole base dalla cui combinazione nascono le sei licenze vere e proprie.
2. A conferma di questa differenza di impostazione fra ordinamento statunitense e
altri or- dinamenti giuridici, si legga quanto emerge nell’interessante articolo “Database
and Creative Commons” in http://sciencecommons.org/resources/faq/databases/, al par.
Be Aware That Creative Commons Do Not License All Types of Legal Rights: “Database
users should be aware, before they freely use the facts or database elements, of some
possible limitations imposed by different types of laws that may restrict the extent of
data that can be used and that are not licensed by the Creative Commons licenses”.
Il licensing di dati in modalità open 71
non considerati opera dell’ingegno e quindi tutelati con il solo
diritto sui generis (ovvero il Tipo 3 proposto al par. 2.5).
2. Tipi di licenze utilizzabili per l’open data
Gli studiosi del settore, dopo aver compiuto una panoramica
analitica delle principali licenze attualmente disponibili per il
rilascio pubblico di dati geografici, sono giunti alla conclusione
che le opzioni disponibili si articolano in tre modelli fondamentali:
1) licenze con clausola di attribuzione della paternità e con clausola
di persistenza dei diritti concessi (cosiddetto “share alike”); 2)
licenze con sola clausola di attribuzione della paternità; 3)
dichiarazioni pubbliche di rinuncia all’esercizio dei diritti per il
rilascio in un regime di pubblico dominio artificioso.
Essendo questi i modelli generalmente perseguibili ed
essendo le licenze già esistenti sufficienti a coprire tutti questi
modelli, si è optato per la non redazione di una nuova apposita
licenza e per la scelta di uno degli strumenti già esistenti. Ciò
anche in un’ottica di non alimentazione del fenomeno
comunemente detto “license proliferation”, in italiano pienamente
traducibile con “proliferazione delle licenze”.
Questo schema sintetizza le opzioni possibili.
72 Il Fenomeno Open Data
3. Il problema della proliferazione delle licenze
Le licenze pubbliche di copyright sono strumenti di natura
negoziale per il rilascio e la distribuzione di opere dell’ingegno e
più in generale di beni immateriali tutelati da diritti di esclusiva.
Benché il principio della libertà contrattuale preveda che ciascun
detentore di diritti di di esclusiva su un bene immateriale sia
libero di regolamentare gli usi della sua opera con qualsivoglia
strumento atto a quello scopo, molti enti specializzati e autorevoli
a livello internazionale si preoccupano di redigere testi di licenze
resi pubblici e liberamente utilizzabili da coloro che non intendano
scrivere una licenza ad hoc per ogni singolo caso. Tali licenze, sia
per il livello di competenza degli enti che ne curano la redazione,
l’aggiornamento e l’implementazione, sia per la loro diffusione su
scala globale, diventano spesso dei modelli di riferimento molto
utili e soprattutto atti a garantire una certa affidabilità.
Il licensing di dati in modalità open 73
A ciò si aggiunga che le licenze attualmente disponibili per
l’uso pubblico contemplano già più o meno tutte le ipotesi di
regolamentazione dei diritti di privativa di beni immateriali. Di
conseguenza la redazione di nuove licenze difficilmente è
necessaria a tutti gli effetti, e anzi rischia solo di creare
duplicazioni e sovrapposizioni che portano più che altro
esternalità negative a livello di interpretazione da parte degli
operatori del diritto (giudici, avvocati, consulenti) e di
compatibilità tra progetti.
Di contro, l’introduzione di nuove licenze, soprattutto in caso
di licenze “share alike” (simile al “copyleft forte”, ovvero che pone
come condizione per il riutilizzo che i prodotti “derivati” rispettino
le stesse condizioni della licenza “inbound”), rischia di introdurre
condizioni di licenza diverse e incompatibili con quelle di altre
licenze, moltiplicando esponenzialmente la possibilità di creare
aree di auto-esclusione dall’opportunità di riusare altri beni
intellettuali rilasciati sì sotto licenze pubbliche, libere e aperte, ma
incompatibili. La soluzione di introdurre clausole di compatibilità
per risolvere questo rischio da un lato non risolve il problema
intrinseco della molteplicità di strumenti giuridici – fonte
comunque di confusione – dall’altro introduce nuove variabili
circa il meccanismo di licenziamento e può anche portare a lunghe
catene di “trasformazioni” attraverso diversi passaggi tra clausole
di compatibilità, portando a conseguenze difficilmente predicibili.
Dunque, è sempre sconsigliabile procedere alla redazione di
nuovi testi di licenza, se non in quei casi specifici in cui emergano
esigenze particolari che nessuna delle licenze disponibili possono
soddisfare.
74 Il Fenomeno Open Data
4. Il cosiddetto “share alike” e il concetto di
“derivazione” nell’ambito del database right
Tra le licenze che possono essere utilizzate per il rilascio pubblico
di dati geografici ve ne sono alcune con la cosiddetta clausola
“share alike” (ad esempio la Creative Commons Attribution –
Share Alike e la Open Dababase License); clausola che si ispira
all’effetto propagativo della clausola “copyleft” utilizzata nella
licenze di software libero.
Lo spirito di questa clausola1 è infatti quello di creare una
specie di effetto “macchia d’olio” virtuoso grazie al quale lo spirito
di condivisione di un progetto “open” venga applicato anche a tutti
i progetti che attingono da esso. A ben vedere, però, le licenze
non ragionano per “progetti” bensì per “opere”; in altre parole
una licenza è uno strumento giuridico applicato ad un’opera dal
detentore dei diritti e non dev’essere confuso con una sorta di
testo-manifesto di carattere filosofico-programmatico per cercare
di diffondere la stessa filosofia di un progetto. La creazione di una
licenza ad hoc a questo scopo può essere, a nostro avviso, foriera
di equivoci.
Andando nel dettaglio del senso tecnico-giuridico della
clausole sul modello share alike, vediamo che esse si basano su un
concetto originario degli ordinamenti giuridici anglo-americani:
quello di opera derivata. Dunque, un’opera rilasciata con una
licenza contenente tale clausola da un lato consente ai licenziatari/
utilizzatori di realizzare opere derivate da essa, dall’altro impone
contestualmente di applicare la stessa licenza (o una licenza con gli
stessi identici effetti) anche a tutte le opere derivate.
Uno dei casi più noti di applicazione di questa tipo di licenze
è Wikipedia, rilasciata con licenza Creative Commons Attribution
– Share Alike 3.0. Infatti, chiunque realizza opere che derivano da
Il licensing di dati in modalità open 75
una voce di Wikipedia, è tenuto a diffondere queste opere derivate
con una licenza similare.
Si pone però un interrogativo chiave: si può davvero parlare
di “derivazione” quando abbiamo a che fare con un database non
creativo, tutelato quindi dal mero diritto sui generis (o database
right)? Se leggiamo attentamente i principi della direttiva 96/9/
CE che ha introdotto in Europa questa nuova singolare forma
di tutela, capiamo facilmente che il diritto del costitutore di un
database copre le attività di «estrazione e/o reimpiego della totalità
o di una parte sostanziale del contenuto del database».
Senza ora perdersi in elucubrazioni di carattere meramente
dottrinale, ciò che ci interessa sottolineare è che l’idea di
“derivazione” non sempre è applicabile in modo corretto e
funzionale all’ambito del database licensing. Di conseguenza le
licenze che fanno della “derivazione” uno dei loro elementi
caratterizzanti, se applicate all’ambito dei database, rischiano di
risultare problematiche a livello di implementazione e di tutela
(specialmente se si tratta di progetti di respiro internazionale,
che prevedibilmente coinvolgono anche paesi in cui non esiste il
diritto sui generis).
Inoltre, scegliendo una licenza con clausole share alike, si
aumenta il rischio di incompatibilità e dunque di creare piccole
enclave di libertà e apertura, reciprocamente incompatibili,
sempre ammesso che la clausola in questione abbia gli effetti
sperati.
5. La clausola di richiesta di attribuzione di
paternità in materia di database licensing
La clausola di attribuzione della paternità, presente in gran parte
delle licenze per opere creative, è una clausola che rafforza
76 Il Fenomeno Open Data
(esplicitandolo con una previsione contrattuale) il diritto ad essere
riconosciuti come autori già presente in gran parte delle normative
di diritto d’autore.
Essa in sostanza richiede agli utilizzatori/licenziatari
dell’opera licenziata di riconoscere pubblicamente la paternità
dell’opera all’autore originario (o altro titolare dei diritti) non solo
nei modi comunemente in uso ma anche secondo le specifiche
indicazioni del licenziante (ad esempio riportando un apposito
link). Di questa clausola sono dotate ad esempio tutte le licenze
Creative Commons e altri strumenti similari come la Free Art
License e la Open Data Commons Attribution License.
Dal punto di vista dell’implementazione giuridica nell’ambito
del database licensing, la clausola Attribuzione non pone le stesse
problematiche poste dalla clausola share alike, dato che,
soprattutto nel contesto digitale, si può facilmente ottemperare ad
essa con la previsione di una sezione “credits” in cui riportare i
nomi e i link dei licenzianti. Si pongono però alcuni rilievi più
che altro di carattere funzionale che ci fanno interrogare sulla
sua utilità e opportunità nell’ambito di rilascio di dati geografici,
e ancor più specificamente di dati geografici da parte di entità
pubbliche.
Tale clausole nasce infatti per rispondere all’esigenza molto
comune tra i creativi di vedere riconosciuto quanto meno dal
punto di vista morale il loro contributo creativo e intellettuale.
La maggior parte degli artisti (scrittori, musicisti, fotografi,
videomaker…) che rilasciano le loro opere come open content
lo fanno proprio per aumentare la visibilità delle loro creazioni;
rinunciano ad alcuni diritti tipici del modello tradizionale di
copyright in cambio di un riconoscimento più ampio del loro
contributo creativo e intellettuale.
Se da un punto di vista strettamente giuridico questo stesso
principio può essere applicato anche al caso di un costitutore
Il licensing di dati in modalità open 77
di database (titolare di mero diritto sui generis), dal punto di
vista morale l’approccio cambia necessariamente. Innanzitutto il
costitutore di un database raramente è una persona fisica; e se
anche lo fosse, difficilmente l’attività di mera raccolta e
organizzazione di dati sotto forma di database potrebbe definirsi
artistica.
Questa considerazione diventa a nostro avviso ancor più
pregnante se il costitutore del database è un ente pubblico, che
svolge l’attività di raccolta, organizzazione e gestione dei dati in
risposta ad una sua specifica mission istituzionale o addirittura
in ossequio a precisi obblighi di legge. In questi casi infatti una
specifica richiesta di “attribuzione” rischierebbe di risultare
superflua e ridondante, dato che è cosa nota e generalmente
riconosciuta che certi tipi di dati provengano da questa o quella
istituzione (si pensi ad esempio ai dati catastali, agli stradari
comunali, ai dati sulle elezioni diffusi dal Ministero dell’Interno,
etc.). Inoltre tali dati sono comunque costantemente disponibili,
verificabili e confrontabili proprio negli archivi cartacei o digitali
di tali enti, ed è quindi poco verosimile che si creino occasioni
di confusione e di equivoco sulla loro provenienza e sulla loro
versione originaria.
6. Il rilascio in pubblico dominio “artificiale”
Come già introdotto nei capitoli precedenti e come compare già
dal diagramma offerto poco sopra, esiste anche una soluzione per
così dire più “radicale” per il rilascio pubblico di dati: si tratta di
appositi strumenti giuridici che mirano a creare una situazione
di pubblico dominio “artificiale”, ovvero un pubblico dominio che
avvenga prima della naturale e definitiva scadenza dei termini
previsti dalla legge per l’esercizio dei diritti di proprietà
intellettuale. Nel caso di un database non creativo coperto da mero
78 Il Fenomeno Open Data
diritto sui generis, ciò accade dopo quindici anni solari interi dalla
pubblicazione del database; nel caso di un database con carattere
creativo, ciò avviene invece dopo settant’anni solari interi dalla
morte del suo creatore.
Questi strumenti servono appunto per anticipare tali termini
grazie ad una specifica scelta in tal senso del detentore dei diritti.
L’autore o il costitutore di un database che volesse rilasciarlo
immediatamente in un regime di massima libertà (appunto come
se fosse già caduto nel pubblico dominio) deve sostanzialmente
effettuare una dichiarazione pubblica in cui, in modo definitivo ed
inequivocabile, si impegna a rinunciare all’esercizio dei diritti di
privativa attribuitigli dalla legge.
Lo strumento più diffuso di questo tipo è quello realizzato da
Creative Commons e che prende il nome di Creative Commons
Zero (CC0); sullo stesso modello il progetto Open Data Commons
ha realizzato la ODC Public Domain Dedication and Licence (ODC
PDDL).
Tale soluzione “radicale”, per ovvi motivi, risulta quella meno
problematica sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista
pratico. Dal punto di vista giuridico, non trattandosi di una vera
e propria licenza bensì di una dichiarazione pubblica di rinuncia
(“waiver”), non pone problemi di compatibilità con altre licenze;
dal punto di vista pratico, i dati sarebbero rilasciati nella più libera
delle modalità di distribuzione, potendo quindi essere riutilizzati
nella maniera più ampia possibile e integrati con dati provenienti
da altri progetti senza che si creino conflitti tra licenze e termini
d’uso. Ciò ha per certo un effetto – in un certo senso –
tranquillizzante per gli utilizzatori/licenziatari e funge quindi
anche da incentivo ad un effettivo riuso dei dati.
Il licensing di dati in modalità open 79
7. Il principio “open by default” e la scelta di una
licenza applicabile
Il sopraggiungere del principio “open by default”, introdotto
dell’ordinamento giuridico italiano proprio durante la stesura dei
documenti di studio del Progetto FreeGIS.net, ha di certo
modificato il quadro non solo dal punto di vista dell’analisi dello
scenario teorico-giuridico ma anche dal punto di vista della scelta
della licenza.
Se infatti prima della riforma apportata dal Decreto Crescita
2.0 per “liberare” effettivamente un dataset era necessaria una
specifica volontà da parte della pubblica amministrazione (sotto
forma di scelta e applicazione di una licenza), ora l’inerzia della
PA implica una situazione di apertura e libertà di riuso dei dati e
dei documenti pubblici, ancor più nel caso di dati e documenti di
pubblicazione obbligatoria ai sensi del d. lgs. 33/2013. Ne consegue
che l’applicazione di una licenza non è più una questione così
strategica e determinante.
Tuttavia, la scelta e applicazione di una licenza rimane un
atto foriero di chiarezza e di certo sollecitato dal legislatore. Questi
infatti, con l’introduzione del principio “open by default”, così
com’è stato concepito, non vuole sostituirsi alle singole PA titolari
dei dati effettuando una sorta di “licenziamento a priori”, ma
semplicemente porre le condizioni per sfruttare positivamente
l’eventuale inerzia delle PA nel rilascio dei dati. D’altronde, il
combinato disposto degli art. 52 e 68 CAD non crea una situazione
di pubblico dominio generalizzato, ma piuttosto una sorta di
“presunzione di licenziamento open”, grazie alla quale, in
mancanza di specifica licenza, gli utenti possono considerare i dati
come se fossero sotto licenza aperta.
80 Il Fenomeno Open Data
Inoltre la presenza di una licenza, specie se si tratta di una
tra le più note e utilizzate a livello internazionale, consente una
maggiore chiarezza sugli effettivi termini d’uso del dataset, anche
agli occhi di un utente straniero non informato sul funzionamento
del principio “open by default” e in generale sui meccanismi del
diritto della proprietà intellettuale.
Con l’avvento del cosiddetto Decreto Trasparenza
disponiamo di una prima indicazione a livello legislativo sulla
tipologia di licenza utilizzabile per i dati oggetto di pubblicazione
obbligatoria da parte delle pubbliche amministrazioni.
L’art. 7 del Decreto infatti stabilisce che nel processo di
rilascio e licenziamento dei dataset pubblici non siano applicate
“ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare la fonte e di
rispettarne l’integrità”. Ne consegue che, nel caso in cui il dataset
rientri tra le categorie descritte dal Decreto (e la maggior parte dei
dati territoriali prodotti e gestiti dalle PA vi rientrano), la cerchia
di licenze utilizzabili si restringa, lasciando fuori dal novero tutte
quelle ispirate al modello “share alike” nonché quelle ispirate al
modello “non commercial”. Utilizzando come riferimento il set
delle sei licenze Creative Commons, restano quindi utilizzabili la
“Attribution” e la “Attribution – Non derivative works”, con la
possibilità di un rilascio ancor più libero e radicale attraverso
l’opzione del waiver “CC zero”.
8. Applicazione del public domain waiver CC0
Come per qualsiasi documento mirato alla gestione e
regolamentazione dei diritti d’autore, il principio di fondo per
la corretta applicazione è che vi sia un chiaro e inequivocabile
collegamento tra opera e documento e, come presupposto, che
colui che opera questo collegamento abbia titolo per farlo (ovvero
disponga di tutti i diritti di utilizzazione sull’opera).
Il licensing di dati in modalità open 81
Per la sussistenza del presupposto della titolarità dei diritti è
necessario che il soggetto che intende disporre il rilascio pubblico
dell’opera (a mezzo di licenza d’uso o di public domain waiver)
si accerti che: a) all’interno dell’opera o della banca dati non vi
siano contributi provenienti da altre fonti di cui non si ha traccia
(con ragionevole certezza); b) all’interno dell’opera o della banca
dati non vi siano contributi o parti i cui diritti esclusivi sono stati
precedentemente ceduti ad altro soggetto.
Effettuate tali verifiche, se nulla osta, il titolare dei diritti
può pubblicare l’opera o la banca dati facendo in modo che i
fruitori della stessa siano in grado conoscere nel dettaglio i termini
d’uso. Ad esempio, nel caso di distribuzione dell’opera in copie
materiali, è possibile allegare il testo della licenza o aggiungere
una chiara nota informativa con l’indicazione del nome completo
della licenza o waiver e di recapiti per recuperare il testo completo
(un indirizzo web univoco, un indirizzo di posta elettronica, un
indirizzo di posta ordinaria); nel caso (ormai più frequente) di
pubblicazione online è comunemente ritenuto sufficiente, oltre
all’indicazione del nome completo della licenza o waiver, effettuare
un collegamento ipertestuale (link) univoco al testo del
documento.
9. Profili di enforcement
A titolo di premessa, si tenga presente che, se a livello di
applicazione non vi sono sostanziali differenze tra il caso di un
public domain waiver e il caso di una licenza di libera
distribuzione, dal punto di vista dell’enforcement le differenze
sono invece sostanziali e sono dipendenti dalla diversa natura e dal
diverso spirito dei due diversi tipi di strumenti.
Come si è già spiegato nei paragrafi precedenti, quella di
applicare un public domain waiver è una scelta piuttosto radicale
82 Il Fenomeno Open Data
e definitiva; si tratta infatti di un passo con il quale il titolare dei
diritti su un’opera si impegna pubblicamente e irrevocabilmente
a non esercitarli, così da immettere, di fatto, l’opera nel pubblico
dominio fin da subito, cioè senza attendere la naturale scadenza dei
termini di legge.
Ne consegue che non si pongono particolari questioni di
enforcement dato che lo stesso concetto di enforcement implica
l’esistenza di diritti da tutelare e “azionare”. Unico baluardo di
residua tutela potrebbe riscontrarsi nei cosiddetti diritti morali
d’autore, i quali però difficilmente potrebbero seriamente entrare
in gioco nel caso di rilascio di database privi di carattere creativo
e rilasciati da enti pubblici per loro specifica mission istituzionale.
Quindi, una volta applicato e reso pubblico il waiver, il titolare dei
diritti perde di fatto la possibilità di revocarlo e di esercitare i diritti
oggetto della rinuncia.
Appendice - Open Data Licensing
(presentazione a slides)
Titolo completo: Open Data Licensing (With Emphasis on
the Italian Public Sector): Guidelines for Choosing and
Applying the Most Suitable License
Presentazione a slides a cura di Carlo Piana e Simone
Aliprandi, utilizzata per il convegno “Open data in transition”
tenutosi presso l’Università degli studi di Trento il 19 dicembre
2013. All’indirizzo http://openisfree.blogspot.com/2014/01/
opendata-licensing-presentation-trento.html è disponibile anche il
video integrale dell’intervento al convegno.
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THE END
Per approfondire
In generale
Agnoloni, Tommaso; Sagri, Maria-Teresa.; Tiscornia, Daniela
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disponibile online su http://www.w3.org/DesignIssues/
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Fioretti, Marco (2010): Open Data, Open Society. A research
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Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa; available at www.dime-
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Implementation of Open Government (version 2.0), KDZ Centre for
Public Administration Research; disponibile online all’URL
http://www.kdz.eu/en/webfm_send/1537.
Murillo, Martin J. (2012) Including all audiences in the
government loop: From transparency to empowerment through open
government data; disponibile online all’URL www.w3.org/2012/06/
pmod/pmod2012_submission_18.pdf
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Data Open, Accessible, and Interoperable; disponibile online su
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96 | Il Fenomeno Open Data
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Per approfondire | 97
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Sappa, Cristiana (2011): Diritti di proprietà intellettuale e dati
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Bassi, Eleonora (2011): PSI, protezione dei dati personali,
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Pennazio, Rossana; Rossi, Piercarlo (2011): Open Data e tutela
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Sul tema dei dati geografici
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Druetta, Corrado; Leucci, Stefano (2011): Open Pedestrian
Maps: un “riutilizzo ecologico”, in Informatica e diritto, fasc. 1-2,
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Haklay M. (Muki); Weber P. (2008): OpenStreetMap: User-
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http://eprints.ucl.ac.uk/13849/1/13849.pdf.
National Research Council of the National Academies (2004),
Licensing geographic data and services, The National Academies
press.
Per approfondire | 99
Pagina del sito DigitPA dedicata al tema dei dati territoriali:
http://www.digitpa.gov.it/fruibilita-del-dato/dati-territoriali.
Peruginelli, Ginevra; Bright, Mariya Badeva (2011): Open
Model as Instruments of an Effective Knowledge Ecology: Some
Reflections with a Focus on the African Environment, in Informatica
e diritto, fasc. 1-2, 2011.
Principali progetti italiani dedicati all’open data
Dati.Gov.it: portale del Governo Italiano sugli open data prodotti e
gestiti dalla istituzioni pubbliche. Sito ufficiale: www.dati.gov.it.
Spaghettiopendata: iniziativa italiana che aggrega tutte le
iniziative italiane sul tema di dati aperti e riuso delle informazioni
pubbliche. Sito ufficiale: www.spaghettiopendata.org.
Opendatahub.it: un ampio catalogo con i dati aperti di
organizzazioni pubbliche e private. Include un motore di ricerca
trasversale e specializzato che consente di individuare i dati aperti
attraverso le principali organizzazioni che hanno pubblicato dati
aperti. Sito ufficiale: www.opendatahub.it.
DatiOpen.it: iniziativa indipendente italiana per promuovere
la divulgazione, pubblicazione e condivisione dei dati aperti da
parte di organizzazioni pubbliche e private. Sito ufficiale:
www.datiopen.it.
Linked Open Data Italia: associazione italiana che promuove
diversi progetti tra cui l’Open bilancio (in collaborazione con
l’Associazione Openpolis) sulla trasparenza dei bilanci di tutti gli
oltre 8.000 comuni italiani. Sito ufficiale: www.linkedopendata.it.
OpenGeoData Italia: associazione italiana nata con lo scopo
di diffondere la cultura dei dati geografici e del loro libero
riutilizzo. Sito ufficiale: www.opengeodata.it.
Gfoss.it: Associazione Italiana per l’Informazione Geografica
Libera. Sito ufficiale: www.gfoss.it.
100 | Il Fenomeno Open Data
FreeGIS.net: progetto di ricerca e divulgazione con lo scopo di
consentire alle pubbliche amministrazioni l’efficace pubblicazione
dei dati geografici, utilizzando applicazioni libere, licenze per i dati
e standard aperti. Sito ufficiale: www.freegis.net.
Nato nel 2009 come gruppo informale di avvocati
indipendenti (da cui il nome), Array si ricostituisce nel 2014 come
studio legale con struttura a rete, dedicato alla consulenza e
assistenza specialistica, anche giudiziale, nei campi delle
Tecnologie dell’Informazione, dei Media e delle
Telecomunicazioni, in controversie civili, penali, amministrative e
procedure ADR. Array opera in tutto il mercato Europeo offrendo
consulenza a clienti che variano da singoli e piccole startup a
larghe comunità di sviluppo, da piccole e medie imprese a società
nel Fortune 500, organizzazioni internazionali e pubbliche
amministrazioni.
Array è un gruppo di IT lawyers, sulla frontiera degli sviluppi
legali nel settore delle Tecnologie dell’Informazione, dei Media e
delle Telecomunicazioni.
I professionisti di Array possiedono una particolare esperienza
e un profilo internazionale per le questioni giuridiche legate al
Software Libero e Open Source, che negli ultimi anni è
definitivamente uscito dalla percezione di ambito informatico non
redditizio e poco imprenditoriale, per diventare una delle più
101
102 | Il Fenomeno Open Data
importanti tendenze nel settore IT.
Array non è un network. Array è un array!
Maggiori dettagli sul sito www.array.eu, oppure sui seguenti
canali social:
https://twitter.com/arraylaw
http://www.linkedin.com/company/array-law
https://www.facebook.com/arraylawfirm
Dello stesso autore
Capire il copyright. Percorso guidato nel diritto d’autore (di
Simone Aliprandi)
E’ la versione rivisitata e aggiornata di uno dei libri di
maggior successo per coloro che si approcciano al mondo del
diritto d’autore senza provenire da studi specialistici. Si tratta
infatti di un libro che, quando fu pubblicato nella sua prima
versione (2007), fu appositamente pensato per essere rivolto ad
un pubblico di operatori del settore comunicazione e produzione
culturale (sviluppatori, designer, bibliotecari, archivisti, docenti,
giornalisti…), i quali, pur non avendo un background giuridico
necessitano di una solida alfabetizzazione su questi temi.
Il linguaggio utilizzato è accessibile e i concetti vengono esplicati
in modo chiaro ed efficace anche grazie all’ausilio di appositi
schemi e diagrammi.
Inoltre questo è il primo manuale di diritto d’autore in Italia a
tenere in considerazione anche gli aspetti critici (o – per così dire –
103
104 | Il Fenomeno Open Data
gli “anelli deboli”) del sistema classico della proprietà intellettuale,
e quindi a riportare le impostazioni dottrinali alternative e a
dedicare la giusta rilevanza alle nuove istanze dovute alla
rivoluzione digitale e ai nuovi modelli di gestione dei diritti
d’autore (copyleft, open licensing, Creative Commons).
In questa nuova edizione, l’autore è riuscito a rendere l’opera
ancor più completa e utile, arricchendola con nuove riflessioni
e nuove rappresentazioni grafiche che aiutano la comprensione
anche dei concetti più tecnici.
Tutti i dettagli su www.aliprandi.org/capire-copyright.
Creative Commons: manuale operativo. Una guida pratica e
un’introduzione teorica al mondo CC
Un manuale operativo che guida passo a passo autori, editori
e utilizzatori nel mondo delle licenze Creative Commons, le più
famose e diffuse licenze di libera distribuzione per opere creative.
Senza tralasciare fondamentali chiarimenti di natura concettuale
e terminologica, l’autore entra nei dettagli tecnici del
Dello stesso autore | 105
funzionamento degli strumenti proposti dal progetto Creative
Commons, così da renderli comprensibili anche per i totali neofiti.
Un’opera fondamentale per tutti coloro che sono interessati al
mondo dell’opencontent e del copyleft, giunta già alla sua terza
edizione e arricchita ora da un’utile appendice di casi di studio.
Tutti i dettagli su www.aliprandi.org/manuale-cc.
Maggiori informazioni ed altri titoli della stessa collana su
www.ledizioni.it